Aldo Moro, il Professore è un documfilm trasmesso la sera dell’8 maggio su Rai 1. Racconta i 55 giorni del rapimento che ha sconvolto l’Italia attraverso gli occhi e i sentimenti di quattro studenti che seguivano il corso di Istituzioni di diritto penale e procedura penale della facoltà di Scienze politiche dell’Università la Sapienza di Roma, tenuto dal prof. Aldo Moro.
Sergio Castellitto ha interpretato il ruolo di Aldo Moro, Giorgio Balzoni, consulente del programma e vero allievo del Professore, ha condiviso i suoi ricordi.
Alla vigilia del quarantesimo anniversario dell’assassinio dello statista democristiano, in prima serata, abbiamo visto un lato sconosciuto al grande pubblico, «eppure il più vero e profondo», commenta Giorgio Balzoni. Giornalista parlamentare Balzoni ricorda che «devo proprio a Moro molte delle mie scelte di vita». «Sono stato un suo studente, a Roma, nel corso di diritto penale nella facoltà di scienze politiche, dal 1971 al 1972. E poi, come molti di noi, sono rimasto nel gruppo che gli stava attorno fino alla fine».
Com’era Moro da professore?
«Come appare nel docufilm: brillante, coinvolgente. Soprattutto gli piaceva farci comprendere le cose da vicino. Ricordo che ci portava a visitare le carceri. Ci diceva che dovevamo comprendere il perché delle cose per cercare delle soluzioni. Una volta, per esempio, incontrammo un uomo condannato per omicidio. Aveva ucciso la persona che gli aveva rubato il gregge. Lui spiegò che, se non l’avesse fatto, sarebbe stato emarginato dalla società e sua sorella non avrebbe mai trovato marito. Quando, tornando a casa in autobus raccontammo questo a Moro lui ci disse che questo dovevamo capire: perché aveva ucciso, che cosa significava per lui perdere il gregge, cosa significava per la sorella. Queste considerazioni valgono dal punto di vista giuridico, ma ancora di più dal punto di vista politico, culturale, sociale. Da questa comprensione nascevano anche le riforme che lui portava avanti».
Era difficile da capire?
«Tutt’altro. È un falso mito quello della sua incomprensibilità. (Confermo questa opinione, avendo letto alcune centinaia di pagine di Moro, giornalistiche, politiche e giuridiche). Aldo Moro era chiarissimo nelle spiegazioni. E poi era molto ironico, faceva battute. Non perdeva il gusto di andare al cinema, faceva delle imitazioni di Totò che erano esilaranti. Era molto goloso di dolci e non si stancava di parlare con noi. Per lui eravamo davvero una famiglia».
Moro non è stato mio professore all’Università. Il mio professore di diritto penale è stato il professore di Moro, il lucano di Spinoso, in provincia di Potenza, Biagio Petrocelli; e il mio professore di procedura penale è stato Giovanni Leone, all’epoca vicepresidente della Camera dei deputati. Studiando i testi del prof. Petrocelli fui colpito nel constatare che l’autore più citato era proprio Moro, ed ebbi così modo di conoscere il pensiero penalistico di Moro nel contrasto che non si era ancora spento tra la scuola positivista e la scuola giuridica, della quale Moro fu uno dei più sagaci sostenitori con la sue opere giovanili La capacità giuridica penale e L’Antigiuridicità.
Non conoscevo Moro come politico. Sapevo, ovviamente che era stato eletto a trent’anni all’Assemblea costituente (Emilio Colombo era stato eletto a ventisei), ma non ero in grado di capire nulla del suo contributo all’elaborazione della Costituzione, che fu grandissimo e ho studiato nel resto della mia vita. Sapevo che era un tenace oppositore della tesi del collocamento in aspettativa dei parlamentari professori universitari: guai, riteneva, a interrompere questo fecondo contatto dei politici con i giovani, col vivace mondo studentesco, ne sarebbe stata vittima la politica.
Il documfilm dell’8 maggio mi ha fatto conoscere come Moro si comportava realmente con i suoi giovani studenti, come più o meno immaginavo, ma non avevo sperimentato, ed è facile capire che mi ha molto commosso.
Non mi ha però deluso non dico l’insuccesso del docufilm, ma il mancato successo, senz’altro, la scarto dello share rispetto ad altri modesti programmi televisivi programmati in concorrenza. In special modo lo scetticismo che ha accolto il rapporto di Moro professore con i suoi studenti, come se si fosse trattato di una invenzione televisiva.
Vi sono invece prove inconfutabili dell’autenticità della rappresentazione. Ho accennato in principio alla condivisione nel docufilm dei ricordi del consulente del programma Giorgio Balzoni, che di Moro era stato allievo. Parlerò più avanti della testimonianza di un altro suo allievo, oggi professore ordinario di diritto dell’Unione Europea all’Università La Sapienza di Roma, presso la Facoltà di Scienze Politiche, dove ha insegnato Aldo Moro.
A darci una significativa testimonianza di tale rapporto è però lo stesso Moro dalla prigione dove le BR lo tenevano relegato. Scrive tre lettere a una sua studentessa, Maria Luisa Familiari, che avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea proprio la mattina della strage di via Fani. Moro pensava di far pervenire tramite la sua allieva alcune missive, non correndo il rischio che fossero sequestrate. Ogni volta si raccomanda a Maria Luisa di ricordalo con intensissimo affetto a suoi studenti, a Mimmo, Manfredi, Gianni, Giovanna, Matteo, Lina: tutti, tranne Lina, identificati, dal curatore delle Lettere dalla prigionia Miguel Gotor. Le lettere sono serene, amichevoli, talvolta ironiche, senza far pesare la sua triste condizione. Vogli anche tu un po’ bene a Luca (il suo amatissimo nipotino, figlio di Maria Fida), raccomanda a Maria Luisa. Avendo avuto sentore che la comunicazione con la sua allieva non avesse avuto successo o non potesse proseguire, scrive: “In questa drammatica vicenda, in questa forma ed intensità del tutto inaspettata, vengono a rompersi sul piano umano fili che si erano stretti in modo inaspettato nella prospettiva di una esperienza spirituale del tutto singolare … Penso a te e agli amici carissimi… Per te desidero sicurezza, pace e felicità.” Nella prima lettera scriveva: “quando dicevi che temevi di perdermi, ci scherzavo su sorridendo, quasi che pensassi a non so quale mio fastidio del quale volessi liberarmi. Ed invece avevi ragione; avevi capito tutto… È molto triste che si disperda tutto quanto ha rappresentato un valore così grande. Rimangono, però, intangibili, il ricordo, l’amicizia, la preghiera, un magistero spirituale che dovrebbe restare, per guidare al bene così come è destinato a fare”
In una sua pubblicazione, il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi, specializzato in cronaca giudiziaria, nel descrivere il dietro le quinte del sequestro di Aldo Moro, fa riferimento spesso alle particolari vicende di una studentessa del professore della quale non svela l’identità chiamandola genericamente “Tiziana”. L’autore non svela la vera identità di “Tiziana”, così come nel corso della narrazione si riferisce ai brigatisti utilizzando i loro nomi di battaglia, nonostante ormai identità, ruoli e responsabilità fossero state definitivamente accertati. Solo per i collaboratori di Moro, politici e universitari, ricorre ai veri nomi.
La studentessa “Tiziana”, che è stata identificata con quasi assoluta certezza con Maria Luisa Familiari, la mattina del 16 marzo avrebbe dovuto conseguire la laurea in Scienze politiche discutendo la tesi, relatore il professor Aldo Moro, in Istituzioni di diritto e procedura penale dal titolo Infermità di mente e pericolosità sociale: trattamento e rieducazione secondo il codice penale nel nuovo ordinamento penitenziario. Il lavoro di preparazione della tesi era stato estremamente lungo ma era stato seguito con particolare interesse da Moro, il quale in origine aveva avuto qualche perplessità sul fatto che una donna affrontasse un argomento “pesante” quale quello dei manicomi giudiziari. Ma la determinazione della ragazza aveva avuto la meglio e il professore per le visite ai manicomi giudiziari, l’aveva affidata spesso al suo giovane assistente universitario, Saverio Fortuna, magistrato distaccato al ministero di Grazia e Giustizia in via Arenula.
La sera della vigilia della seduta di laurea la studentessa, in preda alla naturale agitazione da vigilia, aveva deciso di telefonare all’assistente del professore per sincerarsi appunto che egli fosse presente alla discussione, data la particolare coincidenza con la presentazione alla Camera dei deputati del nuovo governo Andreotti. Rincuorata dalla certa presenza del professore, che “magari con un po’ di ritardo ma verrà”, assicuratale dal dottor Fortuna, la ragazza si restituì alle immancabili attività di ripasso. La mattina della tragedia di via Fani, la prossima dottoressa e i familiari erano talmente presi dagli ultimi preparativi da ricevere la notizia dell’accaduto solo per telefono ad opera di una cugina della ragazza, dipendente del Viminale. Recatasi lo stesso in facoltà per apprendere notizie al riguardo e indicazioni circa lo svolgimento della seduta di laurea, le veniva comunicato che per gli studenti del professore Moro la prova era rinviata a data da destinarsi.
Appare dunque naturale che il pensiero dell’uomo politico vada alla giovane studentessa al punto da invitare la moglie a telefonarle di sera per un saluto e che questo pensiero si possa coniugare nella mente del prigioniero con la possibilità di servirsi eventualmente anche di lei per attivare una via di comunicazione con l’esterno, sicura e non rintracciabile nell’immediato dalle forze dell’ordine.
Ma la speranza di Moro andò delusa. Maria Luisa non ha ricevuta nessuna delle tre lettere e neppure è stata ascoltata dalle commissioni d’inchiesta sulla strage di via Fani e il caso Moro.
Con tristezza ho appurato che è morta molti anni fa, agli inizi degli anni 2000, quindi in età ancora giovane.
Concludo con la testimonianza del prof. Carlo Curti Gialdino resa col saggio Aldo Moro tra storia e memoria, pubblicato sulla rivista online di diritto pubblico italiano comparato europeo Federalismi n. 10 del 9 maggio 2018.
Il saggio si sviluppa in 10 capitoli. Il primo capitolo è intitolato Le ragioni di una testimonianza, il decimo L’eredità e il ricordo. Riporterò brevissimi brani del primo e del decimo: l’inizio del primo e la conclusione del decimo.
«Ho avuto il privilegio di conoscere Aldo Moro. E oggi sono, fra i giuristi, l’unico dei suoi ex studenti ad insegnare in quella che fu la sua Facoltà. Spesso, varcandone l’ingresso o percorrendone i corridoi, mi riaffiorano alla mente alcuni episodi, immagini o situazioni che evocano gli anni della sua presenza qui e ancor più ravvivano quel senso di incompiuto da cui ogni evento successivo alla tragedia, alla storia interrotta, è inesorabilmente inficiato. Ho sempre preferito serbare come occasioni preziose della mia vita i molteplici incontri avuti con il Professore, come l’ho sempre chiamato, tra il novembre 1969 ed il marzo 1978, da studente, da laureato e da giovane assistente nella facoltà di Scienze Politiche de “La Sapienza”. Tuttavia, in occasione del quarantennale del suo barbaro assassinio da parte delle Brigate Rosse (1978-2018), sento di voler rendere una testimonianza, attraverso un contributo che prende spunto dal figurare tra gli oltre 70 firmatari del documento, reso noto il 21 aprile 1978, con il quale «gli allievi del Professor Aldo Moro esprimono la ferma richiesta al governo, alla DC e a tutte le forze politiche e sociali del Paese perché si impegnino ad accertare realisticamente le condizioni per la Sua liberazione, ritenendo che la difesa dello Stato non deve essere schematica e non può contrapporsi al valore della vita umana».
E così si conclude questa toccante testimonianza:
«Il Professore era solito chiudere il ciclo delle lezioni, prima di fare per l’ultima volta l’appello dei presenti, con un saluto affettuoso ai suoi corsisti, nel quale il tratto umano prevaleva sulla componente rigidamente accademica: «Ho cercato di stabilire –diceva –un rapporto di confidenza e di amicizia con voi” [avrei n.d.r.] “voluto dimostrare a tutti individualmente il mio apprezzamento, il mio rispetto, il mio affetto, la mia amicizia «questi sentimenti sono quelli che hanno dominato il corso di questa esperienza» E terminava, invariabilmente, con queste parole: «Io mi ricorderò ancora; qualche volta in modo approssimativo, qualche volta in modo preciso, ma mi ricorderò ancora di coloro che hanno riempito un anno della mia vita».
Anche io, Professore, continuerò a ricordare.

 

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