I tricaricesi il 10 giugno saranno chiamati a rinnovare con libera elezione il Consiglio comunale. Rabatana ritiene doveroso esprimere un caloroso ringraziamento e saluto al sindaco uscente, dott. Angela Marchisella, che ha deciso di non ripresentare la sua candidatura. Adempiuto a questo dovere di cortesia e di ben inteso sentimento civico, Rabatana si terrà ben lontana e del tutto estranea alla competizione elettorale, anche perché – ma non è la sola ragione – chi ha la responsabilità di questo blog non ha alcuna conoscenza del suddetto evento e dei suoi protagonisti. Con amarezza mi dichiaro estraneo a un mondo e a una realtà che il tempo e lo sconvolgimento del quadro politico nazionale hanno reso incomprensibili e impenetrabili alla mia mente e ai miei occhi. In precedenti competizioni, spinto prevalentemente se non unicamente da un forte sentimento di nostalgia, non mancai di pronunciarmi. Ho lasciato Tricarico da molti decenni. Nei primi tempi della mia emigrazione, l’ordinamento imponeva ai dipendenti dello Stato, quale io ero, di fissare la propria residenza anagrafica nel comune della sede di servizio, ma lasciava libertà di scelta della residenza elettorale. Pertanto, pur essendo residente a Modena, per alcuni anni potetti conservare a Tricarico la mia residenza elettorale e votare. Quando la suddetta facoltà fu soppressa, provai quasi un senso di mutilazione, che recideva definitivamente il mio legame con Tricarico. Studiai a fondo la legittimità costituzionale di tale provvedimento per gli obblighi che imponeva in violazione di alcuni principi costituzionali. Mi consultai con amici costituzionalisti, ma dovetti rassegnarmi e rinunciare a ogni proposito di reazione.

Mi pare di ricordare di avere già confidato su questo blog che fui eletto consigliere comunale di Ferrara nel 1970, ma con che cuore avrei voluto esercitare quel mandato quinquennale a Tricarico, anziché a Ferrara, dove pure fui impegnato in battaglie politiche, quali un rinnovato rapporto tra partiti avversari, che ebbero anche risonanza in campo nazionale, grazie alla presenza in quel consiglio di personalità di grande cultura e valore appartenenti a diversi gruppi politici. Una vita è passata e prendo atto di quante cose si sono consumate. Di una cosa, riguardante le prossime elezioni, ma che non c’entra nulla col merito politico e amministrativo della competizione elettorale tricaricese, posso però parlare.
Tra le liste presentate una porta un nome floreale: La Ginestra. Non è una novità. Abbiamo avuto formazioni politiche che al mondo vegetale si sono rivolte per cercare simboli della loro nuova identità. Alludo, come si intuisce, all’Ulivo e alla Margerita, formazioni politiche alle quali io ho dato il mio voto quando sono state presenti in varie competizioni elettorali. Il mondo vegetale, inoltre, ha offerto i simboli di molte formazioni politiche, quando la politica era ancora dei partiti, con nomi forgiati dalla storia: la rosa nel pugno radicale, il garofano socialista, il bianco fiore (garofano bianco) democratico cristiano, l’edera repubblicana. La federazione dei Verdi non si presentava con un simbolo floreale, ma col sole che ride su sfondo verde; tuttavia, alle elezioni del 2001, nell’alleanza con i socialisti democratici, assunse come simbolo il girasole. Simboli che, come detto, o avevano una gloriosa storia alle spalle oppure cercavano di rappresentare una nuova identità dopo la fine della politica dei partiti. Ignoro l’identità che col simbolo della ginestra si intende dare alla lista elettorale che concorre alle prossime elezioni amministrative di Tricarico.
La canzone La Ginestra o il fiore del deserto di Giacomo Leopardi, che si apre con una citazione del vangelo di Giovanni ed è considerata il testamento spirituale del grande poeta di Recanati, rappresenta il simbolo della condizione umana. È difficile, credo impossibile, conoscendo il canto di Leopardi, non amarlo, non sentirlo profondamente fratello, non riconoscere in lui uno dei cantori più intensi e veri della nostra anima. La sua consapevolezza dell’«infinita vanità del tutto» è ciò che di più onesto ci offre la nostra letteratura. Ma, allo stesso tempo, il suo stesso canto ci mostra, non in teoria ma direttamente sulle nostre emozioni profonde, come l’estatica bellezza del mondo, il profumo della ginestra, ci siano in fondo sufficienti. I suoi versi continuano a cantarci nel cuore e dirci che la vita, nonostante l’«infinita vanità del tutto», è anche magico incanto.
Della presentazione della lista della ginestra sono venuto a conoscenza tramite facebook e d’istinto pubblicai nello spazio che il suddetto social riserva ai commenti, la poesia La Ginestra di Rocco Scotellaro. Il mio percorso scolastico mi portò a iniziare lo studio del greco nel 1944. Mio padre non consentiva che bighellonassi tutti i tre mesi delle vacanze estive (allora erano ignote le vacanze ai monti e al mare) e, evidentemente non fidandosi delle mie promesse di dedicare allo studio qualche ora al giorno, mi mandava per un mese circa a prendere lezioni private da Rocco Scotellaro. Rocco amava molto il greco e i lirici greci in particolare, e me li insegnò come forse la scuola non è stata capace di insegnarmeli con lo stesso amore, nonostante abbia avuto al liceo un insegnante di latino e greco normalista di valore, tant’è che i lirici continuo a leggerli. Con la poesia La Ginestra Rocco intese precisare la continuità della “patria meridionale” più rispetto alla Grecia che a Roma. Aveva infatti obiettato a un suo critico: “Non ti sei piuttosto chiesto che la Grecia – più che Roma – sia la patria meridionale, sicché una parola può appartenere al dialetto come le tante cose antiche sepolte sotto la terra che si ara”. Perciò pubblicai la poesia su Rabatana, in omaggio a Rocco Scotellaro e alle nostre radici affondate nella Magna Grecia.
Questo, peraltro, è il tempo in cui esplodono i fiori della ginestra e tingono di giallo le colline del Sud, un colore negato dalle nebbie della valpadana in cui vivo. I fiori della ginestra hanno il colore della luce del sole, e quindi sono simbolo di energia, di conoscenza e conseguentemente della nostalgia del tramonto dei giorni e delle vite. Un fascio di ginestre stesso sulla bara porse l’ultimo saluto all’amica più cara a mia moglie e a me, indimenticata e indimenticabile.
La ginestra è un fiore caro ai poeti, ai nostri poeti. Ho ricordato la poesia di Rocco Scotellaro. Giuseppe Giannotta canta ne La maggiolata (maggio è il mese delle ginestre): Fanciulle e fanciulli buttano fiori di ginestra sulle vie gremite di genti che pregano. I petali si attaccano alle vesti dei santi che portano in cielo l’odore delle terre:

E l’aria s’impregna
del profumo di ginestra
che viene dagli sterpi
da steli stecchiti
da bave di pecore.
I santi in cielo
tengono i fiori di ginestra
in cima alle pergole.

Laura Battista – Lauretta si firmava nell’occasione che sto per ricordare – non ha dedicato una poesia alla ginestra, ma non aveva ancora compiuto i quindici anni quando pubblicava in “Fior di ginestra”, un’antologia di poeti lucani, una canzone in morte della madre, intitolata “All’usignuolo” dove si sentono gli echi di Leopardi nella trattazione della giovinezza e di Foscolo nel tema della tomba.
Michele Parrella nella poesia Lucania persa dedicata a Rocco Scotellaro lamenta:

Oh le ginestre umiliate,
terra mia gettata sopra il letto delle serve,
la serva battuta e persa.

E poi aggiunge, nella poesia Le tue piaghe, Lucania che

Non ci sono né veli né bende
per coprire i tuoi fianchi di ginestra.

 

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