Le citazioni del prof. Conte
Il discorso del prof. Giuseppe Conte pronunciato per la presentazione al senato del governo dei vice presidenti del consiglio Luigi di Maio e Matteo Salvini, definito del cambiamento, o giallo verde o giallo blu, si è distinto per la retorica dello stile dei toni di voce, dei movimenti delle mani, del linguaggio del corpo, e del viso in particolare, e lo sfoggio di cultura con colte citazioni.
Sfoggio non è parola elogiativa. Il prof. Conte presentava il governo al Parlamento e, attraverso il Parlamento, al popolo italiano, al quale doveva spiegare il programma del governo, facendosi ben capire da tutti. Non doveva fare sfoggio di cultura, comprensibile a pochi. Egli, che è affermato avvocato e giurista, senza dubbio uomo di grande cultura, non ne aveva neanche bisogno. I computer oggi contengono migliaia di pagine di frasi e aforismi dedicate ad altrettanti argomenti, che consentirebbero a chiunque di fare sfoggio di smisurata erudizione.
Il professore, tuttavia, ha deciso male e, alla grande, è partito male: da Puskîn e Dostoevskij, due geni della letteratura russa. Del suo discorso sono state molto ammirate e hanno suscitato emozione queste parole: «Le forze politiche che integrano la maggioranza di Governo sono state accusate di essere populiste, antisistema. Bene, sono formule linguistiche che ciascuno è libero di declinare. Se populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente – e qui traggo ispirazione dalle riflessioni di Dostoevskij, nelle pagine del «Discorso su Puškin» – se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene, queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni».
Il Discorso su Puškin è una mia lettura di molti decenni fa, di cui resta il ricordo di una pagina di letteratura senza pari. Si tratta del discorso pronunciato l’8 giugno 1880 alla seduta solenne della “Società degli amici della letteratura russa a Mosca in occasione del monumento a Puskin”. Nasce quindi il bisogno di rileggerlo per leggere le riflessioni di Dostoevskij che hanno ispirato il professore. Al quale sono comunque grato per lo stimolo che mi ha dato a rileggere nove pagine di un impareggiabile capolavoro della letteratura mondiale.
Ma sta di fatto che la parafrasi del significato di populismo è del tutto assente nel Discorso su Puškin. E c’è dell’altro. La colta citazione di Dostoevskij non è sfuggita alla corrispondente da Parigi per The Atlantici, Rachel Donadio, e non l’è sfuggito che si tratta della medesima citazione fatta pochi giorni fa dal presidente francese Emmanuel Macron durante una conferenza stampa con l’omologo russo Vladimir Putin. In quel caso Macron aveva citato per l’appunto le parole di Dostoevskij su Puškin come esortazione per Francia e Russia a trovare un terreno comune d’incontro pur fra le reciproche incomprensioni. «Sì, la missione del popolo russo è incontestabilmente paneuropea e universale – sono le parole di Dostoevskjii citate da Macron – Diventare un vero russo, diventare completamente russo, forse significa soltanto diventare fratello di tutti gli uomini, uomo universale (…). A un vero russo il destino dell’Europa sta tanto a cuore quanto la Russia stessa, perché il nostro destino è l’universalità, acquistata non con la spada ma con la forza della fratellanza fra tutti gli uomini. Coloro che verranno, i futuri russi, comprenderanno che diventare un vero russo significa aspirare alla definitiva conciliazione delle contraddizioni europee: l’anima russa, profondamente umana, saprà abbracciare con vero amore fraterno tutti i nostri fratelli, e alla fine, forse, dirà la definitiva parola della grande armonia universale, del definitivo accordo di fratellanza fra tutti i popoli, secondo la legge di Cristo».
Le citazioni continuano con l’indicazione del solo nome. Ritengo, invece, che la citazione di un pensiero, di un brano, avrebbe dato maggiore forza e significato al discorso.
Per prima è stata la volta del tedesco Hans Jonas, tirato in ballo dal prof Conte in riferimento al contratto di governo. «Diversamente, la politica perde di vista il principio di responsabilità che impone di agire – lo raccomandava il filosofo Jonas – non solo guardando al bisogno immediato, che rischia di tramutarsi in mero tornaconto, ma anche progettando la società che vogliamo lasciare ai nostri figli, ai nostri nipoti.» Ma non tutti sanno che Hans Jonas, allievo di Heidegger e Bultimann, ha elaborato un’etica della responsabilità e comprendono il senso della la raccomandazione del filosofo. Quello che interessava era sfoggiare il nome di un filosofo ai più sconosciuto. Io sono io, io sono colto, e voi non sapete niente.
Nel passaggio dedicato al capitolo giustizia, inoltre, il prof. Conte ha ricordato il sociologo tedesco Ulrich Beck: “il vero pericolo è la minaccia di non invasione da parte degli investitori, oppure la loro partenza”. Beck, chi è costui? Quaesivi et inveni che è stato un sociologo e filosofo, membro del Gruppo Spinelli per il rilancio dell’integrazione europea.
In materia di riforma tributaria, infine, il professore afferma: Ha ragione Kotler: occorre «Ripensare il capitalismo». Kotler è una delle massime autorità in materia. È stato indicato come il quarto “guru del management” di tutti i tempi dal Financial Times e acclamato come “il maggior esperto al mondo nelle strategie di marketing” dal Management Centre Europe.Viene anche considerato uno dei pionieri del marketing sociale.Il nome è una garanzia, come si dice, e questa citazione si può accettare, ovviamente da chi sa chi è Kotler.
Un’ultima considerazione. All’inizio del suo del discorso, il professore si dichiara profondamente onorato di poter offrire il suo impegno e le sue competenze per difendere gli interessi dei cittadini di questo meraviglioso Paese. Come aveva già avuto modo di anticipare, si propone ai senatori e, attraverso i senatori, ai cittadini come l’avvocato che tutelerà l’interesse dell’intero popolo italiano. Il prof. Conte, nonché avvocato, è soprattutto un colto giurista e sono certo che, come ogni colto giurista, ha affinato la sua cultura giuridica riflettendo sugli antichi miti greci. Ma qui l’avvocato ha dato fiato alla retorica, fingendo di ignorare le tragedie di Sofocle. Il mito rappresentato non richiede una verità da conoscere, in esso è tutto chiaro, drammaticamente chiaro. Ci sono due assoluti che si scontrano, due paradigmi che attraversano la storia dell’umanità, e l’attraverseranno fino alla fine. C’è il Potere, rappresentato da Creonte, e c’è Antigone, che si oppone al Potere, in nome di una legge divina. Senza Creonte non c’è democrazia e senza Antigone non c’è democrazia. Creonte e Antigone sono ugualmente necessari, indispensabili. Il Potere regge la città, ma non è la città. Antigone si oppone ed ne rappresenta una parte. Il prof. Conte, quindi, è avvocato di Creonte, ma non può essere avvocato di tutta la città, non è e non può essere l’avvocato di chi vuole creare una legge diversa dalla legge di Creonte.
Continuo nella semplificazione. Eteocle e Polinice sono due gemelli. Creonte è il Potere, la legge della città. I due gemelli, una volta raggiunta l’età per regnare, essendo gemelli e non potendo vantare un diritto certo sul trono, si accordarono per istituire una forma di diarchia, regnando insieme, a turno, un anno alla volta. Fu estratto a sorte chi avrebbe iniziato per primo, e fu sorteggiato Eteocle. Quando giunse il turno di Polinice, Eteocle lo fece imprigionare e allontanare dalla città, tacciandolo d’incompetenza e malvagità ed escludendolo dalla successione al trono. Polinice reagì ispirando e capeggiando l’attacco alla città dei sette re.
I due fratelli, trovatisi di fronte nel combattimento, si uccisero l’un l’altro e l’odio perdurò anche dopo la morte: quando i corpi furono posti sul rogo per essere arsi, secondo una delle tante versioni del mito, le fiamme si divisero.
La legge stabiliva che a Polinice non fosse data sepoltura. Antigone però, fidanzata del figlio Emone, volle seppellire il fratello Polinice, così Creonte la condannò a morte murandola viva in una tomba. Poi, incalzato da Tiresia, la liberò, ma troppo tardi: Antigone fu trovata morta, ed Emone si uccise sul corpo dell’amata.
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Ho apprezzato questo tuo contributo e, sicuramente, lo stomaco a doverti occupare di un tale individuo di cui non sono certo sia di sicura cultura. Purtroppo, nell’attuale società dell’APPARIRE non basta più solo mostrare la propria immagine (basta vedere come esaerano i presentatori e gli invitati in TV) ma bisogna anche fingere di essere colti, Così si infarinano un poco e quindi invece di ESSERE si limitano ad APPARIRE RIDICOLMENTE. Non per cadere nel vizio delle citazioni, ma mia aiuta Virgilio con la sua Eneide quando dice “Parce sepulto”, che io dedico a questo nostro povero Paese che non meritava tanta vergogna dopo quella patita in passato.
Caro GIL, Se me lo permetti, lasciami dire che non condivido il tuo pessimismo. Certo, mi sento pienamente rappresentato da Antigone e Creonte è l’avversario difeso dal prof. Conte, che, dunque, non è mio – e tuo – avvocato. Ma è la democrazia: la peggiore forma di governo, esclusa tutte quelle che abbiamo sperimentato, diceva Churchill. (E noi avevamo sperimentato il fascismo!). Ma Churchill non inventava nulla, giacché a criticare la democrazia ci aveva pensato Aristotele qualche migliaio di anni prima. La mia vita è lunga quanto la tua. Qualche volta – parlo per me – sono stato amico di Creonte, qualche volta di Antigone, qualche volta così così. Mi auguro e ti auguro di vivere ancora abbastanza a lungo per contribuire ad eleggere un Creonte amico. Un caro saluto, Antonio
Caro Antonio,
non riesco a non condividere l’amaro ma, così almeno a me pare, lucido e motivato pessimismo di Gilberto.
In ogni caso mi congratulo con te per la dotta e articolata analisi del discorso del professor Conte. Concedimi solo una malignità: è proprio da escludere che le sue citazioni, talune forse un po’ forzate, siano state suggerite dai suoi vice Di Maio e Salvini?
Ciao, ti abbraccio con l’affettuosa stima che sai,
Angelo
Caro Angelo, innanzi tutto ti ringrazio. Quanto alla mia risposta a Gilberto, il termine “pessimismo” è certamente inappropriato, ma non mi era riuscito (a non mi riesce ancora) di trovarne uno più appropriato. Se leggi bene Gilberto, egli sostiene che tutta la storia repubblicana è una vergogna. Io non lo penso e lo contesto, e perciò ho dichiarato di essere stato talvolta dalla parte di Creonte, talaltra dalla parte di Antigone e talaltra così così. Io ritengo che stiamo vivendo il momento più grave di una crisi politica e culturale che si trascina da alcuni decenni, e ritengo, purtroppo, che non c’è soluzione. Non ne usciamo fuori in alcun modo, e non possiamo illuderci di uscirne fuori chiamando brutti, stupidi e cretini gli avversari o stupidi, cretini e ignoranti gli italiani. Il risultato elettorale imponeva al centrosinistra di fare una cosa, che il centro sinistra si è rifiutato di fare. Non avremmo avuto il paradiso terrestre, forse non sarebbe servito a niente. Ricambio l’abbraccio.
Antonio