DOMENICA17 GIUGNO 2018Il Sole 24 Ore domenica
Alessandro Leogrande. Nel suo lavoro dedicato alla città di origine, Taranto, il sociologo ha concentrato una delle più utili e convincenti riflessioni sulla nostra storia recente

Coraggiosamente al Sud, in cerca del bene comune

In calce a questo articolo di Goffredo Fofi è segnalato il libro di Alessandro Leogrande. “Rabatana” invita a leggerlo. L’opera è protetta sul diritto d’autore e ne è vietata la pubblicazione, anche parziale, non autorizzata. Cercandolo online è peraltro possibile leggere un’amplissima anteprima.

Della sua breve vita (Taranto 1977 – Roma 2017) Alessandro Leogrande non sembra aver sciupato neanche un minuto, senza per questo perdere in serenità, in lucidità. È impressionante la quantità di cose che è riuscito a fare, su più fronti, compreso quello di un’intensa attività che possiamo ancora chiamare politica, e però in senso alto, non secondo la comune prassi contemporanea dell’arrivismo singolo e corporativo, talvolta anche losco. È riuscito a occuparsi perfino di calcio e di musica, scrivendone e curando libri di gruppo, ragionando, discutendo, divulgando, insistendo su valutazioni di qualità non legate ai transitori successi superficiali. Hanno caratterizzato il suo lavoro apertura, curiosità, e di conseguenza generosità, poiché non vi può essere generosità senza curiosità né può esserci il contrario. Tarantino, ha amato come pochi la sua città, ma ha amato anche l’Italia e la sua storia, cercando quei fili rossi che partendo dal passato aiutassero a capir meglio il nostro scialbo presente, comprensibile soltanto se si sa tornare al pensiero dei maestri che furono cari alle parti migliori della nostra intellighenzia e della nostra classe dirigente. Per esempio, oggi più attuali che mai, i Salvemini e i Gobetti, instancabili nella ricerca di una moralità della politica, e nel disprezzo per i politicanti: «Il fascismo come autobiografia della nazione» ha scritto Gobetti, e quest’affermazione risuona da tempo nelle nostre teste, di fronte alla crisi della nostra democrazia, che è anzitutto crisi del demos, nel mentre che, ha scritto qualcuno, la crazia non demorde ed è più spavalda che mai. L’ultima fatica di Leogrande è stata un libro-omaggio a un eroe dimenticato, Carlo Pisacane, per ragionare su un modo molto concreto di intendere la politica. I nodi del passato la storia del nostro paese non li ha mai sciolti del tutto, e ha ancora molto da insegnarci. Miglior sociologo di tutti i sociologi di laurea e professione, Leogrande ha saputo scavare nel nostro presente a partire dalle manifestazioni della maggiore tra le sue contraddizioni, almeno per quanto riguarda l’Italia, investigando sul nostro presente in inchieste tra le più necessarie, sui migranti, sui «nuovi schiavi nelle campagne del sud», sulla logica terribile e perversa delle frontiere negatrice di quelle aspirazioni che la politica internazionale continua a dichiarare a parole e a negare nei fatti, sempre con le armi dell’economia e quando le par necessario con quelle degli eserciti. Ma se è vero – e Leogrande ne era convinto – quel che disse Ernesto De Martino, che si può essere cittadini del mondo solo se si hanno radici in un villaggio, in un quartiere, in una precisa storia di famiglia e di ambiente, l’attenzione va pur sempre rivolta ai luoghi in cui siamo cresciuti, verso i quali il nostro sentimento di responsabilità non dovrebbe mai scemare. Leogrande amava la sua Taranto – peraltro una città di straordinaria bellezza coi suoi “due mari” e i suoi due insediamenti urbani; una città di grande storia, aperta da sempre a quella del Mediterraneo, ma dove un’insensata e crudele logica economica ha impiantato ai suoi margini uno stabilimento che ha dato sì lavoro ma ha anche portato malattia, morte, bruttezza. Con la conseguenza recente per i suoi dipendenti di dover scegliere tra il posto di lavoro e la lunghezza della vita. Incerto laboratorio di dilemmi fondamentali, e che non riguardano certamente questa sola città ma vaste parti del pianeta, Taranto ha avuto però un’altra particolarità, analizzata meglio di tutti proprio da Leogrande nei suoi primi lavori, raccolti nel bel volume dei suoi scritti amorosamente messo ora insieme da Salvatore Romeo, quella del “citismo”, l’epoca del trionfo di uno spregiudicato demagogo, appunto Giancarlo Cito, diventato sindaco grazie al suo spregiudicato uso della tv, astuto profeta del berlusconismo a venire. Dalle macerie è certamente uno dei più appassionanti “studi d’ambiente” di un sociologo non per mestiere ma per vocazione etica e conoscitiva. Mette insieme saggi elaborati e inchieste pregnanti ma anche “pezzi” giornalistici, considerazioni estemporanee a partire dall’attualità, editoriali polemici, perlustrazioni divaganti. Ma l’insieme è solidamente compatto: una delle più utili e convincenti riflessioni sulla nostra storia recente, accanitamente dentro il presente e fin dentro la cronaca, e però sulla scia delle grandi inchieste di ieri, di quelli che Leogrande considerava come maestri, i Gaetano Salvemini, i Carlo Levi, i Manlio Rossi-Doria, i Tommaso Fiore, mai soltanto scienziati sociali, sempre anche “politici” appassionati del presente e razionalmente portati a far seguire all’analisi le concrete proposte di soluzioni, e tutto questo in un’ottica che ha alla base la più semplice e la più dimenticata delle considerazioni, quella del “bene comune” in un’ottica di solidarietà con chi sta al basso della scala sociale, con gli operai, con i disoccupati, con i giovani. Ai quali oggi si devono aggiungere, come Leogrande ben sapeva, i più sfruttati di tutti, gli immigrati, i nuovi italiani. Ho scritto altrove e non esito a ripeterlo che Alessandro Leogrande è stata la figura più bella di una generazione senza movimenti, individualista e inefficace, e tremendamente lontana dall’azione politica perché suggestionata dalle menzogne del potere e dei suoi media e di conseguenza preoccupata anzitutto di sé.
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Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale. Alessandro Leogrande, Feltrinelli, Milano, pagg. 314, € 17
Goffredo Fofi

 

One Response to Coraggiosamente al Sud, in cerca del bene comune

  1. antonio-martino ha detto:

    Rabatana ha citato alcune volte Alessandro Leogrande. Rileggendo i corrispondenti post, ho notato che il titolo dell’articolo più interessante attribuiva erroneamente a Leogrande il nome Leonardo, che ho corretto in Alessandro. Il detto articolo, intitolato “La politica del mestiere di Alessandro Leogrande”, è fondamentale per la comprensione di Scotellaro.Dopo aver letto l’Anteprima del libro, ho deciso di comperarlo e leggere tutte le 310 fitte pagine di minuti caratteri. Sulla quarta pagina di copertina si legge: “Solo il racconto dei margini e dei frammenti permette di aprire uno squarcio e di comprendere qualcosa. Comprenere come si intersecano tra loro cose vecchie e cose nuove”

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