La visita di Benito Mussolini in Lucania il 27 e 28 agosto 1936
La visita di Benito Mussolini in Lucania il 27 e 28 agosto 1936.
Il ritrovamento nei depositi della Provincia di Potenza di un busto raffigurante Benito Mussolini in occasione della visita del dittatore nel 1936 e di due targhe hanno spinto il presidente dell’ente a informare immediatamente il consiglio della scoperta, nonché della circostanza che sul marmo è scolpito il discorso della ”fecondità lucana” e della volontà di ripulire e restaurare il materiale ritrovato. Il presidente ha altresì comunicata la volontà di dare adeguata collocazione ai reperti ritrovati, senza chiedersi se essi hanno, e quale eventualmente sarebbe il loro valore storico, senza riflettere a considerare che non hanno alcun significato rappresentativo della visita di Mussolini, trattandosi di manufatti confezionati successivamente, nel clima di grande consenso che riscuoteva il regime fascista. Reperti simili sono sparsi a profusione in ogni angolo d’Italia, per cui l’iniziativa del presidente della provincia di Potenza ha l’istinto senza pensiero che caratterizza l’operato della massa dei rappresentanti della nostra classe politica ed è pertanto del tutto sbagliata e inammissibile. Ne è dimostrazione il fatto stesso che il presidente si sia premurato di mettere le mani avanti e dichiarare che con la sua iniziativa non si voleva in alcun modo cancellare o modificare la storia e le epocali responsabilità del fascismo, che invece è la sola cosa che l’iniziativa, se avesse un senso, significherebbe.
Il fatto storico esiste e non può essere cancellato. I nostri antenati furono presi da un incontenibile entusiasmo (ricordate “Una giornata particolare” di Ettore Scola con Sophia Loren e Marcello Mastroianni?), e noi loro eredi (io sono tra gli uni e gli altri, come si vedrà), al contrario, dobbiamo dimenticarcene o almeno capire che quella visita rappresenta il nulla e, in particolare per noi lucani, rappresenta una presa per i fondelli, e che se di visita di Mussolini nel 1936 si deve parlare, dobbiamo sapere che si trattò di visita comica più che storica ad Avellino, a Montevergine e all’Irpinia.
Dopo l’impresa etiopica con la conseguente proclamazione dell’Impero il 9 maggio 1936, iniziava per il regime fascista il periodo del massimo consenso con il coinvolgimento emotivo del popolo e la solidarietà per la politica mussoliniana anche come reazione alle sanzioni economiche inflitte dalla Società delle Nazioni.
In questo contesto trionfalistico, Mussolini prese la decisione di far svolgere in Irpinia, ancora devastata dal disastroso terremoto del 23 luglio 1930, le manovre militari del XIV anno dell’era fascista (le prime manovre militari dell’Impero) e di visitare Avellino e le zone dell’Irpinia dove si sarebbero svolte le manovre. La visita del duce fu organizzata in un contesto trionfalistico. Lo accompagnava tutto il regime (il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, Costanzo Ciano, ministro degli esteri e genero del duce, i 3 quadrunviri della rivoluzione Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi (il quarto quadrumviro Michele Bianchi era morto nel 1930), il segretario del P.N.F. Achille Starace).
Il 24 agosto Mussolini incontrò il re e il principe Umberto a Napoli, e alle 20 di quella stessa giornata raggiunse Avellino. Il 25 ispezionò le zone delle operazioni e il pomeriggio del 26 salì al santuario di Montevergine per una visita in pompa magna. Qualche giorno dopo anche il re salì al santuario, che aveva già visitato quando viveva a Napoli come erede al trono col titolo di principe di Napoli, ma non trovò nessuno: l’abate e i frati non c’erano, stavano facendo passeggiate nei boschi odoranti di tigli, per una salutare distensione dopo le fatiche per l’accoglienza al duce.
Mussolini riprese i suoi viaggi, tra entusiastiche manifestazioni, nella zona delle operazioni. Fu a Sant’Angelo dei Lombardi, Bisaccia, Lacedonia, Calitri (valle dell’Ofanto), per trattenersi nei due giorni successivi in Lucania (a Potenza e a Matera).
Il 30 agosto fu l’ultimo giorno delle manovre. A conclusione della visita, nel pomeriggio, ad Avellino, imbandierata e tappezzata di manifesti, da un podio alto circa 6 metri posto davanti il palazzo del Governo, Mussolini rivolse al folto pubblico che gremiva strade e balconi un discorso (il discorso del Grande Rapporto) che venne radiotrasmesso dalle stazioni dell’Eiar e diffuso mediante altoparlanti in tutte le piazze d’Italia.
Il discorso del Gran Rapporto, grondante demagogia e retorica, che la tronfia prosa fascista iperbolicamente definì storico, si incentrò sui miti della patria e dell’efficienza dell’esercito, tanto da concludersi con una frase ad effetto “Abbiamo tirato diritto e così faremo domani e sempre”. A ricordo, fu murata sulla facciata del palazzo una lapide. La folla irpina, soggiogata dal delirio di onnipotenza che “tracimava” dalla figura, dai gesti e dalla straordinaria vis loquendi dell’abile oratore, accompagnò l’allocuzione con irrefrenabili applausi e scandendo il nome del duce, illudendosi, anche per la colpevole responsabilità della stampa locale, osannante incondizionatamente l’attività del regime, di risolvere i mali e i gravi problemi da cui era afflitta, come scrisse il prof. Giovanni Pionati (professore al liceo di Avellino, autore di storie locali, sindaco del capoluogo irpino in occasione del devastante terremoto del 1980), testimone oculare e autore di un libro sull’evento intitolato «Le grandi manovre del 1936. Mussolini ad Avellino. Memorie e immagini».
La mattina del 31 agosto nella piana di Volturara sfilarono davanti al re le truppe (60.000 uomini, 200 carri armati, 400 cannoni, 400 mortai, 3000 mitragliatrici, 2800 autocarri), che rappresentavano, come affermò con la solita enfasi Mussolini nel suo ultimo discorso, “una modesta, una quasi trascurabile frazione in confronto del totale di uomini e di mezzi sui quali l’Italia può oggi sicuramente contare”. Badoglio, quattro anni dopo, si opporrà all’entrata in guerra, ricordando a Mussolini che non avevamo neppure le camice per tutti i soldati e il duce gli rispose che aveva bisogno di 200 morti per sedere al tavolo della pace!
Alle ore 15,15 del 31 agosto Mussolini uscì dal Palazzo del Governo per recarsi a Salerno, dove in motoscafo raggiunse il trimotore, che lo aspettava in mare, per fare ritorno a Roma.
La visita in Lucania fu quindi semplicemente una parentesi, un contentino concesso alle confinanti province di Potenza e Matera, una visita improvvisata, con deficit organizzativi. Riferirò tre episodi, riguardanti il mancato passaggio per Palazzo San Gervasio, e le visite a Tricarico (viva per tanti anni nel ricordo e nei racconti dei tricaricesi, a cui accenna anche Rocco Scotellaro nell’ “Uva puttanella”) e a Grassano.
Palazzo San Gervasio è un paese che prende il nome dal palazzo di caccia che il re Manfredi di Svevia si era fatto costruire, si sviluppò lungo e ai lati di un bellissimo ed elegante corso fatto costruire dal re, a cui è dedicato. Il passaggio di Mussolini tra due fitte ali di folla plaudente sarebbe stato un vero trionfo.
Tutto gli abitanti di Palazzo e tanti altri venuti dai paesi circostanti, lugubremente in camicia nera, inzepparono i marciapiedi come sarde in scatola, i caporioni fascisti correvano su e giù, davano ordini, spostano di posto tizio o caio, questo o quel gruppo.
Era una giornata torrida. Mischiando al nero delle camicie nere dei fascisti l’innocenza dei grembiuli bianchi con fiocco azzurro dei bambini dell’asilo e delle camicette bianche su gonne nere delle bambine e delle ragazze, i caporioni fascisti si sforzavano di realizzare un gradevole effetto cromatico favorito dall’abbacinante accanimento della luce piena.
Tra i bambini dell’asilo c’ero anch’io, che, all’apertura del nuovo anno scolastico, sarei stato iscritto alla prima elementare e sarei diventato figlio della lupa.
Stare per ore sotto la sferza del sole, anche se si trattava di sacrificio offerto a Benito Mussolini, fu un tormento, che io, come dirò tra poco, pagai letteralmente col sangue.
Passavano le ore, ma non passava il duce. Il podestà, il segretario del fascio, i gerarchi e tutti i fascisti, tutti in nero da capo a piedi, cominciarono a manifestare perplessità mal camuffata, ad agitarsi, a interrogarsi, a battere il corso da un punto all’altro; parlottavano, si sbracciavano, cercavano di rassicurare: – Il Duce sta per arrivare, è giunto qui, è giunto la, si è fermato a parlare con una folla plaudente a … _. Ma, alla fine, dovettero arrendersi all’evidenza e annunciarono che il percorso era stato modificato nel corso del viaggio per ragioni di forza maggiore e sciolsero l’adunata, gridando a squarciagola: Viva il Duce!
Da bambino ho sofferto di epistassi. Quel mancato passaggio di Mussolini atteso per ore sotto la cappa bollente di un sole infuriato mi procurò una copiosa perdita di sangue, che quasi mi dissanguò. Ma più per il sangue della grave e inarrestabile emorragia, che tenne in apprensione i miei genitori, io piangevo per non aver visto il duce.
Passati gli anni, riflettendo su cosa spinse Mussolini a dirottare il percorso verso Potenza, mi fu chiarissimo che la ragione si chiamava Francesco Ciccotti Scozzese. Mussolini non poteva onorare, col passaggio del suo corteo, l’uomo di Palazzo San Gervasio che si era scontrato con lui in un duello con la sciabola all’ultimo sangue, o forse addirittura temette che qualche sodale di Ciccotti avrebbe osato sfidare la galera e inscenare una qualche manifestazione, macchiando il trionfale viaggio nel Sud. Se il passaggio per Palazzo San Gervasio era stato annunciato e la trionfale accoglienza era stata attentamente organizzata, certamente Mussolini ne era al corrente e aveva autorizzato il percorso, invece si registrò inopinatamente un cambio di programma, soffocato nel più assoluto oblio.
Ma quando gli illustrarono il percorso, non gli fecero il nome di Palazzo San Gervasio? Possibile che non ricordasse il furioso duello accanitamente combattuto per ore e ore e che non ebbe termine con la morte di uno dei due contendenti grazie all’intervento dei medici membri della giuria, che disposero la sospensione del duello a causa di una grave crisi cardiaca che aveva colpito Ciccotti? Possibile che non ricordasse che Palazzo San Gervasio era il paese di Ciccotti, una volta suo fedele amico e compagno rivoluzionario, che l’aveva sfidato a duello, avendolo chiamato “lercio basilisco”?.
La SS 7 via Appia, seguendo il percorso dell’antica strada consolare, congiungeva Potenza a Matera, lambendo i paesi intermedi (Vaglio, Albano, Tricarico, Grassano, Grottole, Miglionico). Mussolini fece brevissime soste a Tricarico e a Grassano.
A Tricarico il duce fece una breve sosta ai Cappuccini per ricevere il saluto delle autorità e l’omaggio entusiasta della popolazione. Pierino Biscardi, nipote del colonnello Sanseverino, grande invalido di guerra e, se non sbaglio, allora segretario del fascio locale, fu scelto per consegnare un mazzo di fiori al duce. Mussolini lo cinse ai fianchi, lo sollevò e gli stampò un bacio in fronte. Don Pasquale Bianchi, esattore comunale, con le braccia spalancate, si lanciò incontro a Mussolini per fascisticamente abbracciarlo, ma Achille Starace, segretario nazionale del partito fascista, lo stese al suolo con un potente uppercut.
Questo è tutto. Ce lo siamo raccontato per anni e l’ha raccontato anche Rocco Scotellaro nel VI capitolo della parte seconda dell’Uva puttanella, inserendolo nel contesto del ricordo di altre trionfali accoglienze del racconto della “liberazione” di Tricarico il 18 settembre 1943. Scotellaro mette in evidenza che alla “liberazione” assistettero i soliti “piazzaiuoli” e mancavano i contadini. Scrive: «Come mai quelle poche centinaia di donne e di piazzaiuoli: c’erano i preti, i commercianti, gli artigiani, gli studenti, erano così giulivi, le loro mani erano pronte a scattare in applausi, la loro bocca a gridare «viva »> Quei preparativi, quell’attesa sono casi rari: per Nitti e Ianfolla ai tempi delle elezioni, per il vescovo che venne sul cavallo bianco, per il Dottore che tornò dal confino, poi per Mussolini che si prese in braccio il figlio d’un capitano caduto, lo baciò, lo dette nelle braccia d’un altro, rientrò in macchina mentre Starace prendeva a pugni l’esattore che voleva avvicinarsi in un impeto d’affetto patriottico sicché tutta la folla dietro i cordoni smise di gridare».
Francesco Saverio Nitti e Vincenzo Janfolla erano illustri parlamentari lucani eletti nella circoscrizione della Basilicata. Insigne economista, Nitti è stato professore universitario di scienza delle finanze, autore di un pregevole manuale di questa materia adottato in tutte le università e sul quale ho avuto il piacere e la fortuna di affinare la mia preparazione. Deputato in varie legislature e presidente del consiglio dei ministri, antifascista, fu il primo politico a recarsi in esilio a Parigi. Ristabilite le libertà democratiche, è stato membro dell’Assemblea costituente e senatore. Come capo del governo affrontò la riforma elettorale, la questione fiumana e le trattative di pace di Parigi.
Vincenzo Janfolla, nato a Potenza,. è stato professore universitario di diritto e parlamentare eletto nella circoscrizione della Basilicata. Avverso al fascismo, rinunciò alla vita politica e si dedicò alla professione di avvocato a Napoli. La sua oratoria avvolgente lo vide tra i grandi principi del foro napoletano. Ricordo che il senatore Schiavone, incontrato l’on. Colombo, si complimentò vivamente con lui per un discorso che qualche giorno prima aveva tenuto al Senato. «Mi hai commosso – disse – mi è parso di risentire Janfolla”. Janfolla è morto a Potenza il 9 settembre 1943 per un beffardo gioco del destino. Per sfuggire ai bombardamenti, che si erano intensificati con particolare virulenza su Napoli nell’estate del 1943, avendo di mira anche obiettivi civili, Janfolla pensò di rifugiarsi con la famiglia nella sua casa di campagna di Potenza, che fu rasa al suolo nel corso del secondo bombardamento della mattina del 9 settembre. Janfolla rimase ucciso sotto le macerie.
Il «dottore tornato dal confino» è il dott. Italo Bruno, detto don Ettore Bruno, nonno della farmacista Lucrezia Bruno.
Il vescovo che venne sul cavallo bianco è Mons. Raffaello delle Nocche, dichiarato Venerabile il 10 maggio 2012.
Il passaggio da Grassano di Mussolini è brevemente descritto in uno scritto autobiografico privato di Antonio Albanese, di cui mi dette copia. «Avrebbe, Mussolini, fatto una sosta davanti il portone dell’abitazione dell’avvocato Nicola Ferri, neo-preside della Provincia, (il portone di casa Ferri dava sulla strada rotabile). Grassano è un piccolo paese del Sud e quindi grande era l’agitazione per la sosta del Duce, durata non più di una mezz’ora. Si sa che il Duce diceva di amare le famiglie numerose e quindi i bambini. Si accesero discussioni su chi di questi avrebbe offerto al Duce un mazzo di fiori. Il maestro Nardelli sosteneva che il bambino dovesse essere il più bravo di tutti gli alunni del plesso. Secondo lui, il più bravo ero io. Ma c’era il figlio del segretario del fascio locale, mio compagno di classe, il cui padre voleva questo “onore”. Alla fine, data l’insistenza del maestro Nardelli sul mio nome, e data l’autorevolezza del maestro Nardelli, i mazzi di fiori da offrire al Duce furono due. Così, dopo averglieli dati, il Duce ci prese in braccio e ci baciò. (Credo che di questo gesto di Mussolini debba esserci un documento fotografico)».
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Come sempre, preziosi i tuoi contributi a farci rivivere il passato, con riferimento alla Basilicata, a Tricarico e, naturalmente, Rocco Scotellaro. Questa volta i tuoi ricordi sono arricchiti da un’aneddotica estremamente importante anche e soprattutto perché da te vissuta direttamente. Ci hai riproposto un quadro che sarebbe opportuno farlo conoscere a quanti avessero dimenticata la folle atmosfera che colpì la nostra società, provocandole i danni che tutti conosciamo. E speriamo che non abbiano più a tornare a verificarsi. Grazie davvero, Antonio.
Ho paura, ho una fottuta paura che sia vana ogni speranza.
Ho letto con piacere questo lontano ricordo e ho scoperto
questa cronaca che ho sempre ricercato. A quel tempo avevo due anni e mezzo e a Potenza quando Mussolini si fermò fui il bambino, vestito da figlio della lupa, che porgendo un mazzo di fiori fui sollevato da Starace e baciato dal duce (ho una foto).Non conosco i motivi per cui fui scelto, credo perchè vestito da figlio della lupa. Storia lontana senza valore, comunque grazie per avermelo fatto rivivere.
Quale giorno e a che ora avvenne la visita a Grassano?
Quale giorno e a che ora avvenne la visita a Grassano?
Non fu una visita bensì un passaggio. Percorrendo la via Appia da Potenza a Matera, Mussolini dovette passare per Tricarico prima e poi Grassano, Grottole ecc., dove si fermò un cinque minuti. Forse fu il mattino del 27 o del 28 agosto 1936. Ma che domanda …!
Salve, articolo molto interessante per il racconto diretto di quei momenti a Palazzo San Gervasio.
La nostra Associazione PALAZZO ARTE CULTURA gradirebbe contatto. Complimenti a quanti si spendono per tenere su questo sito.
La pubblicazione su un sito “palazzese” del mio ricordo della mancata visita del duce a Palazzo mi ha commosso.Grazie.
Invio i link di altri due ricordi: in uno si parla di “don Ciccio” Ciccotti con ampio contorno, nell’altro si tratta della questione della collocazione della “fontana di Banzi”, citando ampiamente il palazzese prof. Lichinchi, insigne latinista.
https://www.rabatana.it/?p=5763141
https://www.rabatana.it/?p=5762247
Ho altra roba, ma mi è difficile trovarla nel mio disordine. Se trovassi qualcosa, gliela mando.
Cordiali saluti, Antonio Martino
Grazie prof. Martino, la relazione “suggerita” tra Palazzo San Gervasio, Banzi, Venosa, Vincenzo Lichinchi e la Fons Bandusiae casca a fagiolo su una ricerca in corso e che non mancherà di sorprenderLa. Ringrazio per la generosa disponibilità e mi auguro di risentirla al più presto.
Gennaro Ungolo – Palazzo San Gervasio – Milano