In riferimento all’articolo “Omaggio alla cucina lucana e alla salsiccia di Tricariuco” mi è stato chiesto di dire qualcosa del racconto Sotto il sole giaguaro di Italo Calvino. Avrei preferito che mi fosse stato chiesto in calce al suddetto articolo, sul blog, non con messaggi. Cerco tuttavia di soddisfare la non facile richiesta, aiutandomi con i miei ricordi del racconto di Calvino e piluccando siti Internet. Sotto il sole giaguaro comprende tre dei racconti che Calvino avrebbe voluto dedicare ai cinque sensi, da lui in parte precedentemente pubblicati su riviste ed è anche il titolo in un secondo momento dato al secondo racconto. I tre racconti sono dedicati, nell’ordine, all’olfatto (Il nome, il naso), al gusto (Sapore-Sapere, poi Sotto il sole giaguaro) e all’udito (Un re in ascolto).
Il progetto iniziale dello scrittore era scrivere cinque racconti, ognuno dedicato ad uno dei cinque sensi (udito, olfatto, gusto, vista e tatto). L’opera, rimasta incompiuta (mancano infatti i racconti dedicati alla vista e al tatto), è stata pubblicata postuma dall’editore Garzanti, a nemmeno un anno dalla scomparsa dell’autore.
In una conferenza tenuta nella primavera del 1983 all’Institute for the Humanities di New York, Calvino, parlando del libro che stava scrivendo, disse (ritengo in senso generale) che “parla dei cinque sensi, per dimostrare che l’uomo contemporaneo ne ha perso l’uso. Il mio problema scrivendo questo libro è che il mio olfatto non è molto sviluppato, manco d’attenzione auditiva, non sono un buongustaio, la mia sensibilità tattile è approssimativa, e sono miope”.
Nei racconti lo scrittore cerca di mettere il senso protagonista al centro di una delicata indagine conoscitiva del mondo esterno, sottolineando il fatto che affinare i propri sensi significa riscoprire quello che già conosciamo o, semplicemente, quello che pensavamo di conoscere fino ad adesso. Attraverso un uso della scrittura unicamente sensoriale, Calvino annusa, gusta e ode il mondo circostante come se avesse, a intermittenza, solo naso, bocca e orecchie.
Così, nel primo racconto, Il nome, il naso, composto da tre mini-episodi intrecciati e alternati fra loro, l’olfatto diventa fondamentale per ritrovare la propria donna perduta nel branco dell’umanità. Lei che sola ha quel particolare odore, quella sublime fragranza capace di risvegliare istinti primordiali di cui abbiamo perso memoria. E diventa inutile, allora, quasi frustrante, avere la vista – il senso che forse usiamo maggiormente – ma non riuscire a “vedere”, se non con il naso.

Sapore- Sapere, poi Sotto il sole giaguaro, è il secondo racconto, dedicato interamente al senso del gusto. Un uomo e una donna, in viaggio in Messico, riscoprono gradualmente la loro intimità sessuale attraverso la cucina locale, particolarmente speziata, ricca di peperoncino e erbe aromatiche. Perché tutta questa ricchezza di sapori? La risposta che Calvino sa dare a questo interrogativo, che prende forma pasto dopo pasto, sarà tanto sconvolgente quanto antropologicamente affascinante.

Il terzo racconto, infine, Un re in ascolto, è sviluppato in una forma quasi teatrale, una sorta di monologo interiore delirante, a tratti ossessivo. Un re, appena salito al potere, si trova a dover stare immobile e in allerta, seduto sul proprio trono: non gli si addice infatti muoversi, tanto per il decoro personale, quanto per il pericolo di essere spodestato. Altro non può fare, allora, che rimanere in ascolto, giorno e notte. Il palazzo prima, la città poi, diventano, così, un’amplificazione del suo timpano. Tutto diventa suono, rumore, sussurro o grida di congiura al punto che non si capisce più quale sia la realtà esterna o quella interna, propria del re ormai ossessionato.

Riprendo il racconto di “Sapore-Sapere”, poi “Sotto il sole giaguaro”. Esso – ed è significativo, è il solo dei tre racconti ad avere un prologo, ossia la definizione di gustare data da Niccolò Tommaseo nel Dizionario dei sinonimi. Lo riporto:

Gustare, in genere esercitare il senso del gusto, riceverne l’impressione, anco senza deliberato volere. o senza riflessione poi. L’assaggio si fa più determinante a fin di gustare e di sapere quel che si gusta o almeno denota che dell’impressione provata abbiamo un sentimento riflesso, un’idea, un principio d’esperienza. Quindi è che sapio ai Latini valeva in traslato sentir rettamente: e quindi il senso dell’italiano sapere, che da sé vale dottrina retta, e il prevalere della sapienza sopra la scienza.

Se gustare conduce al latino sapio, sapere, e sapere, in italiano, significa assaporare il gusto ed anche, in traslato, il sentire rettamente, sapientemente: ecco che la sapienza prevale sulla scienza, e attraverso il gusto, che affiniamo dei cibi di un territorio, impariamo a conoscere quel territorio e a fissare la sua singolare, unica e immutabile identità.
I protagonisti del racconto sono marito e moglie durante un viaggio in Messico, proprio nel momento in cui, dice il marito che narra la storia, l’intensità fisica sta attraversando una fase di rarefazione se non d’eclisse, più pesante da sopportare perché entrambi sono convinti che solo nell’unità della coppia le loro soggettività individuali trovano amplificazione e completezza. Sono due esseri differenti ma complementari, accomunati e divisi dalla stessa passione per i sapori che vivono in modo diverso in armonia con i loro temperamenti: Olivia, la moglie, più sensibile alle sfumature percettive e dotata di una memoria più analitica, conserva ogni ricordo distinto, inconfondibile; il marito è più portato a definire verbalmente le esperienze, a tracciare la linea ideale del viaggio interiore compiuto contemporaneamente al viaggio geografico. Olivia vede e sa cogliere molte più cose del marito il quale è consapevole che il suo rapporto col mondo passa attraverso di lei.
I due sono in viaggio in Messico e il paesaggio assolato, punto di sfida tra le civiltà d’America e di Spagna, è visto sia nel suo aspetto naturale che nei suoi monumenti, meglio sarebbe dire è assaporato, perché ogni particolare è colto come elemento di una potenziale ricetta da gustare: nell’assolata e arida campagna nascono le agavi per il metzcal e la tequila.
Marito e moglie hanno una particolare idea del viaggiare, del conoscere: in un mondo in cui tutto ciò che è visibile si può vedere anche alla televisione, senza muoversi dalla propria poltrona, il solo modo di viaggiare che abbia un senso in quanto introiezione di un fuori diverso dal nostro abituale, implica un cambiamento totale dell’alimentazione, un inghiottire il paese visitato nella sua fauna e nella sua cultura, facendolo passare per le labbra e per l’esofago.
Marito e moglie vivono una straordinaria condivisione di esperienze sul piano dei sapori. Cominciano a comunicarsi tutto ciò che sentono attraverso i sapori o meglio comunicano, per mezzo dei sapori, attraverso un doppio corredo di papille, quelle del marito e quelle della moglie. Così il rapporto di coppia che sembrava essersi rarefatto, riprende vigore di fronte alla tavola apparecchiata, attraverso una cucina afrodisiaca che però è tale solo in sé e per sé, nel senso che stimola desideri da soddisfare solo nella sfera delle sensazioni che li avevano fatti nascere, assaggiando nuovi cibi. E i due vivono in un clima di complicità la conoscenza del paese che diventa gusto, tensione ad assaporare, a capire attraverso i sapori, fino a quando, visitando le rovine del monte Alban, vedono i bassorilievi dove è rappresentata la storia dei popoli che si sono succeduti in quel luogo ed i riti sanguinari che accompagnavano una concezione del tempo ciclica e tragica, con sacrifici umani ai quali era destinato, quasi segno di grande privilegio, chi vinceva, non chi perdeva, nell’offerta al sole di un cuore palpitante affinché l’aurora tornasse ogni mattino ad illuminare il mondo.
Marito e moglie, mentre pongono ripetute domande alle guide per sapere se quei popoli praticassero il cannibalismo, sono trascinati quasi a farne metaforicamente esperienza. Il cannibalismo diventa l’idea fissa delle loro scorribande e delle loro esperienze: attraverso reticenze e mezze risposte capiscono che i resti dei sacrifici venivano cucinati in modo da non attutirne il sapore ma addirittura esaltarlo in una cucina sacra che doveva celebrare la terribile armonia degli elementi raggiunta attraverso il sacrificio; capiscono che l’esperienza era vissuta da quei popoli in modo assoluto,
La risposta alla curiosità dei due turisti ed al loro desiderio di un’esperienza unica ed assoluta, avviene nel territorio dei Maja e precisamente di fronte al bassorilievo del sole giaguaro, dove è rappresentato il re sacerdote nell’atto del sacrificio visto come una discesa del corpo sacrificato agli dei sottomarini e una rinascita nella vegetazione. L’uomo che di fronte al bassorilievo rivive la scena, così racconta la sua esperienza: Discesi e risalii alla luce del sole giaguaro, nel mare di linfa verde delle foglie. Il mondo vorticò, precipitavo sgozzato dal coltello del re sacerdote… l’energia solare scorreva per reti fittissime di sangue e di clorofilla, io vivevo e morivo in tutte le fibre di ciò che viene masticato e digerito, in tutte le fibre che s’appropriano del sole mangiando e digerendo.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.