Il senso di colpa del dottor Zivago
Il 27 settembre è uscito per La nave di Teseo, collana Le Onde, un libro di Pierluigi Battista «Il senso di colpa del dottor Živago» su Boris Pasternak, poeta premiato con il Nobel nel 1958. Solo l’anno prima il romanzo che gli valse il Nobel, proibito nell’Unione Sovietica e avversato, era stato pubblicato, in Italia, dalla Casa editrice Feltrinelli.
Riaffiora una vicenda editoriale, letteraria e politica coinvolgente e sconvolgente, il ricordo di un romanzo che molto contribuì al crollo dell’impero sovietico: non era una romanzo politico, ma poesia, pure e alta poesia.
Feltrinelli in Italia riuscì a compiere l’impresa di battere la concorrenza di editori americani e francesi (ma non di Einaudi in Italia, stante l’incredibile opposizione di Italo Calvino alla pubblicazione del romanzo) e lo pubblicò nel 1957.
Fu un successo editoriale mondiale, il romanzo fu pubblicato in tutto il mondo (tranne che in Russia, dove sarà pubblicato solo nel 1988) e fu trasposto in film nel 1965. Fu letto da milioni di lettori, e altrettanti spettatori videro il film.
L’accennata vicenda formò un vissuto di passioni e accanite discussioni e letture di giornali e riviste, e film e recensioni di quel film.
Nel corso del tempo passioni e interessi si sono quietati almeno nelle masse. Nelle librerie può scorgersi il dorso del libro letto e riletto e poi lasciato lì senza mai riprenderlo per consultare un solo rigo. Restano, invece, lucidamente Lara, la protagonista del film, e il dolce viso di Julie Christie, che la interpreta; e la musica del film alla quale fu attribuito uno dei cinque Premi Oscar riconosciuti al film, Il Tema di Lara, che non si può dimenticare e si può riascoltare. Non posso non pensare che Rocco Scotellaro non fece in tempo a conoscere quella vicenda e a spiegarcela; quante volte torno indietro di oltre mezzo secolo coi ricordi, e Rocco già non c’era più.
Resta, infine ancora l’idea – mi pare di non sbagliare – che Boris Pasternak sia un eroe (e che il dottor Živago impersoni lui).
Sconvolgente di segno opposto è stata ora la lettura del libretto di Battista (un libretto formato tascabile di 94 pagine).
Fa un grande effetto questo sorprendente libricino, dove in meno di cento pagine si distende d’un fiato un labirinto di disvelamenti di uomini e donne, poeti ed editori, spie e dittatori, telefonate, carteggi segreti, letteratura e verità.
Si presenta un’altra realtà; altra rispetto a quella che si immagina fosse stata o ricostruiamo con i frammenti di ricordi confusi.
Battista scopre un altro dottor Živago (vale a dire: un altro Boris Pasternak). Forse in questi decenni si è continuato a scavare sulla vicenda politica, letteraria ed editoriale – e sulla vita – di Boris Pasternk e l’altra realtà che sembra apparire è in effetti non una nuova ma la vera verità.
«Ma è tutto vero ciò che ho raccontato in questa storia?» si domanda Battista all’apertura dell’ultimo paragrafo del suo libretto, Postilla. «Certamente no – risponde – se per vero si intende l’accertamento filologicamente testuale, come sarebbe obbligatorio in un saggio con pretese scientifiche, dei dialoghi e dei riferimenti fattuali così come sono stati ricostruiti». «Certamente sì – continua -, perché i fatti raccontati sono tutti, nessuno escluso, desunti da memorie, lettere, ricordi, testimonianze, ritratti biografici e autobiografici a cui ho voluto dare una coerenza narrativa, e soprattutto una personale ma non arbitrari interpretazione, per illustrare il “senso di colpa” di Boris Pasternk, alimento psicologico e culturale primario di Dottor Živago, uno dei più grandi capolavori della letteratura del ventesimo secolo».
«Quella che segue … non è una biografia rigorosa e con l’ambizione dell’esaustività, ma un percorso tra i libri che mi hanno accompagnato e suggestionato (e ossessionato) nel corso degli anni e hanno lasciato tracce profonde in ciò che ho voluto scrivere qui».
Sono tracce profonde che mi portano a conoscere un nuovo Boris Pasternak (che non confonderei tout court col Dottor Živago). In questo libretto si racconta la vita da romanzo di Boris Pasternk, una storia avvincente di donne e poeti, spie e carteggi segreti, in cui si intrecciano pericolosamente letteratura e passione e scorre la vita ambigua di Pasternak verso un regime che contesta in provato ma non esita ad appoggiare pubblicamente, tradendo gli ideali dei compagni intellettuali come la poetessa Anna Achmatova, figura centrale di questo racconto e Osip Manadelštam. Entrambi conosceranno gli orrori della Lubjanca.
La polizia culturale aveva diffamato Anna Achmatova come una figura ripugnante: “metà suora e metà sgualdrina. Per paura delle ripetute perquisizioni notturne, con la sua casa perennemente sorvegliata da nugoli di spie, bruciò tutti i suoi manoscritti dopo averli imparati a memoria, compreso un abbozzo teatrale in cui una donna viene condannata in un processo grottesco da un tribunale formato da scrittoti, un’allegoria della complicità degli intellettuali. Tra questi Achmatova non includeva Pasternk, per cui provava affetto e stima e forse (ricambiata) altro, e che invece considerava uno dei più grandi poeti viventi, anche se metteva spesso in luce la debole “fibra morale” e la irredimibile mancanza di coraggio.
Anna Achmatova, che conosceva bene le debolezze del suo grande amico, era solita porre questo ironico test ai suoi amici: “Tè o caffè? Cane o gatto? Pasternk o Manadelštam?” Alla fine, a un certo punto Pasternk sentì che la grandezza stava nell’essere forte come il caffè, libero come un gatto, e soprattutto coraggioso come Manadelštam. Sentì il senso di colpa per aver cercato e goduto i vantaggi del regime: una comoda dacia invece dei lavori forzati dei suoi amici; il senso di colpa per non aver mai scritto la verità e per aver servito in silenzio il tiranno allo scopo di non perdere prebende, onori, fama, pubblicazioni, favori.
L’altro grande amico di Paternak, Manadelštam, più volte arrestato, morì durante un trasferimento in un campo della Sibeia. La moglie Nadežda aveva imparato a memoria tutti i versi del marito per un disperdere un patrimonio di poesia e di cultura requisito dagli apparati di censura. Pasternk si afflisse tutta la via per non aver voluto o saputo salvare il suo amico Osip Manadelštam.
Una notte successo qualcosa di veramente straordinario. Il telefono di casa Pasternk squillò e una voce dall’apparecchio annunciò: “Il compagno Stalin vuol parlare con voi.”
Pasternk, incredulo e anche impaurito, ammutolì. Non gli restava che ascoltare la voce del tiranno che lo aveva cercato.
“Di’ un po’” esordì Stalin quella notte al telefono, “cosa si dice nei vostri circoli letterari riguardo all’arresto di Manadelštam?”E Boris, balbettando una risposta vaga per non compromettersi: “Non ne dicono nulla, nessuno ne dice niente. E poi esistono davvero questi circoli letterari?”
Stalin incalzò dopo un silenzio lunghissimo: “E allora dimmelo tu cosa pensi di lui come poeta.”
Boris temporeggiò: “Certo è un poeta molto grande, però ecco, diverso, più accademico. Ma che importanza può avere questo discorso?”
Silenzio. E poi ancora Stalin, beffardo: “renditi conto che non hai nemmeno saputo difendere un compagno,”
L’umiliazione di Pasetrnak non era ancora finita: “Se a un mio amico fosse capitata una disgrazia, mi sarei fatto in quattro per salvarlo”, si accanì infatti, gelido, Stalin.
Pasternk entrò in confusione. Strapazzato in quel modo dall’uomo che in quegli anni aveva sugli esseri umani un potere assoluto di vita e di morte, arrivò a un passo dal rinnegare l’amico perseguitato: “Ma perché parliamo sempre di Manadelštam? Piuttosto è da tempo che vorrei parlare con voi di altri argomenti.”
E Stalin: “E di che cosa vorresti parlare con me?”
“Della vita e della morte”, azzardò Pasternak. Stalin non disse nemmeno una parola e riattaccò con disprezzo.
Chiudo questa presentazione del libretto di Battista con un accenno all’ultimo capitolo, postumo, della vita sentimentale dello scrittore, segnata da amori folli e abbandoni repentini: dalla seconda moglie Zinaida, rubata a un amico, alla poetessa Marina Cvetaeva, fino all’incontro folgorante con la nuova musa, Olga Ivinskaja.
Quando il 10 agosto 1910 la polizia sovietica bussa alla porta di Olga, la donna conosce già il motivo di quella visita sgradita. Da quindici anni è infatti l’amante, l’amica, la confidente di Boris Pasternak, diventato un nemico della patria all’indomani della pubblicazione clandestina del Dottor Živago. Olga è entrata a tal punto nel cuore di Pasternak da ispirare la protagonista femminile del romanzo, Lara. Nel 1960 Pasternak è oramai morto da qualche mese, sono passati tre anni dalla pubblicazione del romanzo e due dal Premio Nobel, e così Olga finisce in Siberia dopo un processo sommario.
Non era la prima volta che Olga veniva arrestata e imprigionata semplicemente per il suo amore per Boris Pasternk.
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Caro Antonio,
ho letto ben due volte quello che hai riportato da Battista,anch’io sono rimasto un po’ spiazzato scoprire un Pasternak praticamente codardo e opportunista.
Non capisco perché si afferma che Calvino sia stato contrario alla pubblicazione del dottor Zivago, questo poeta e questo libro sono tra quelli proposti alla lettura nel suo libro “perché leggere i classici”. Calvino non condivideva certi giudizi di Pasternak per taluni atteggiamenti del proletariato (leggi soprattutto degli apparati burocrati socialisti) e la loro ondivaga fede rivoluzionaria. Per mia personale esperienza questo giudizio del poeta é da condivider ancor oggi giacché il venir meno del senso di classe da parte del proletariato é una delle cause anche dell’attuale cannibalismo dei capitalisti e dei pescecani ingordi presenti nelle acque del mondo finanziario internazionale.
Dobbiamo rassegnarci a questa assurda deriva populista e nichilista che già nel secolo scorso ha portato guerre e razzismo sia ad est che ad ovest?
A me piaceva credere alla possibilità che la classe operaia potesse essere la seconda gamba di una evoluzione cristiana della società, peccato che tutte e due le gambe ormai sono rotte.
Stammi bene
Mimmo
Caro Mimmo, Un anno fa Vittorio Strada sentì il bisogno di intervenire sulla vicenda editoriale del dott. Zivago; si può leggere apprendo questo link http://www1.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200711articoli/27381girata.asp.
Dalla pubblicazione ad oggi sono passati 60 anni e almeno una quarantina dal libro di Calvino perché bisogna leggere i classici. Nel 1957 il dottor Z. non era un classico ma un manoscritto in predicato se pubblicarlo o no.
Rassegnarsi? NO! Ma sono sicuro che tempi duri e amari attendono le mie nipotine. Anche tu stammi bene. Antonio