Lingue «morte»

I Greci e i Romani non ci sono più. Le comunità che nelle piazze, nei mercati, nelle assemblee usarono il greco o il latino come spontaneo strumento di comunicazione si sono estinte da secoli, anzi da millenni, e le loro lingue sopravvivono solo attraverso la rigida, quasi pietrificata testimonianza della scrittura. Questo significa che il latino e il greco sono lingue «morte››, come del resto comunemente si dice. La qual cosa, secondo un giudizio tanto superficiale quanto (purtroppo) frequente, agli occhi di molti le fa immediatamente relegare nella categoria dell’inutile – «A che serve studiare lingue che nessuno parla più?. ›> si obietta. «Meglio piuttosto imparare un po’ di inglese». Osservazioni legittime, almeno in apparenza, ma come minimo altrettanto banali. Viene in mente quel visconte che, nella pièce di Edmond Rostand, per criticare il naso di Cyrano seppe dire soltanto «Voi. ..voi … avete un naso… eh…molto grande!››
Il fatto che, messi di fronte a una lingua <<morta››, e al problema se farla studiare o meno, si possono formulare riflessioni assai più rilevanti del dire banalmente « eh … quella lingua … è morta». Specie nella prospettiva di un ragazzo che siede fra 1 banchi della sua classe non solo, o non tanto, per apprendere più 0 meno bene una lingua, ma per giocare una volta per sempre la carta fondamentale della sua formazione culturale.
Dunque di fronte al latino e al greco – < Iniziamo col considerare che si calcola che le lingue attualmente parlate sulla superficie del pianeta siano circa settemila. Sono molte, almeno in apparenza, ma sono sicuramente poche rispetto a quelle che, nel corso del tempo, si sono estinte per le motivazioni più diverse. Si è avuta un’autentica moria linguistica.
Quanto alla situazione delle settemila lingue ancora esistenti, in realtà il loro futuro in molti casi si presenta incerto. Gli studiosi calcolano infatti che fra esse oltre un migliaio siano in grave pericolo di estinzione: nei decenni che verranno c’è addirittura la possibilità che circa una metà delle settemila lingue superstiti scompaia definitivamente (mentre inglese, spagnolo e cinese mandarino sono destinate ad espandersi sempre più). Dunque le lingue muoiono, e con la morte di ciascuna di esse è un piccolo universo che scompare: un modo irripetibile di rappresentare e articolare la realtà, che corrisponde al genius proprio di ciascuna lingua. Perché il linguaggio non consiste solo in una filza di suoni attraverso i quali ci scambiamo messaggi, ma è pensiero, percezione, costituisce l’impalpabile sostanza attraverso cui prendono forma per noi tanto l’ambiente naturale quanto la società in cui ci si trova a vivere. La morte di qualsiasi lingua costituisce dunque una perdita dolorosa, che desertifica ulteriormente la meravigliosa varietà delle culture umane allo stesso modo in cui l’estinzione di tante specie animali e vegetali (a cui quotidianamente assistiamo) immiserisce la superficie del nostro pianeta rendendoci tutti più fragili. Ed è solo attraverso l’opera generosa di tanti linguisti se delle lingue scomparse possediamo almeno trascrizioni o registrazioni (spesso realizzate in extremis) che ci permettono di conservarne la memoria e studiarne se non altro la struttura.
In questo senso dunque il latino e il greco sono -purtroppo – in buona compagnia. Solo che non tutte le lingue muoiono allo stesso modo, né tutte le lingue morte sono uguali. Prendiamo in particolare il caso del latino. La vicenda di questa lingua, considerata oggi «morta», si è sviluppata sotto il segno del paradosso. Il suo espandersi – da idioma inizialmente proprio di una piccola comunità, a lingua di un impero – ha infatti coinciso con l’estinzione di molte altre. A cominciare dall’etrusco, che ebbe la sfortuna di essere parlato da un popolo confinante con Roma, per finire con le lingue appartenute a Galli, Iberi, Lusitani, Daci… Alla maniera dell’odierno killer english, come alcuni studiosi chiamano la lingua che un tempo fu propria solo dell’lnghi1terra, e che oggi si espande in aree sempre più lontane da quella originale, anche il latino ha <› molte lingue che erano vive e floride fino al suo avvento. Dopo di che anch’esso è andato incontro alla <<morte››, come sappiamo, ma si è trattato di un’estinzione ben diversa da quella toccata, per esempio, alle lingue parlate dai nativi di California o a quelle proprie di tanti gruppi aborigeni australiani.
La «morte» del latino, infatti, non solo è stata molto lenta, ma soprattutto parziale. In definitiva si è trattato di una morte solo apparente, visto che questo idioma sopravvive nelle numerose lingue romanze che da esso sono derivate e che ad esso (come abbiamo già detto sopra) sono regolarmente tornate nei secoli successivi attraverso l’educazione e la cultura. Sia pure modificati dal tempo e dalle vicende storiche, lessico e struttura del latino continuano a vivere nell’italiano, nello spagnolo, nel portoghese, nel francese… E anzi le parole latine hanno massicciamente occupato perfino la lingua attualmente più potente fra quelle parlate al mondo, l’inglese: che pur non avendo origini latine, ma germaniche, per il 7o per cento del proprio lessico presenta termini di origine variamente latina. Si è anzi calcolato che, delle mille parole che è necessario conoscere per accedere a una facoltà universitaria nei paesi di lingua inglese, il 9o per cento è di origine latina. Come si può considerare «morta» una lingua come questa? La vicenda che il latino ha subito non è paragonabile a quella toccata a tante lingue native americane o australiane, inappellabilmente defunte senza eredi. Il latino non è mai realmente morto. Non solo infatti ha continuato a vivere nei “vernacoli” romanzi, sia pure a prezzo di qualche parziale metamorfosi, ma in tutta la sua purezza o quasi ha continuato anche ad essere usato nei secoli come lingua di cultura: strumento di comunicazione fra dotti, scienziati, diplomatici, professori e studenti. Una lingua che ha avuto questa sorte e questa funzione non può essere seriamente definita <<morta››. Anzi, se si considera tutta la mutevole ricchezza che dal latino si è generata, e di cui ancora si continua a usufruire, la lingua dei Romani appare paradossalmente più viva di tanto italiano, sciatto e grossolano, che oggi risuona nella bocca di certi politici o comunicatori. Magari condito con qualche parola inglese – location, gender, advisor… – per farlo sembrare più in sintonia col presente: tutte parole, peraltro, invariabilmente o quasi di origine latina. Un’altra caratteristica comunque distingue il latino ~ e in questo caso anche il greco, quasi a maggior ragione – da tante altre lingue che nei secoli si sono estinte sulla superficie del pianeta: ci hanno lasciato in eredità un archivio di testi. Cosa che, per svariati motivi, non è avvenuta nel caso delle lingue amerindie o australiane, prive di scrittura fino all’avvento dei colonizzatori, ossia di coloro che ne decretavano contestualmente l’estinzione. Le lingue classiche ci sono state tramandate attraverso un archivio non solo amplissimo, ma estremamente prezioso, perché composto di testi nati all’interno di due fra le maggiori civiltà che la creazione culturale umana abbia mai prodotto. Testi che, come abbiamo già detto, nei secoli si è continuato a leggere, studiare e commentare, tanto che gran parte del nostro bagaglio filosofico, letterario e scientifico ha le proprie basi, non solo terminologiche, nella lingua e nella cultura che le opere greche e latine ci trasmettono; testi che ancora, nei tanti dipartimenti di Studi classici sparsi per il mondo, dall’Europa all’Australia, continuano ad essere interrogati con passione e profitto dagli studiosi. In definitiva, coloro che, posti di fronte all’insegnamento del latino e del greco nella scuola superiore, reagiscono con immediato fastidio chiedendo «perché studiare lingue morte?›>, dovrebbero piuttosto chiedersi se la loro domanda sia ben posta o meno. Queste lingue, infatti, «morte» non lo sono affatto.
Per altro verso, però, dobbiamo dire che proprio il carattere <<chiuso›› (pur se niente affatto «morto››) del latino e del greco ~ il fatto cioè che si tratti di lingue alle quali è possibile accedere solo attraverso testi scritti costituisce uno degli aspetti che ne rendono più prezioso e più interessante lo studio.
Se Virginia e Anna leggeranno le poche pagine del libretto che ho suggerito, comprenderanno in che senso lo studio del latino e del greco attraverso testi scritti è ancora più interessante.

 

7 Responses to Lingue ” morte “

  1. angelo colangelo ha detto:

    Ciao, Antonio. Ho letto la tua nitida testimonianza, che non posso non condividere. Esprimo, nel contempo, il forte rammarico che da anni in Italia, il Paese che più di tutti avrebbe dovuto salvaguardare uno studio serio del latino, si è colpevolmente provveduto a creare le condizioni per sbarazzarsene.
    Un atteggiamento incomprensibile e delittuoso.
    Un caro saluto,
    Angelo

    • antonio-martino ha detto:

      Grazie, Angelo. Condivido la tua pesante aggettivazione, poiché grande è la colpa della scuola. Un caro saluto, Antonio

  2. Paolo ha detto:

    A commento ripeto un detto dei vecchidella “Locride” che fu patria di Zaleuco:…..
    “Bono sò, li paroli di li muti”!
    Saluti cordiali Antonio.

  3. gilbertomarselli ha detto:

    Purtroppo, solo oggi sono riuscito a rintracciare questa preziosa mail de la Rabatana, che mi era sfuggit durante uno dei miei periodi di crisi. Condivido le posizioni tue, di Colangelo e del Paolo della Locride; ma vorrei permettermi di farvi notare che tutto è da addebitarsi all’impotenza nostra e dei Greci di reggere il passo con il continuo mutare delle tecnologie: ciò ha fatto sì che il disastroso ma inevitabile progredire della tecnologia e dell’inevitabile progresso che poteva derivarne ha fatto sì ch il greco ed il latino dovessero cedere il passo alla lingua inglese, ammantata di un decoro e di un potere che derivava esclusivamente dalla vastità dell’impero britannico di un tempo oltre che dall’adozione della lingua inglese anche da parte delle nuove ed inevitabili tecnologie. Ci resta la consolazione che, per proseguire il cammino indicato dal pensiero dei nostri Padri, si dovrà, per forza far ricorso al greco ed ancor più al latino. Nelle loro essenzialità, queste nuove tecnologie lo hanno capito e non esitano a farvi ricorso dando vita a specifici ‘neologismi’. Accontentiamoci di ciò, ma non cessiamo mai di difendere la primogenitura delle nostre lingue originarie. Bene hai fatto, caro Tonino, a proporci questa materia da considerare.

    • Antonio ha detto:

      Grazie, carissimo GIL, grazie della lettura e dell’idea che hai fatto balenare nella mia mente. Tricarico, oltre a Rocco, ha un altro poeta, poco o niente conosciuto, perché è difficile se non impossibile procurarsi i suoi libretti, ma certamente molto colto e di spessore. Coetaneo, amico e grande estimatore di Rocco, culturalmente libero e originale, può essere definito (a persone intelligenti) poeta antiscotellariano. Allo scadere del secolo scorso ha pubblicato uno studio su Orazio, con selezione e sua traduzione di versi del grande poeta venosino, dedicando una copia dello studio alla figlia, affinché Orazio le sia di guida. Spero di poter ricavare qualcosa di passabile. Ciao!

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