«Nicola Ferri»: chi è costui?

Chi è questo Nicola Ferri, al quale la nuova amministrazione comunale intende dedicare una via? Beh! Troviamo la risposta se andiamo a leggere il breve capitolo II della Parte seconda dell’Uva puttanella. Bisogna leggerlo Rocco se vogliamo conoscere il nostro paese, capire com’era ieri per imparare a capire com’è oggi e rendere più respirabile la sua aria, che pare si sia un po’ appesantita.
Con rapide pennellate Rocco disegna un ricco affresco di luoghi, personaggi e vicende della vecchia Tricarico.

     Cominciamo dalla piazza. Nelle seicentesche stampe di Tricarico una striscia in terra battuta attraversa il paese a metà del monte che scende verso i rioni bassi. Laddove la discesa si fa più ripida, e sembra quasi precipitare, nel medesimo luogo dov’è l’attuale piazza, la suddetta striscia in terra battuta si allarga e, nelle suddette stampe, figura come uno slargo. Nel tempo la ripidità della discesa sarà alleviata da un salto ottenuto con un’opera di contenimento in muratura della piazza e dai gradoni del Calancone; alla piazza saranno date grandezza e la forma attuali, la striscia in terrà battuta sarà ugualmente pavimentata e prenderanno forma il corso e l’attuale via Rocco Scotellaro.

     La vecchia piazza, fino alla prima sindacatura di Scotellaro, si presentava pavimentata con un giuoco di selci bianche che circondavano i ciottoli in un quadrato che si spezzava in tanti altri, e infine in losanghe entro i più piccoli quadrati, della lunghezza del passo. La descrizione trascura, nonché le losanghe, il monumento, anch’esso essenziale per descrivere il quadro completo delle consuetudini di godimento di quel centro vitale del paese: le autorità, i preti, il veterinario e gli avvocati coi loro clienti, per usare le parole di Scotellaro, che passeggiavano sulle selci bianche; gli altri che si piazzavano a parlare su uno dei quadrati; i bambini che giocavano allo scivolo sulle basi del monumento. Sulle selci bianche passeggiava solitario per lunghe ore, con l’immancabile paglietta in testa reclinata a sinistra, Renato Bitossi, militante comunista e ultimo confinato politico a Tricarico, dove si trovava il 25 luglio 1943.

     Lo sgabuzzino per la polizia urbana e campestre, negli anni antecedenti la descrizione di Scotellaro, era stato adibito ad ufficio dell’usciere di pretura; all’ora del tramonto ospitava i canonici del numeroso Capitolo della Cattedrale, che prendevano il fresco e chiacchieravano seduti, lungo il muro, sulle sedie dell’ufficio e su altre gentilmente prestate da Giustina Binetti, che gestiva una trattoria al lato dello sgabuzzino. In questo erano ancora visibili le tracce di una porta, la Porta di Piazza di cui parla Scotellaro.

     Non richiede commenti la puntuale descrizione dei luoghi intorno intorno la piazza che si legge nell’UP, se non per accennare che l’autore rende concretezza storica al ricordo della vigna nella piazza e al ricorrente minuetto «‘mammeng?’, ripetuto tre volte, e alla cinica risposta ‘ammìnt e frècat’, ripreso anche in una canzone dei primi Tarantolati di Tricarico di Antonio Infantino, Franco Ferri, Rocco Paradiso e Marcello Semisa, dove si vedeva un ombrello calare dolcemente dal muraglione del palazzo ducale, al posto del povero disperato falegname Michele rovinato da un sequestro.

     Scotellaro precisa che «La piazza la fece il sindaco che stette trent’anni sopra il municipio», aggiungendo, più avanti, che prima dei ciottoli e delle selci c’era la vigna. “Quando in piazza c’era la vigna” era espressione, forse ancora in uso, che allude metaforicamente a tempi preistorici. Ma qui Scotellaro pare dirci che il sindaco che era stato trent’anni al municipio fosse stato l’amministratore che avesse provveduto a compiere la grande opera che ho innanzi descritto. La «vigna nella piazza» forse non è una metafora ed è più vicina e reale di quanto si possa pensare.

     Il sindaco che «fece» la piazza, se la congettura è corretta, fu don Nicola Ferri, (ecco svelato il mistero) l’amministratore di più lungo e proficuo corso del Comune di Tricarico e della Provincia di Matera. Indubbiamente un uomo di potere e del fare. «Don Tommà!» – disse al dott. Tommaso Santoliquido, nel 1932 funzionario della prefettura di Matera e commissario prefettizio del Comune di Tricarico, mostrandogli la «cimice», come veniva spregiativamente chiamato il distintivo del partito fascista che si portava obbligatoriamente all’occhiello – Vedete, don Tommà: qui c’è l’acronimo P.N.F. Oggi significa Partito Nazionale Fascista, ieri significava Partito di Nitti Francesco Saverio, ma ieri, oggi e domani ha significato, significa e significherà Partito di Nicola Ferri -. Questa boutade di don Nicola me la raccontò molti anni dopo lo stesso don Tommaso Santoliquido (ahimé, quanto sono vecchio!), che si era ritirato a Reggio Emilia ultima sua sede di servizio, godersi la pensione, che arrotondava con pareri in campo amministrativo, in cui aveva larga esperienza.

     La pavimentazione della piazza fu sostituita da Scotellaro nel corso della sua prima sindacatura (1946 – 48), con una pavimentazione di scuri mattoncini di porfido, in stridente contrasto con la luminosità e impronta medievale della precedente pavimentazione. Quell’intervento, che costò non pochi soldi a quell’amministrazione, fu indubbiamente un errore.

     La pavimentazione originaria è in un qualche modo ricordata dalla nuova pavimentazione fatta fare dal sindaco Melfi con gusto postmoderno; nella piazza si è svolta la storia di due cannoni, armeggiata con opposte e, poi, pare, coincidenti intenzioni, dai sindaci Melfi e Marsilio.

     Il «vecchio usciere di Pretura, [a cui] i baffi coprivano la bocca» – che Rocco nomina all’inizio del suo breve racconto è don Michele Valinotti, nonno di Mario Trufelli. Don Michele aveva lavorato in ferrovia e, all’età della pensione si trasferì a Tricarico, con la moglie, che lo lasciò vedovo dopo penosa malattia, le due figlie: Lucietta con i suoi quattro figli, il cui marito, Ciccio Trufelli, lavorava nelle Marche e a Tricarico trascorreva brevi periodi di vacanza per trasferircisi definitivamente all’età della pensione, e Vincenza con una figlia, che sposò un maresciallo dell’esercito e si trasferì con la madre a Santeramo. Don Michele è stato un grande lavoratore. Al principio della sua vita tricaricese gestì un albergo, che ospitò, durante il periodo del suo confino a Tricarico, il capo dei capi della mafia don Calogero Vizzini. Gli fu inoltre affidata la cura dell’orologio di Santa Maria dei Lombardi e dell’orologio di San Francesco. Questo, dopo il terremoto del 1980, fu sostituito in modo da non ricordare nulla del vecchio orologio. Certamente la decisione fu presa in base a dotte considerazioni storiche e architettoniche, che ignoro e, perciò, posso permettermi di dissentire in base alle ragioni del cuore.

     Mi avvedo di divagare molto e che, chiacchierando del più e del meno, di quello che c’entra e di quello che non c’entra, sta finendo che non dica chi, è secondo me, è il Nicola Ferri al quale s’ intende dedicare una via di Tricarico. Secondo me è il sindaco che stette trent’anni sul municipio (e non solo sul municipio) e fece la piazza.

 

2 Responses to Nicola Ferri: il sindaco che stette trent’anni sul municipio e fece la piazza

  1. Angelo Colangelo ha detto:

    Buongiorno, Antonio.
    Mi compiaccio per la tua rievocazione, come sempre preziosa, sospesa in perfetto equilibrio fra storia e memoria, che permette di far conoscere fatti e persone di Tricarico. E rende tutto amabile anche ai non tricaricesi, che comunque sono affettivamente legati al tuo paese per le più svariate ragioni. E che, come sai,sono davvero tanti.
    Per questo, mi sembra inutile aggiungere che mi ha molto rattristato, anche se non sono di Tricarico, la querelle che da qualche giorno è montata con vivaci polemiche sui social e sulla stampa locale riguardo alla intitolazione della Biblioteca Civica a Laura Battista, che ha comportato la cancellazione del nome di Rocco Scotellaro.
    Non so quali siano le ragioni vere che hanno indotto l’attuale Amministrazione ad adottare un tale provvedimento. Mi auguro che nulla abbiano a che fare con le solite “beghe”, che avvelenano spesso la vita dei nostri paesi. Sono convinto, comunque, che essa offuschi la immagine del paese del poeta della libertà contadina.
    Mi auguro, pertanto, che essa trovi una soluzione intelligente con il contributo dei Tricaricesi illuminati. Che non mancano né a Tricarico, né lontano da Tricarico.
    Un caro saluto,
    Angelo Colangelo

    • antonio-martino ha detto:

      Caro Angelo,Questo tuo intervento si riferisce alla querelle postata precedentemente e non all’intestazione di un via di un tale Nicola Ferri, che, a quanto pare, la maggioranza dei tricaricesi non sa chi sia. In questo caso, nessuna querelle: l’intestazione a lui di una via mi lascia indifferente. Ho ritenuto di dover precisare ad eventuale beneficio di qualcuno che legga solo questo scritto qui postato.

      Mi dici che non sai quali sono le ragioni vere che hanno indotto la nuova amministrazione ad adottare questo provvedimento e devo dirti che non riesco a immaginarle neppure io. Per due volte l’ho chiesto personalmente e riservatamente al sindaco, che non si è degnato di rispondermi. Probabilmente non sapeva e non sa cosa rispondere. Egli vuol presentarsi e farsi conoscere come l’amministratore del fare e questa volta ha talmente strafatto che non sa come uscirne fuori. Ti dirò che non riesco a pensare che egli sia e operi contro Scotellaro e abbia deliberatamente voluto cancellare il suo nome dalla Biblioteca, ma si è inventata qualcosa, a cui dare un nome, che sorprendesse, e ha finito col sorprendere se stesso.

      Credo che non ci sia altra soluzione che lasciar cuocere il sindaco nel suo brodo. Se egli vuol dare a una struttura del paese che sciaguratamente gli hanno affidato ad amministrare il nome di un Pinco Pallino qualsiasi (tolgo di mezzo il nome di Laura Battista per il rispetto dovuto a questa coltissima e intelligentissima e tristissima donna), che i tricaricesi lo lascino perdere, se ne freghino di lui e lo lascino “schiattare”, come si dice in questi casi. Nessuno ha l’obbligo di rispettare questo “provvedimento” – diciamo tanto per dire.
      Un caro saluto
      Antonio

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