L’eterna memoria del 15 dicembre

     Sul profilo di “Cristianamente riprendiamo a dialogare” leggiamo un articolo di giornale intitolato “Giornata dedicata a Scotellaro – Eventi e momenti celebrativi nel programma del 15 dicembre”, che così ambiguamente conclude: “Una giornata con tanti momenti di riflessione, che servirà da un lato a riaprire “pacificamente” il dibattito sulla biblioteca, dall’altro a capire quanto i tricaricesi siano realmente legati alla figura di Scotellaro”.

     Non posso esimermi dal fare tre considerazioni.
Prima. I cristiani si ricompattano solo sulla parola di Dio e sul Vangelo. La Chiesa stessa, se non si fa più spirituale, non riuscirà ad adempiere la sua missione e a collegare veramente i credenti in Gesù Cristo.
Seconda. Il dibattito sulla biblioteca ha rappresentato un momento di turbamento causato, a dir poco, da disattenzione burocratica e non conoscenza. Se c’è dibattito, non è da riaprire, ma da chiudere.
Terza. Da 65 anni c’è chi strumentalizza la figura e il ricordo di Rocco Scotellaro. Bisogna farla finita. Per 10 anni io ho avuto con Rocco rapporti di stretta amicizia; morì e l’accompagnai al camposanto; da sessantacinque anni mi legano a lui i ricordi della nostra amicizia e la sua poesia; contento per loro, straordinariamente felice per il mio vecchio carissimo amico Gilberto Marselli, sono indifferente alle cittadinanze onorarie e ai riconoscimenti concessi a tizio o a caio come criterio di misura, peraltro incomprensibile, dei legami con Rocco Scotellaro. Non posso non essere indifferente se Tricarico non sa neppure che la prima cittadinanza onoraria fu concessa a Carlo Levi dal primo sindaco democraticamente eletto di Tricarico repubblicana Rocco Scotellaro.

      Ogni anno, ora sono sessantacinque, rivivo in questi giorni gli stessi ricordi.
La sera di martedì 15 dicembre 1953, all’ora di cena, Rocco morì. Era stato ospite del prof. Rossi Doria per essere meglio curato; chissà se sentisse di stare veramente meglio o volesse lasciarlo intendere, era tornato a casa sua, dove viveva a pensione. Un improvviso malore lo fulminò.
I ricordi cominciano prima, dal malore di Rocco a Irsina, c’era Antonio Albanese, che mi raccontò quell’orribile notte.  Comincio dalla mancata mia ultima mia visita a Rocco, forse giovedì 10 dicembre 1953 ( Nicola Albanese, incontrato in via Roma mentre stavo andando a casa di Rocco, mi disse di non farlo, avrei molto disturbato, perché Rocco stava veramente male); l’improvviso ritorno di Rocco a Portici, perché il prof. Rossi Doria era venuto appositamente a Tricarico per portarlo e ospitarlo a casa sua, dove sarebbe stato curato meglio da medici specialisti. Michele Molinari, di ritorno da Napoli, incontra Rocco che partiva per Napoli (Portici) alla stazione di Grassano e mi riferisce che Rocco non stava per nulla bene, era pallidissimo e appariva prostrato. Mio padre, la mattina di mercoledì 16 dicembre, scendeva curvo, sofferente, lo scalone che portava a casa: lo vidi attraverso i vetri del balcone ed ebbi la netta sensazione che non era a lui a star male, ma soffrisse per la brutta notizia che stava per portare. Mio padre rimane accasciato su una sedia, io esco da casa, non so cosa fare, dove andare. Incrocio bambini, che andando a scuola, parlavano tra loro con una certa eccitazione della morte del “secondo poeta d’Italia”. Vado a casa di Antonio Albanese, non c’era, era andato a Portici, dovevo saperlo. Non ricordo come vissi la giornata e il giorno dopo. Il tardo pomeriggio del 16 cominciavano ad arrivare Carlo Levi, Linuccia Saba, il prof. Rossi Doria, altri. Non vidi mai Amelia Rosselli (allora si faceva chiamare Marion), neppure nei successivi 15 giorni che seppi fosse rimasta a Tricarico dove scrisse la coinvolgente Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro). Sono 28 nenie. La sesta grida il rifiuto a credere alla morte di Rocco (Mi sforzo sull’orlo della strada / a pensarti senza vita / Non è possibile, chi l’ha inventata  questa bugia) Ecco, ancora, le prime due: Dopo che la luna fu immediatamente calata /ti presi tra le le braccia, morto. // Un Cristo piccolino/ a cui m’inchino /non crocifisso, ma dolcemente abbandonato / disincantato.
La notte tra il 16 e il 17 si aspetta l’arrivo della bara a casa di Rocco, affollatissima. Il funerale la mattina di giovedì 17, san Lazzaro. La bara era arrivata a notte alta tra il 16 e il 17. Inizia la processione del funerale. Qualcuno ad alta voce chiama Rocco all’appello: Rocco Scotellaro! Era una prassi ereditata dalle cerimonie funebri dei tanti morti nelle varie guerre. Alla chiamata all’appello tutti i maschi rispondono con voce dura: – Presente! Ma, all’appello di Rocco, qualcun altro portò il dito indice alle labbra e sussurrò: Ssst, Ssst. Come fu? Calò un silenzio di tomba. Tutti, stipati come sardine da un lato all’altro di via Roma, sentirono quel lieve sussurro. Nessuno fiatò. La bara inizia il suo corso. La seguono per prime, affiancate, con le vesti nere e il lungo velo del lutto che copre il volto, Isabella Santangelo e Mimma Trucco, la prima e l’ultima fidanzata. Il silenzio, un religioso silenzio accompagna Rocco. In piazza, tra la cappella di San Pancrazio e il bar, il feretro viene fermato. Su una sedia o un tavolinetto (sono all’altezza del corso e non vedo bene) sale il prof. Rossi- Doria per pronunciare l’orazione funebre. Scoppia in un pianto dirotto: – Rocco, Rocco, Ah, Rocco! Lo chiama tra i singulti, col tono di un rimprovero, come a dire: – Rocco, che hai fatto ?! Carlo Levi è lì. Chi gli è attorno vuole che sia lui, ora, a fare l’orazione. Levi si rifiuta, la gente insiste; Levi sale sulla sedia o sul tavolinetto e cerca di spiegare: il funerale di Rocco non è una rappresentazione teatrale, che, se l’attore principale sta male, c’è il sostituto.    L’orazione per Rocco, diceva Levi, l’aveva fatta Rossi-Doria col suo pianto.

     Ma ce ne fu anche un’altra. Un giovane avvocato, che non c’è più e di cui non faccio il nome, si era lasciato prendere dall’ambizione e dalla voglia di esibizione. Alla curva dei Cappuccini aveva piazzato un tavolo. Allargò le braccia, fece fermare la processione, cavò di tasca alcuni fogli, li sfogliò e lesse la lunga orazione che aveva preparata.
Passano gli anni, lo sgradevole spettacolo dei Cappuccini viene dimenticato, comincia a circolare una fotografia di Carlo Levi, alto, in piedi, accanto alla bara di Rocco. La fotografia salda la certezza che Carlo Levi pronunciò l’orazione funebre Rocco.
Il frequente cambio dei portatori della bara porta alla convinzione che Rocco non fosse morto o che il suo corpo fosse stato trafugato per studiare il cervello; tale convinzione era spiegata con opposte verità: per alcuni la bara era troppo leggera e dunque vuota; per altri troppo pesante e, dunque, riempita di pietre. E’ l’inizio di una leggenda, della poetica leggenda della morte d Rocco Scotellaro. Escono a testimoniare decine e decine di compagni di Rocco nella camerata n. 7 delle carceri di Matera, tanti che le carceri non avrebbero mai potuto contenere; i contadini scrivevano poesie in ricordo del secondo poeta d’Italia.
Seguivo la processione con Antonio Albanese. Passa Pasquale Picerno, il postino, per il giro del mattino della posta, e consegna una busta a Antonio. E’ di Rocco, l’indirizzo è di sua mano. C’è il timbro della Posta Ferrovia di Napoli Centrale con la data del 15 dicembre 1953, ore 20. L’ora della morte di Rocco. Contiene due fogli. Restiamo basiti. Un foglio porta la data del 15 dicembre, il giorno stesso della morte di Rocco, l’altro porta la data del 14 dicembre da un lato e del 15 dall’altro, un postscriptum. Una lettera è diretta alla madre e alla famiglia. Rassicurante. “Non risparmiate. Un giorno [i soldi] arriveranno e saranno tanti”. L’altro foglio è per Antonio. C’è il pensiero per il lavoro, la preoccupazione per l’impegno preso con Laterza: “Portami il Calciano” (un altro contadino per il libro sui Contadini del Sud al quale Rocco stava lavorando); c’è disperazione e c’è un grido d’aiuto: “Senza soldi” “E ho tanto bisogno di aiuto”.
Due anni fa è stata presentata una speciale edizione della rivista Novum Organum, una delle più note e diffuse riviste di italianistica, che si stampa negli Stati Uniti a cura della Stony Brook University – The Center for Italian Studies – di New York. Questa speciale edizione (Forum Italicum), a cura di Giulia Dell’Aquila e Franco Vitelli, professori di letteratura italiana all’Università Aldo Moro di Bari, e Sebastiano Martelli, professore di letteratura italiana all’Università di Salerno, è intitolata Lucania within us. Carlo Levi e Rocco Scotellaro ed è dedicata a Vittore Fiore, Friedrich G. Friedmann, Rocco Mazzarone, Manlio Rossi-Doria, Linuccia Saba e Guido Sacerdoti.
Il titolo del volume, Lucania within us – La Lucania è dentro di noi -, dice bene qual è la pregnanza del volume e, come sostiene il prof. Vitelli, nonché far giustizia di un certo provincialismo con cui si guarda a questi due grandi scrittori, apre l’orizzonte culturale, letterario e anche geografico al loro valore universale.
E’ provinciale e peggio che provinciale, oramai, presentare Rocco Scotellaro scrittore, poeta, politico e “contadino”. Non provincialismo, ma sfregio dell’identità personale, politica e letteraria di Rocco Scotellaro. Poeta contadino significa poeta della civiltà contadina: non allude a un suo presunto mestiere di contadino. Sul programma cui accennavo all’inizio non è scritto neanche poeta della civiltà contadina, ma poeta della cultura contadina. La famiglia di Rocco era artigiana, non contadina. L’espressione “poeta contadino”, peraltro, solo parzialmente definisce l’opera di Rocco Scotellaro, perché egli è il poeta della civiltà contadina, ma non solo questo. La sua poesia è universale. Egli è poeta eclettico (e poco contadino) sostiene Paolo Giovannetti in un saggio della rivista Forum Italicum sopra citata, che meglio precisa e completa anche in senso geografaico la portata della poesia di Scotellaro. Per esempio, sono pubblicate sei poesie tradotte in inglese, sei in francese, cinque in spagnolo, tre in portoghese, quattro in tedesco, quattro in russo, tre in arabo, tre in giapponese, due in finlandese.
Ambrogio Sparagna dimostra come l’esperienza e la poesia di Scotellaro abbiano inciso sull’attività di un musicista ed etnomusicologo (ossia: lui stesso) e nella rielaborazione musicale di alcuni testi scotellariani sia stata determinante la conservazi9one del timbro originale, policromatico e di sicura appartenenza contadina. L’opera di Scotellaro è quindi vista ancora attuale e antidoto alla crisi presente e la sua poesia mostra di possedere una musicalità speciale. Sulla rivista più volte citata i musicisti possono leggere composizioni su testi di Scotellaro.
Francamente, lo sfregio all’identità di Rocco Scotellaro non è più tollerabile e sarebbe auspicabile che si smetta di chiamarlo poeta contadino.

Sabato 15 dicembre 2018 saranno ventidue anni che i ricordi che ho riferito si fondono con i ricordi legati alla morte di Giuseppe Dossetti. Il tardo pomeriggio del 15 dicembre 1996, nella cattedrale di Bologna, seduto con pochi altri dinanzi alla bara di Dossetti, posata a terra davanti l’Altare Maggiore, partecipai alla recita del rosario, che recitai anche nel ricordo di e per Rocco. Il 18 dicembre, nella stipatissima navata centrale della Cattedrale di Bologna, il cardinale Giacomo Biffi celebrò la Messa esequiale in memoria di Dossetti. Definì Dossetti “questo incantatore della nostra gioventù … ci aveva letteralmente affascinati facendoci balenare, con la sua figura e la sua azione, la prospettiva di una fede piena e di una rigorosa militanza cristiana poste al servizio, finalmente, della storia d’Italia”.
Come fu anche qui che nell’immensa folla che gremiva la navata centrale della Cattedrale io mi trovai a fianco dell’on. Emilio Colombo con la sorella. Gli dissi che il 15 dicembre ricorreva anche l’anniversario della morte di Rocco Scotellaro. – Scotellaro morì nei primi anni ’50, mi disse Colombo, lo ricordo. Quanti anni sono passati? Ora preghiamo anche per lui.

E così sia.

 

7 Responses to Ricordo di Rocco Scotellaro – Il mio 65° 15 dicembre

  1. enza spano ha detto:

    ricordi veri e sentiti di un vero amico di Rocco. Grazie Antonio

  2. antonio-martino ha detto:

    E’ stato tutto inutilmente
    i sacrifici in canna al vento.

    (Rocco Scotellaro)

  3. Angela Marchisella ha detto:

    Hai consegnato alla memoria collettiva un ricordo straordinario e struggente, grazie.

    15/12/2018,65°anniversario della morte di R.Scotellaro

  4. Angelo Colangelo ha detto:

    Grazie, Antonio.
    La tua è una testimonianza di grande valore. Preziosa e struggente, andrebbe letta, come qualcuno invitò a fare per I Promessi Sposi, in tutte le chiese, le scuole, le osterie.
    Mi auguro che almeno a Tricarico ciò avvenga. Ne trarrebbero sicuro giovamento sopra tutti tanti giovani, che hanno il diritto e il dovere di sapere e di non dimenticare. Io, per mio conto, l’ho stampata e la conserverò gelosmente nel mio archivio.
    Ancora grazie e un abbraccio.
    Angelo Colangelo

  5. antonio-martino ha detto:

    Sono senza parole. Grazie Angelo. Ricambio l’abbraccio, Antonio

  6. Maria Teresa Langerano ha detto:

    Antonio, i tuoi ricordi forniscono dei pezzi importanti della storia del nostro paese. Condivido totalmente i tuoi pensieri, desidero espimere una mia modesta considerazione a riguardo della definizione di Rocco Scotellaro come “poeta contadino”. Tale designazione non deve essere vista in modo semplificativo, né indicativa dell’apparenza ad una particolare classe sociale, quella dei contadini appunto. Ma e’ qualcosa di piu’ profondo perche’ Rocco e’ lo scrittore del mondo contadino. La poesia riesce a raggiungere vette sublimi quando riesce a trasfigurare il dolore, la sofferenza, la tragedia in bellezza estetica ed etica. Scotellaro fa questo con la sofferenza del suo popolo e del suo paese che e’ un popolo un paese contadino. Fra l’ altro Rocco Scotellaro nel racconto ” I contadini guardano l’ aria” rivendica la promogenitura di quel mondo contadino da cui deriva tutto il resto. Per quanto riguarda la situazione dei giorni nostri e in particolare per quel che succede a Tricarico devo dare ragione ai versi finali della poesia da me scritta ” Paese mio”. Li cito ” E Marx, i Rosselli e Scotellaro/sembrano aver speso/la loro vita invano.

  7. Maria Teresa Langerano ha detto:

    Adesso quel mondo contadino non esiste più. Molte zone che negli anni in cui è vissuto Rocco e anche oltre erano destinate al lavoro agricolo dei contadini ( penso a Calle e non solo) sono in stato di abbandono. Quel mondo con determinati valori è stato spazzato via ma, purtroppo al suo posto è stato posto un vuoto di moralità e identità

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