DOMENICA 03 Marzo 2019 Il Sole 24 Ore domenica

Carnevale
Imparare a ridere dei primi della classe

Armando Torno

Sul carnevale si è scritto e detto talmente tanto che è impossibile trovare, per questa festa, altre parole. Forse ha ragione Bob Dylan quando canta in sintonia con l’era di Internet: «La comunicazione di massa ha trasformato New York in un grande spettacolo di carnevale». Aveva colto nel segno anche Piero Camporesi che nel saggio La maschera di Bertoldo ricordò l’antico ruolo «di contestazione, di rottura, di rigenerazione sociale vissuta in un tempo ciclico di morte e di resurrezione, d’annientamento e di rinascita». Certo, non è semplice spiegare in tutte le loro significazioni tali termini; tuttavia, come dire?, rendono l’idea. O forse è meglio rifugiarsi in una filastrocca di Gianni Rodari: «Mi metterò una maschera da pagliaccio,/ per far credere a tutti che il sole è di ghiaccio./ Mi metterò una maschera da imperatore,/ avrò un impero per un paio d’ore:/ per voler mio dovranno levarsi la maschera,/ quelli che la portano ogni giorno dell’anno…/ E sarà il carnevale più divertente,/ veder la faccia vera di tanta gente».

L’entrata in scena della maschera complica però le cose, giacché porta in mondi arcaici o nelle recite sociali che siamo chiamati a vivere (Wilde sosteneva che essa rivela più verità di un volto). Di certo è possibile scrivere pagine a iosa sull’argomento, senza arrivare a capire cosa sia il carnevale. Proviamo a chiedere aiuto a Goethe, che nel suo Viaggio in Italia dona al lettore un’osservazione: «Non è una festa che si offre al popolo, ma è una festa che il popolo offre a se stesso».

Giovanni Kezich, che ha da poco pubblicato un saggio sul carnevale, nel quale spazia dalle grandi tradizioni a numerose manifestazioni locali, prima di riportare le parole del sommo tedesco osserva, riprendendo il titolo del suo libro: «Carnevale festa del mondo, perché il mondo degli uomini vi celebra fasti tutti propri, senza alcun dichiarato riferimento ultraterreno». E questo anche se carnevale ha cercato un posto nel calendario per sistemare personaggi, riti, maschere e tutto il resto tra il Natale e la Pasqua, tra i due eventi principali del cristianesimo. Del resto, tale festa, più da vivere che da capire, si lega ad appuntamenti pagani, agli antichi rituali – scrive Kezich – «del ritorno alla natura, della fertilità dei campi e dell’età dell’oro», quel «triduo eterogeneo di lupercali, ambarvali e saturnali».

Oltre le ipotesi sulle maschere (tra l’altro, riprendendo un suo studio, Kezich nota che «in origine Arlecchino e Pulcinella sono una cosa sola»), sull’influenza della Chiesa, sul paganesimo che riesce a sopravvivere, sulle diverse manifestazioni, sul crescente successo della notte di Halloween (su cui è bene riflettere), va detto che i nemici del carnevale sono coloro che affrontano – o credono di affrontare – senza un sorriso cose e vicende. Osserva Kezich: «Quando vince la riforma religiosa, quella di Teodosio come quella di Lutero, carnevale recede». E anche lo spirito rivoluzionario non lo sopporta. Guardando da vicino figure quali Robespierre, Mazzini o Lenin, impettiti e seriosi, senza mai un bottone slacciato e religiosamente convinti delle proprie idee, tanto che messi insieme avrebbero potuto fare un convento, ci si accorge che provavano numerosi fastidi a carnevale. E anche il ’68 non lo amava: ma ora che è “davvero finito”, questa festa bussa di nuovo al calendario, si adegua, ritorna. Magari senza i frizzi e i lazzi che furono; comunque le saremo grati se ci rammenterà come sia possibile ridere di tutto. Cominciando dagli inquisitori e dai rivoluzionari, che a scuola erano i primi della classe, e sono anche parenti stretti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Carnevale. La festa del mondo
Giovanni Kezich
Editori Laterza, Bari-Roma,
pagg. 232, € 20

 

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