Convegno per il centenario dell’on. Carlo Donat Cattin

La Resistenza e la violenza del dopoguerra. La Repubblica di Montefiorino. Ricordo di Ermanno Gorrieri

Articolo del Corriere della Sera sulla figura dell’on. Calo Donat-Cattin
a firma di Massimo FRANCO

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Ieri pomeriggio, 14 marzo, nella Sala Koch a Palazzo Madama, in occasione del centenario della nascita dell’On. Carlo Donat Cattin si è svolto, su iniziativa della Fondazione Carlo Donat-Cattin, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Presidente del Senato Elisabetta Casellati, il Convegno “Carlo Donat-Cattin. Uomo di governo e leader DC (1919-2019)”.

Ricordare Carlo Donat-Cattin significa ripercorrere la storia del cattolicesimo sociale che ha segnato la vita della Repubblica nella seconda metà del 900.

Quello che fu definito il “ministro dei lavoratori” nell’autunno caldo ha lasciato un segno profondo nelle vicende politiche dimostrando sempre un profondo senso dello Stato unito alla fedeltà alle sue radici cristiane.
Dalla Resistenza al sindacato, dalla DC al governo, ha espresso sempre una coerenza ed un’onestà intellettuale che gli hanno conquistato il consenso delle classi più umili insieme al rispetto degli avversari.

Un percorso umano segnato da successi e da sconfitte, da durissime prove personali, che la Fondazione ha inteso celebrare per costruire sulla memoria un futuro legato a quei valori che sono stati la forza di Carlo Donat-Cattin e di tanti cattolici che hanno speso la loro vita al servizio dell’Italia.

Ottimo il ricordo di Massimo Franco pubblicato sul Corriere della Sera del 13 marzo, nel giorno precedente il Convegno, dal titolo «Donat Cattin, “un bastian contrario” tra Dc e sinistra». Lo riporterò più avanti (2), dopo aver aperta e chiusa una importante parentesi apparentemente regionale (emiliano-romagnola) ma di portata nazionale legata a Donat Cattin e alla sua corrente.

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In Emilia-Romagna le varie anime della sinistra democristiana, dagli Amici dell’on. Moro, alla sinistra di Base, a Forze Nuove (corrente con a capo Donat Cattin), seppero trovare la via di una attiva e costruttiva unità politica sotto la guida di Benigno Zaccagnini e del modenese Ermanno Gorrieri. Non c’erano le suddette coorenti, ma la Sinistra Dc emiliano-romagnola. Sono orgoglioso di essere stato partecipe a un modesto livello di quell’esperrienza.

In occasione dei congressi nazionali la particolare logica di quegli eventi obbligava a schierarsi con una delle correnti fuse nella Sinistra emiliano-romagnola. Io ero amico personale e collaboratore di Ermanno Gorrieri e, quindi, risultavo aderente alla corrente Forze Nuove, della quale Gorrieri era il maggiore leader nazionale dopo Donat Cattin e l’ideologo. Non posso non ricordarlo.

Ermanno Gorrieri, comandante partigiano, studioso di problemi sociali, tra i fondatori della Cisl, è stato deputato e ministro del lavoro, segretario regionale della Dc dell’Emilia-Romagna, e in quell’occasione mi chiamò a dirigere l’ufficio Sanità della Dc regionale. Con il Mulino ha pubblicato «La Repubblica di Montefiorino» (1966), «La giungla retributiva» (1972), e «Parti uguali tra disuguali» (2002).

Nell’estate del 1944, per quarantacinque giorni, la zona di Montefiorino, nell’alto Modenese, fu la prima delle «repubbliche partigiane», un’esperienza, sotto la guida di Ermanno Gorrieri, di autogoverno, che, poi, tra alterne vicende, continuò fino alla liberazione. A questo episodio, tra i più rilevanti della Resistenza italiana, Ermanno Gorrieri dedicò nel 1966 il citato fondamentale volume (774 pagine) «La Repubblica di Montefiorino», ancora oggi uno dei classici della storiografia sulla Resistenza.

A sessant’anni dalla Repubblica di Montefiorino, e a quasi quaranta dalla pubblicazione di quel saggio, Gorrieri rivisitò quegli avvenimenti attraverso un originale libro scritto a due mani con la nipote Giulia Bondi. Insieme ripercorsero le tappe della ribellione al nazifascismo, gli eventi della lotta partigiana nell’Appennino modenese, le diverse concezioni sui metodi e sulle prospettive della Resistenza, gli episodi di violenza che si verificarono nel primo dopoguerra.

Il confronto tra chi aveva vissuto in prima persona quel periodo e chi ne aveva letto sui libri fu anche l’occasione per riflettere su un tema che era ancora attuale: quale misura e quale tipo di violenza fosse necessaria e inevitabile per combattere l’oppressione.

Il libro, finito di stampare dal Mulino nel 2003, a un anno dalla morte di Gorrieri, si intitola «Ritorno a Montefiorino. Dalla Resistenza sull’Appennino alla violenza del dopoguerra».

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Come annunciato, riporto ora l’articolo del Corriere della Sera: Donat Cattin, un «bastian contrario» tra Dc e sinistra, di Massimo Franco

Per capire quanto in Italia fosse difficile, nel secolo scorso, essere anticomunista senza vedersi affibbiare l’etichetta di antidemocratico dalla sinistra, Carlo Donat Cattin è un personaggio emblematico. Era un «ossimoro politico», disse di lui un comunista doc come Fausto Bertinotti. «Un anticomunista sempre democratico». A cent’anni dalla nascita, ora che si è posata la polvere della cronaca, questo democristiano a tutto tondo e insieme atipico, ruvido, si presenta come una delle personalità forti della politica dell’ultimo cinquantennio. Uno strano animale, a cavallo tra sindacato e partito. Di sinistra, ma ferocemente anticomunista, in una stagione in cui queste due caratteristiche sembravano quasi una contraddizione in termini.

Eppure, Donat Cattin, nato a Savona ma torinese di adozione, figlio della Dc interclassista e in parallelo avversario giurato degli Agnelli e della Fiat, «potere forte» per antonomasia nella sua e soprattutto nella loro Torino, non ha mai rinunciato alla propria eresia politica e culturale. Il filone sociale della Dc ha avuto in lui un esponente rigoroso e puntuto: un «bastian contrario» che provava un gusto quasi sadico nell’additare contraddizioni e manovre di quel partito super-market nel quale lui vendeva sempre una «merce» di nicchia. Anche la sua piccola corrente di fedelissimi era plasmata a sua immagine.

Si trattava di un plotone di guastatori guardati nel partito come mosche fastidiose e rompiscatole. Anche perché nella Dc, ma non solo, quanti provenivano dal sindacato venivano classificati come politici spuri. Donat Cattin aveva la vocazione della minoranza: nella Dc, come nelle organizzazioni sindacali egemonizzate dai comunisti. E aveva sempre l’atteggiamento di chi è duro, perfino scontroso, dovendo combattere su due fronti: contro la lotta di classe in versione marxista e contro il versante capitalista.

Nella sua visione, il cattolicesimo venato da inclinazioni pauperiste doveva interpretare quella «terza via» tra socialismo e capitalismo, espresso nel 1927 nella cittadina belga di Malines in un «codice sociale» che prendeva spunto da alcune encicliche dell’allora papa Leone XIII. Fu questa doppia idiosincrasia a farlo entrare in urto col suo stesso partito quando tentò di candidare Susanna Agnelli, sorella prediletta del capo della Fiat, Gianni, in un collegio piemontese; e a renderlo acerrimo avversario della solidarietà nazionale, il governo di Giulio Andreotti aperto al Pci, nel 1976. Su questa apertura si scontrò sia con l’allora premier, sia con Aldo Moro, presidente della Dc.

E infatti, complice il rapimento di Moro e l’assassinio dei suoi uomini di scorta da parte delle Br, il 16 marzo 1978, Donat Cattin fu tra i registi di un ritorno al centrosinistra nel 1980: col Psi craxiano alleato della Dc. Fu lui a stilare il «Preambolo» di un patto che archiviava la solidarietà nazionale. E fu premiato con la vicesegreteria della Dc, guidata da Flaminio Piccoli. La coerenza nell’essere nemico del comunismo lo fece rispettare anche da molti avversari. Ma quando emerse il dramma del figlio Marco, terrorista di Prima Linea, responsabile di attentati come quello contro il magistrato Emilio Alessandrini, ucciso a Milano nel 1979, Donat Cattin ne fu alla fine spezzato.

Un incontro con l’allora premier Francesco Cossiga portò entrambi a essere accusati di avere discusso in modo inaccettabile dell’attività eversiva del figlio Marco. Ma Cossiga, futuro capo dello Stato, assicurò che Donat Cattin non gli aveva chiesto nulla «che fosse contrario alla sua fiducia nella legalità e al suo fortissimo impegno contro il terrorismo». Ed entrambi ricevettero, ricordò Cossiga nel 2001, in un convegno della Fondazione Donat Cattin, un sostegno inaspettato dal comunista Giancarlo Pajetta. Cossiga, ma non solo, mantenne sempre un’alta opinione di quello scorbutico democristiano. Lo definì, «con De Gasperi, Moro e Andreotti, uno dei grandi non solo della Dc ma del cattolicesimo politico italiano».

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P.S. Il “Preambolo” segnò una frattura della Corrente Forze Nuove e la rottura politica tra Ermanno Gorrieri e Carlo Donat Cattin. I dissenzienti della corrente dettero vita alla corrente Forze Nuove sotto la guida di Guido Bodrato. Nella Sinistra Dc emiliano-romagnola si registrò qualche defezione.

 

 

2 Responses to Per il Centenario dell’on. Carlo Donat Cattin

  1. Angelo Colangelo ha detto:

    Ciao, Antonio.
    Complimenti per la tua scelta di ricordare una figura eminente, seppure per certi versi scomoda, della Democrazia Cristiana. D’altronde, risulta sempre più opportuno, se non addirittura necessario, rifugiarsi nel passato per tenersi lontani e non rimanere invischiati in un presente quanto mai squallido. Anche se può apparire una colpevole fuga o una sterile consolazione.
    Ti auguro buona domenica e ti abbraccio,
    Angelo

    • Antonio ha detto:

      Buon giorno, Angelo. Come ho scritto, io ho formalmente militato nella corrente della sinistra dc di Donat Cattin; dico formalmente, perché di fatto ero impegnato in un’latra esperienza, ma l’adesione formale a Forze Nuove mi ha portato a conoscere anche personalmente l’on. Donat Cattin e ad essere sconcertato ed ammirato della sua eresia e della sua coerenza. La vicenda del figlio terrorista avrebbe stroncato chiunque ed è commovente ricordare come egli la visse con amore paterno e fedeltà alle sue radici democratiche e cristiane. Credo che non abbiamo bisogno di rifugiarci nel passato, ma di conoscerlo. Chi ha raggiunto la mia veneranda età è più fortunato, perché torna a conoscere un passato che ha vissuto, mi auguro che le nuove generazioni si impegnino nello sforzo di conoscerlo. Ringraziandoti ricambio l’augurio di una buona domenica e l’abbraccio,
      Antonio

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