La preghiera del 4 maggio
4 maggio 1944. Settant’anni. Verso le sei della sera cominciarono a filtrare le prime notizie della sciagura, negate o ridotte dalla pietà o come in una sorta di autoinganno nella loro effettiva totale gravità, fino a rassegnarci alla comprensione. Di quella sera e dei giorni successivi ricordo ogni secondo. Appartengo alla generazione che sa a memoria la formazione del grande Torino e ogni 4 maggio una piaga sanguina nel cuore.
Ricevetti nel mio ufficio una delegazione di cinque o sei persone. Il rito formale delle presentazioni dette inizio alla riunione. Di solito, nelle presentazioni formali i nomi non si capiscono e non interessano; se sarà il caso, si chiarirà dopo. In un caso, in quell’occasione, io ripetetti un cognome con tono interrogativo, come a voler essere sicuro di aver capito bene. Intervenne un altro dei presenti. Mi disse: Il dott. Gabetto è figlio del centravanti della squadra del Torino vittima di una sciagura … . Lo interruppi quasi bruscamente: – A me, proprio a me lei vuol spiegare la tragedia di Superga? Io il grande Torino l’ho visto giocare, io appartengo alla generazione che ricorda a memoria la formazione: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.
Il dott. Gabetto, il figlio di capitan Gabetto, commosso, mi ringraziò: Grazie. Ha recitato la formazione come una preghiera.
– Era una preghiera -, risposi.
4 Responses to La preghiera del 4 maggio
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Bei tempi, quando lo sport ed il tifo conseguente erano cise serie, parti integranti di una cultura dei un popolo e di un territorio. Bello e commovente questo tuo sentito ricordo. Grazie. GIL
Carissimo Gilberto, Per ringraziarti del tuo bell’intervento ti racconto un altro fatto di un tempo che ben a ragione abbiamo motivo di rimpiangere. Riguarda una partita di calcio Napoli-Milan. Allora lo stadio del Napoli era al Vomero e vi ci recammo prendendo la funicolare a piazzetta Augusteo con molto anticipo sull’orario di inizio della partita per trovare posto in una curva dove ci potevamo permettere, con un certo sacrificio, di spendere il prezzo del biglietto. Nel nostro scompartimento prese posto un ragazzo. Uno di noi disse: – Ma quello non è …? E fece il nome dell’ala sinistra del Milan, che non ricordo come si chiamasse. – Nooo, dicemmo. Ma poi pensammo bene di chiederlo all’interessato: – Scusa, ma tu non sei … ? – Si rispose quello, a Napoli ho una zia e l’allenatore (che allora non si chiamava mister) mi ha dato il permesso di andare a salutarla.
Andato a salutare la zia con un mezzo pubblico, tornava allo stadio sempre con un mezzo pubblico, non avendo alcuna remora a dire che lui era l’ala sinistra dello squadrone che tra un paio d’ore si sarebbe scontrato col Napoli.
Giuro che è la verità, anche se mi rendo conto che è incredibile. Anch’io comincio a dubitare di aver sognato.
Cari saluti, Antonio
Caro Antonio,
commovente il tuo ricordo della tragedia che ci coinvolge tutti, anche se io non la vissi direttamente. Avevo appena un anno e mezzo, quando l’aereo del Grande Torino si schiantò sulla collina di Superga. Ma, quando incominciai a tirare i primi calci a otto-nove anni, come i miei compagni di gioco sceglievo puntualmente per me il nome di un calciatore di quella squadra già avvolta in un alone di leggenda.
Pensa che in questi giorni mi sono soffermato a lungo a rievocare quel tragico evento di 70 anni fa con Giorgio, un caro amico di Parma, tifoso del Torino, che fu tenuto in braccio da Mario Rigamonti, grande amico di suo padre. A raccontare, ancora oggi gli si inumidiscono gli occhi.
Un caro saluto,
Angelo
Rigamonti, centromediano del grande Torino,ebbe la sfortuna di coprire lo stesso ruolo di Carlin Parola, centro mediano della Juve e poi allenatore e presidente, se non ricordo male, della Lazio. Fu un giocatore di gran classe, famoso per le sue rovesciate, belle a vedersi. Giocava in Nazionale e nel Resto d’Europa, che veniva sfidato dall’Inghilterra. Oggi il suo modo di giocare è inammissibile. La rovesciata, bellissima a vedersi, implicava essere stato superato dal pallone, che veniva lanciato a casaccio, mentre il giocatore, finito a terra dopo l’esibizione, perdeva tempo a rialzarsi e lasciava eventualmente libero spazio a un giocatore avversario.
Ossola, alla sinistra, per un paio d’anni in quel ruolo fu riserva nel Torino e titolare in Nazionale.
Un caro saluto,
Antonio