Ricordi. E ricordi di ricordi
DOMENICA, 30 GIUGNO 2019
Il Sole 24 Ore
Ricordi. E ricordi di ricordi di
Diego Lanza
Tommaso Munari
Accade sempre più spesso che illustri cattedratici, annoiati dalla routine accademica o disorientati dal recente pensionamento, si dedichino alla scrittura di racconti, romanzi o versi autobiografici. Purtroppo non c’è diga che argini queste piene dell’io; per fortuna può capitare che da esse affiori qualche piccolo gioiello. È il caso del Gatto di piazza Wagner, opera postuma del grecista Diego Lanza, scomparso l’anno scorso. Negli ultimi anni della sua vita, accanto agli studi sulla permanenza del mito e dell’antico nell’età contemporanea e alla traduzione commentata degli Acarnesi di Aristofane (tutti pubblicati dalla Carocci), Lanza attese alla stesura delle proprie memorie giovanili, salvo infine decidere di non pubblicarle. Dobbiamo quindi essere grati alla generosità della sua famiglia e alla sensibilità culturale della casa editrice L’orma, se oggi possiamo leggere questo prezioso album di ricordi. Ma sarebbe più appropriato parlare di «ricordi di ricordi», come recita il sottotitolo. Sin dal primo capoverso, infatti, Lanza precisa che i suoi ricordi comprendono anche quelli ereditati dai propri familiari: «Di chi sono i ricordi? So di ricordare cose che non ho mai visto, che non avrei mai potuto vedere, che si compirono prima, persino molto prima della mia nascita. Eppure anche questi ricordi mi appartengono, sono miei». La severità di un nonno mai conosciuto, allora, può riaffiorare nello sguardo di rimprovero di un padre; così come la dolcezza di una madre perduta da piccolo può sopravvivere nella carezza discreta di uno zio materno. Non stupisce perciò che le memorie di Lanza comincino alla fine dell’Ottocento, includano bisnonni e trisnonni mai conosciuti e prendano le mosse dalla Sicilia borbonica dei suoi avi. Ben presto, però, il fulcro del racconto si sposta a Milano, dove il padre Giuseppe si trasferì nella prima metà degli anni Venti e dove Lanza nacque nel 1937. Orfano di madre dall’età di sei anni, lì crebbe e studiò circondato e protetto dagli amici dei suoi genitori. Sulla Milano della sua infanzia si stende ovviamente l’ombra della guerra, dei bombardamenti e delle deportazioni (non si può leggere senza commozione il capitolo dedicato alla nonna Anastasia, nata a Odessa da una famiglia ebraica e morta in chissà quale campo di sterminio nazista); ma un po’ alla volta l’ombra si ritrae e lascia spazio alle luce dei teatri, delle redazioni dei giornali e dei circoli letterari frequentati dal padre (fra gli attori non protagonisti di queste memorie compaiono non a caso Adriano Grande, Cesare Vico Lodovici, Sabatino Lopez, Eugenio Montale, Sergio Solmi e Giovanni Titta Rosa). Risulta già ovvio da questi pochi accenni che si tratta delle “memorie d’un ragazzo perbene”, plasmate da una cultura alta e stese con sorvegliata eleganza (agli antipodi, per intenderci, di un capolavoro della scrittura popolare come Terra matta di Vincenzo Rabito, Einaudi, 2007). Solo un intellettuale, del resto, potrebbe sovrapporre ai volti sfuocati del proprio passato quelli nitidi di personaggi letterari. Come fa Lanza, che rivede la nonna nella Nataša di Guerra e pace , la madre nella Gretchen del Faust e la giovane Iris nella Dora di David Copperfield . Ma i pregi del Gatto di piazza Wagner (un felino malconcio che riaffiora nei ricordi del padre dell’autore) non si esauriscono nella sua qualità letteraria e nel suo valore di testimonianza. Nel corso di tutto il racconto, Lanza non smette di interrogarsi sui meccanismi della memoria, che si accende e spegne all’improvviso, si alimenta di silenzi, procede per sdoppiamenti, si salda a fatti storici, reagisce a odori e a sapori e produce emozioni. La sola cosa che non può fare è riscattare la vita dalle sue sofferenze.
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Diego LANZA, Il gatto di piazza Wagner, L’orma, Roma, pagg. 160, € 18
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Ciao, Antonio.
Aumenta il numero di autorevoli testimoninanze che confermano come la vita di ciascuno di noi si nutra inevitabilmente, oltre che di sogni e di progetti, anche di ricordi. Anzi, nella fase più avanzata della nostra esistenza, se ne diventa addirittura bulimici, man mano che diventa evanescente l’opzione dei sogni e delle speranze.
E di pari passo aumenta il bisogno di condividerli, non necessariamente attraverso pubblicazioni, ma semplicemente nelle conversazioni quotidiane con le persone vicine.
Io sono contento di averlo potuto fare negli ultimi tempi con una persona sensibile com te. Spero che ciò accada ancora a lungo, pur nella consapevolezza che dobbiamo evitare il rischio di diventare prigonieri dei nostri ricordi.
Ti auguro una buona settimana, in attesa di sentirci presto.
Un caro saluto,
Angelo
Caro Angelo,
Sei molto generoso con me, un vero amico, nonostante che non ci conosciamo neppure e ti sono molto grato. Naturalmente ricambio. Sto leggendo, non ho ancora finito di leggere l’emozionante libro che ho segnalato e mi procura sto “esplorando” Tutte le Opere di Rocco Scotellaro, che apprezzo molto e mi auguro che abbia una larga diffusione e abbia moltissimi lettori.
Mi manca Gilberto. Era l’unico col quale ero in rapporti quotidiani con Rabatana, la posta elettronica e il telefono. Non avevo fatto caso che mi era rimasto solo lui. Ma così stavano le cose. Ora sono solo.
Un caro saluto,