LA SORTE DI MOSÈ TOCCATA A CARLO LEVI

Leggevo Scotellaro quando era vivo, ho vissuto le emozioni dell’attesa dell’uscita dei suoi libri, da una vita (una lunga vita) lo leggo e rileggo. Ho parlato dei suoi scritti e l’ho citato, ma fino all’età di 80 anni circa mi sono occupato d’altro e non ho scritto nulla su Scotellaro o in campo letterario in genere. Ora sto leggendo e rileggendo il Baobab di tutte le sue opere. Inevitabilmente, scrivendo di Scotellaro, ti ripeti, ma cambia profondamente il sentimento del tempo. Forse (dico forse, perché i novant’anni che si stanno accumulando sul groppone e – mi auguro di campare – tra qualche mese si saranno tutti installati, sono un peso difficile da portare). Del sentimento, anzi dei sentimenti che provo leggendo il Baobab forse –  e ripeto forse –  dirò alcune cose su questo blog.  
La rivelazone che svolgo con questo post mi accompagna da 27 anni e credo che ben pochi ricordano oramai la sorte che nel 1982 fu riservata a Carlo Levi. Raccontandola e ricordandola, inevitabilmente devo ripetere non pochi fatti già riferiti.

Aprile 1954: Carlo Levi firma la Prefazione alla raccolta di poesie di Rocco Scotellaro in corso di pubblicazione. Giugno 1954: Nella collana «Lo Specchio» – I poeti del nostro tempo – dell’Arnoldo Mondadori Editore la suddetta raccolta, firmata esclusivamente Rocco Scotellaro, è pubblicata col titolo È FATTO GIORNO. Rocco era morto il 15 dicembre 1953, rispettivamente 4 e 6 mesi prima. 4 gennaio 1975: muore Carlo Levi. A ottobre del 1978, a cura di Franco Vitelli e con la Prefazione di Manlio Rossi-Doria, nella stessa collana della Mondadori è pubblicata un’altra raccolta di poesie di Rocco Scotellaro col titolo MARGHERITE E ROSOLOLACCI. Giugno 1982: a cura di Franco Vitelli è pubblicata un’edizione riveduta e integrata di È FATTO GIORNO.

Il primo È FATTO GIORNO, quello originale è presentato come prodotto esclusivo di Rocco Scotellaro: la prefazione di Carlo Levi si stacca anche cronologicamente dall’opera di poesia; la mano (una mano egregia) dell’editor resta invisibile. Quanta poesia in quei silenzi, in quegli spazi bianchi! Tutto al contrario, l’edizione del 1982 è un pot pourri: dal nome del curatore (revisore e integratore) sulla copertina e il frontespizio, all’Introduzione firmata dallo stesso, alle Note bibliografiche, alla Bibliografia che non si trascura di ricordare, con le iniziali del nome, che è opera del curatore, e, per finire, all’ Appendice di chiusura.
In calce alla sua Prefazione Carlo Levi lascia la seguente nota: «La presente raccolta delle poesie di Rocco Scotellaro rispetta sostanzialmente quella che egli stesso aveva fatto nel 1952, a cui sono state aggiunte le poesie posteriori. Nelle sue carte abbiamo trovato un gran numero di altre poesie, di frammenti, di varianti: ci proponiamo di pubblicare al più presto la raccolta completa della sua opera poetica».

Non al più presto, ma bisogna aspettare 24 anni per vedere pubblicata la raccolta completa (per quanto allora si venne a scoprire) dell’opera poetica di Scotellaro. Levi è morto da tre anni (1975) e sette anni dopo (1982) la raccolta del 1954, per la quale egli aveva scritto la Prefazione, quella che fece conoscere un poeta chiamato Rocco Scotellaro, viene eliminata e sostituita, su iniziativa di Franco Vitelli, da una diversa raccolta sedicente riveduta e integrata.
Il 1978 è una data (tardiva, ma) importante, perché, per merito di Vitelli, si realizza finalmente il proposito di Levi di completare l’opera poetica di Scotellaro. La causa del ritardo va individuata nella stroncatura di Scotellaro da parte della sinistra marxista di scuola comunista, con lodevoli e autorevoli eccezioni (“non sarebbe stato capito” diceva Carlo Levi) diretta, tramite Scotellaro, a colpire piuttosto Rossi-Doria e Carlo Levi, nonché nel disordine in cui Rocco aveva lasciato le sue carte. Nemmeno chi ne avesse viste una parte (scatole di cerini, risvolti di pacchetti di sigarette, foglietti di calendario, bordi di giornale, cartoline postali, buste, lettere e, finalmente, fogli di carta uso protocollo e normali fogli di carta volanti oppure ordinati e uniti in fascicoli, e quaderni e quant’altro), che Mazzarone cercò come un cane da tartufo e raccolse e ha continuato a raccogliere per tutta la sua fortunatamente lunga vita, può comprendere la fatica, il tempo occorsi per ricavare e mettere in ordine gli scritti di Rocco, e soprattutto l’amicizia profusa. Persino Carlo Levi non poteva immaginare quant’altro ancora Mazzarone avrebbe trovato oltre il gran numero di altre poesie, di frammenti, di varianti … nelle quali egli stesso aveva messo le mani.

Che fare di quel mare di carte, che avrebbe scoraggiato chiunque altro non fosse stato Rocco Mazzarone? Mazzarone le copiò e, d’accordo con Carlo Levi, pensò di affidarle a Franco Vitelli, giovane studioso emergente di Pisticci, e a Giovanni Battista Bronzini, studioso di origini materane, compagno di scuola di Rocco Scotellaro al ginnasio di Matera, studioso già emerso in tutta la sua grande statura di etnologo. Vitelli e Bronzini si tuffarono nel lavoro; Vitelli dava qualche informazione a Mazzarone su come il suo lavoro procedesse, Bronzini taceva e lasciò passare qualche anno in più, seminando ansia.

Levi morì, dopo lunga malattia, nel periodo critico. Verso la fine del 1972 ebbe il distacco della retina; fu operato ai primi di febbraio del ’73 e durante la degenza, in stato di cecità, cominciò a scrivere un diario che fu pubblicato postumo da Einaudi nel 1979 con il titolo QUADERNO A CANCELLI, perché, per scrivere, Levi si serviva di una tavoletta su cui c’era una rete dentro le cui caselle poteva tracciare la scrittura (Giovanni Russo, Carlo Levi segreto, Dalai editore, Milano, 2011, pp. 130 ss).
L’espressione quaderno a cancelli risale alla poesia di Rocco Scotellaro Dedica a una bambina (Questo piccolo quaderno a cancelli / l’ho scritto per te di cui non parlo / per i tuoi occhi chiusi e i tuoi capelli / di cera, il naso che non può fiutarlo). Poi l’espressione darà il titolo alla penultima sezione della raccolta di poesie del 1954, (l’ultima sezione assumerà il titolo Ultime) che saranno espunte da Vitelli nella sua edizione c.d. riveduta e integrata del 1982 e appiccicate in una impoetica Appendice.
Il quaderno a cancelli era il quaderno delle prime quattro classi elementari: cancelli in prima elementare con barre orizzontali e verticali, da cui, classe dopo classe, scomparivano le barre verticali e restavano le orizzontali, come binari sempre più stretti, per guidare l’incerta scrittura dei giovanissimi alunni.
Carlo Levi, in un brano dell’appendice al suo Quaderno a cancelli, redatto il 1° agosto 1973, fa un elenco di ciò che ha contato nella formazione della sua vita: – Al risveglio, quasi felice, mi sembra di dover rispondere a una domanda su che cosa ha realmente contato (senza falsa vanagloria) nella mia vita. Faccio degli elenchi ragionati. Mi pare di dover rispondere con dei numeri. 1) Mia madre. 2) Il giardino delle cose (Via Bezzecca, l’altalena, il ribes). 3) L’amicizia con i giovani miei maestri e fratelli: Gobetti, fratello-padre e Rocco, fratello-figlio. I vecchi, i grandi uomini che ho conosciuto e anche amato non mi hanno dato nulla o quasi nulla. 4) L’amore sessuale e fisico, come rivelatore del mondo e della libertà. 5) La Lucania, confino, come rivelatore degli altri e della libertà. 6) La pratica del dipingere (e anche dello scrivere) come scoperta ed esercizio della verità e della libertà. Infine mi resta la settima cosa. Potrei mettere un nome o dei nomi, ma non mi decido alla risposta –.
Levi muore tre anni prima che la seconda raccolta del 1978 fosse pubblicata e possiamo immaginare quanto la sua presenza avrebbe contato in questa fase delicata di completa composizione/interpretazione dell’opera poetica, e non solo poetica, di Rocco Scotellaro. Dodici anni dopo la sua morte fu pubblicato quel capolavoro struggente e avvincente, coltissimo e fantasioso che dà tutto quanto, e molto più di tutto quanto il titolo promette, che è L’UNIVERSO CONTADINO E L’IMMAGINARIO POETICO DI ROCCO SCOTELLARO di Giovanni Battista Bronzini (Edizioni Dedalo, Bari, 1987).
Non è azzardato pensare che se Levi fosse vissuto l’opera poetica di Rocco Scotellaro avrebbe avuto un diverso corso e non si sarebbe avuta l’edizione riveduta e integrata di Vitelli, stroncata da una severa critica (Giovanni Caserta, Ennio Bonea e Gigliola De Donato in «Scotellaro trent’anni dopo – Basilicata editrice, Matera, settembre 1991)».

A Levi toccò la sorte di Mosè, Deuteronomio 34: « Poi Mosè salì dalle pianure di Moab sul monte Nebo, in vetta al Pisga, che è di fronte a Gerico. E il Signore gli fece vedere tutto il paese: Galaad fino a Dan, tutto Neftali, il paese di Efraim e di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al mare occidentale, la regione meridionale, il bacino del Giordano e la valle di Gerico, città delle palme, fino a Soar. Il Signore gli disse: «Questo è il paese riguardo al quale io feci ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe, questo giuramento: “Io lo darò ai tuoi discendenti”. Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai». Mosè, servo del Signore, morì là nel paese di Moab, come il Signore aveva comandato. E il Signore lo seppellì nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor ».

Levi non vide la destinazione che sarebbe stata data alle altre poesie di Rocco Scotellaro, e non vide eliminare l’edizione premiata col premio Viareggio, né potè opporsi né far comprendere a Mazzarone la sua ingenuità.

Resto al grande racconto della Bibbia e alla sorte di Mosè. Vi invito a richiamare alla memoria uno dei più grandi capolavori dell’arte italiana, il Mosè di Michelangelo, esempio di grande maestria e incomparabile bellezza, nascosto nello splendido quartiere Monti di Roma, nella caratteristica cattedrale di San Pietro in Vincoli. Le tavole che il Mosè michelangiolesco sostiene sotto il braccio destro non sono le prime tavole rivelate sul monte Sinai scritte dal dito di Dio (Esodo 31, 18) e poi spezzate di fronte allo spettacolo del vitello d’oro, bensì le seconde, riscritte quando Mosè salì di nuovo sul monte (Esodo, 34, 1-27). La posizione delle tavole, che differenzia il Mosè michelangiolesco da altre iconografie legate a quella figura, alla luce della seconda rivelazione diventa più chiara. Freud ha a lungo discusso sulla loro strana posizione (Sigmud Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteista, Bollati Boringhieri): perché sono tenute sottobraccio? Nella sua lettura il padre della psicoanalisi non sembra aver tenuto in debito conto la differenza. In questo caso il profeta assomiglia al maestro che porta con sé i testi da esporre. Più radicalmente, Michelangelo indica che, rispetto alla seconda rivelazione, la mediazione costituita dall’insegnamento mosaico risulta fondamentale. Come fondamentale tornerebbe a risultare l’insegnamento leviano, e il rifiorire dell’aura di quell’opera se fosse ripubblicata l’edizione originale del 1954 alla non lontana scadenza del copyright sull’opera di Scotellaro.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.