Lucano, Leonardo SINISGALLI – L’uomo con due cervelli

DOMENICA 13 OTTOBRE 2019 Il Sole 24 Ore domenica

Leonardo Sinisgalli. Riproposta l’edizione del 1950, la più vasta, di «Furor mathematicus», atlante d’idee e impressioni visive, dalla scienza alle lettere, dell’ingegnere-poeta lucano

Sosteneva Leonardo Sinisgalli che gli pareva di avere «due teste, due cervelli, come certi granchi che si nascondono sotto le pietre», e più che due teste erano due inclinazioni verso la creatività. L’una era per la scrittura e per l’arte visuale, l’altra per la scienza e, soprattutto, per la tecnologia conseguente, talvolta cresciuta per tentativo empirico. Da studente universitario – dopo il biennio di matematica passò a ingegneria – aveva cominciato a pubblicare poesie. Già allora intuiva che nonostante le diversità di finalità tra un approccio scientifico e uno artistico – l’uno alla ricerca delle leggi che regolano la natura o l’interazione di strutture logiche astratte, l’altro alla ricerca dell’unicità della singola opera che genera la propria regola – nonostante stilemi e strumenti diversi, intenzionalità metodologiche differenti, i percorsi interiori dello scienziato e dell’artista sono analoghi se non proprio coincidenti.

L’inquietudine portò infine Sinisgalli sulla strada delle lettere – titubando, rifiutò l’invito di Fermi a unirsi ai “ragazzi di via Panisperna” – strada che percorse senza abbandonare né avversare il ricordo e il bagaglio della sua formazione scientifica. «Posso dire di aver conosciuto giorni di estasi tra gli anni 15 e gli anni 20 della mia vita, per virtù delle matematiche», annoterà più tardi nel Furor mathematicus, di cui Mondadori ripresenta negli Oscar baobab l’edizione del 1950 (quella più ampia delle tre approvate da Sinisgalli, 1944 e 1967 le altre). La poesia, però, chiamava; la potenziale vastità delle astrattezze della matematica e le aspettative spaventavano: «Quando mi presentai agli esami, io, l’eletto, tra la sorpresa dei compagni e delle compagne, dei professori e degli assistenti, dei bidelli e degli uditori dimostrai di avere la testa confusa, la testa di una bestia. Uscii sconvolto dall’aula». Quell’oscillazione tra l’uno e l’altro modo di rapportarsi alle cose del mondo, quella ricerca di una conciliazione tra scienza e arte che possa essere intesa da chi le osserva, è forse la radice più evidente del Furor. Già nel titolo, l’ottimo prefatore, Gian Italo Bischi, rileva proprio quell’oscillazione, notando «l’idea di entusiastica impulsività, irrazionalità e disordine, contenuta nel termine Furor, affiancata all’idea di ordine, purezza, razionalità, calma, regolarità associata a mathematicus». Quanta inquietudine, però, scuote il matematico che intravede la dimostrazione di qualcosa che ha “sentito” poter essere e gli sembra quasi di poterla toccare, ma non vi riesce e si sforza di trovare una strada, lottando contro le nuvole della sua immaginazione e i limiti della sua conoscenza? Quanto “furore” scuote il fisico che corre a scrivere una sua idea sulle stringhe prima che l’altro, il vicino, la renda obsoleta nel tumulto di quel campo della fisica che dispera di corroborazioni sperimentali? Forse la contrapposizione rilevata nel titolo è solo apparente. «Che cosa è accaduto – mi domandava l’altra sera un mio amico del Seminario di Matematica – perché ti allontanassi tanto da quelle verità che ti facevano le orecchie bianche dall’emozione nell’aula di San Pietro in Vincoli? Che cosa è veramente accaduto non so», scrive Sinisgalli nel “pezzo breve” di prosa da cui l’intero Furor mutua il titolo. Che le sue due inclinazioni non siano vissute in forma dialettica mi sembra si percepisca fin dal nucleo originario del Furor, il primo capitolo: il Quaderno di geometria. Era quello un tentativo che – scrive Sinisgalli – «non gli valse, allora, la considerazione dei dotti e neppure la stima degli innocenti.» A quello «studio amoroso», però, si accostarono saggi brevi, lettere, dialoghi stampati su pagine di colore diverso, frammenti diaristici, a comporre quella miscela che costituisce il Furor, un atlante d’idee e d’impressioni visive, da Leonardo da Vinci all’architettura, a Luigi Fantappié, che fu professore di Sinisgalli, alle sorelle Pampaglione, al design, un atlante di pulsioni, l’atlante di un arcipelago sparpagliato alla vista ma connesso da correnti marine profonde, scritto con stile spesso allusivo, attento alla sonorità. Vaga Sinisgalli, nel Furor, seguendo una mappa vista nella nebbia. Procede per analogie, che è un procedere pericoloso perché può portare a farsi indirizzare solo dalla suggestione fugace, il che può essere uno sdrucciolare. Non cade, però, Sinisgalli, nella tentazione di lasciare al lettore quelle frasi piene solo d’effetto che sembrano forse utili a chiudere una prefazione o a fare uno slogan ma paiono pensate quasi solo per costruire una conveniente mitologia di sé. Sinisgalli è poeta; sa evitare le sabbie mobili dell’ego; non illude consapevolmente, semmai talvolta stimola, talaltra culla. Non sembra cercare proseliti, sebbene sia stato con la sua attività di direttore di riviste d’azienda – «Pirelli», «Civiltà delle Macchine», «Il Quadrifoglio» – un valorizzatore della percezione della crescita industriale italiana nel dopoguerra. Quel processo fu favorito dall’adeguatezza della formazione degli ingegneri del tempo, che erano in grado di dominare almeno un settore della tecnologia loro contemporanea. Oggi vi è una nuova età: la tecnologica evolve rapida in direzioni a volte inattese. «Oggi diventa importante la qualità del sapere», annota Bischi, sempre più importante. È necessario che non ci si fermi a educare esecutori quasi ignari del perché usano certi strumenti teorici e di quali siano i limiti di essi, ma si formino progettisti con solide e ampie basi culturali che permettano valutazione critica della sostenibilità dello sviluppo. Il senso di umanità deve accompagnare la tecnica; è un’idea che sostiene il Furor, una visione «sorretta da nostalgia artigianale di un mondo fatto-a-mano», annotava Franco Fortini.
Quella di Sinisgalli è una passeggiata erratica tra le idee della scienza e le suggestioni della poesia. Non conclude; avversa la sistematicità, ma in questo e nelle sue conseguenze è sistematico (si veda nel Furor la lettera a Giacinto Spagnoletti del 4 luglio 1947). Che cosa spinga quel suo vagare appare forse quando pensa di vedere: «il senso segreto di certi giuochi cari ai fanciulli dei vecchi paesi e certe strane tradizioni, che rivelano un’ansia incontenibile nel cuore dell’uomo: conoscere se veramente una Mano oppure il Caso tiene i capi di questo esile filo della nostra esistenza». Anche il caso, però, è sottile, non malizioso; ha le sue regole e non manca di seguirle.
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Paolo Maria Mariano

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Libro unico nel panorama italiano, “Furor mathematicus” testimonia, fin dal titolo, una volontà di contaminazione, associando all’idea di ordine, purezza, razionalità, calma e regolarità, propria della matematica, l’entusiastica, irrazionale, disordinata impulsività caratteristica dell’atto creativo. I temi affrontati da Leonardo Sinisgalli spaziano infatti dalla matematica alla poesia, dalla pittura all’architettura, al design, alla fisica, fino alla filosofia, ma anche alla tecnologia, all’artigianato e oltre. C’è una storia degli automi, in queste pagine; dialoghi che ricordano Calvino e “Le città invisibili”; apologhi leopardiani e studi sulle correlazioni tra le leggi della fisica e le migrazioni dei popoli. Il confronto tra diversi saperi e linguaggi, che si fa sovrapposizione e compenetrazione, permette di ottenere sempre nuove idee e nuove suggestioni: un eclettismo che si ispira al concetto rinascimentale di “uomo universale” incarnato da Leonardo da Vinci. Ma il libro si pone anche come opera in grado di cogliere lo spirito della modernità e di offrire alla “civiltà delle macchine” nuovi canoni stilistici che, partendo dall’arte e dalla poesia, forniscano alla produzione industriale un’anima, un’etica e un’estetica. Un percorso sotto il duplice segno della conoscenza e dell’utopia, che ancora oggi apre verso nuove visioni del futuro.

 

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