“Le piazze raccontano” di Angelo Colangelo
Nello scorso mese di agosto ho ricevuto in amichevole omaggio da Angelo Colangelo una copia della sua raccolta di racconti Le piazze raccontano – Stigliano fra storia e memoria , con l’affettuoso augurio di poter ascoltare anche le voci delle piazze di Stigliano, oltre che della mia amata Tricarico: cosa che, ahimé!, mi è negata. Nel libro è inserita una recensione dattiloscritta dello storico e critico letterario Giovanni Caserta, che lessi per prima. Appresi cose di Stigliano che mai avrei immaginato. «Capitale della montagna materana, intorno alla quale ruotarono paesi e comunità altrimenti senza riferimento, Stigliano ebbe agricoltura, pastorizia, artigianato, alberghi, ristoranti, cinema, ospedale, scuole materne, elementari e medie, inferiori e superiori, cultura… Ed ebbe un pastificio orgoglio lucano» – scrive Caserta e così io ricordavo Stigliano e pensavo che più o meno si conservasse, pur immaginando che in piccola misura non fosse sfuggito al declino dei paesi lucani. Ma arriva la mazzata: «Oggi è il secondo paese d’Europa più a rischio di scomparire per frana».
Per il Ventennale della ricorrenza della Festa del Bentornato in omaggio a tutti gli Stiglianesi emigrati – in occasione della quale era stato istituito il Premio don Alberto Distefano – è stato quest’anno deliberato di promuovere la pubblicazione della raccolta di Angelo Colangelo, nonché di patrocinare le mostre pittoriche degli artisti stiglianesi Nicola Iosca e Pasquale Zamparella, tutti tre insigniti del Premio nelle passate edizioni.
Angelo Colangelo – doppiamene privilegiato, come egli stesso si definisce per essere nato a Stigliano e vissuto nella Villa – è autore di numerosi saggi storico-letterari e di poesie raccolte nel poema “Versi persi”, nonché promotore di iniziative letterarie di vasta risonanza. Anch’egli, ora, è un emigrato, giacché da molti anni vive a Parma, ma al suo paese e alla sua casa – beato lui! – torna almeno per la Festa del Bentornato e vi trascorre lunghi periodi. Nel volume dei suoi racconti, arricchiti da dodici illustrazioni dei due pittori, risalta quindi la particolare rilevanza del Ventennale.
Molte sono le differenze che ci distinguono. Io, rispetto a lui, sono un vegliardo; pur avendo lasciato da molti decenni la Lucania, sentendomi come travolto, come scrive lui a pagina 78, da un vero e proprio “tsumani demografico”, ero vissuto in tre paesi, che ho amato e lasciati con dolore (Palazzo San Gervasio, paese natale, dove il poeta di Venosa è chiamato ‘Mba Orazio, la magica Accettura e, definitivamente, Tricarico, dei tre quello che mi manca dolorosamente e dove potrò tornare definitivamente solo quando la mia vita si sarà conclusa. Angelo, tutto all’opposto, è sempre vissuto nella sua Stigliano, avendo avuto impegni di lavoro nella vicinissima Aliano e avendo quindi potuto esprimere la sua cultura di letterato e i suoi sentimenti nella nostra terra, dove io non torno da venticinque anni, dopo la morte di mia madre, con cui si è estinta ogni presenza della mia famiglia in terra lucana e le nostre case – la mia e la casa di Titina – non sono più nostre.
Di Nicola Iosca, emigrato e vissuto a lungo negli Stati Uniti, dove ha frequentato prestigiose accademie d’arte e, rientrato in Italia, si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico per una intensa e raffinata produzione pittorica di gusto caravaggesco, che si ispira ai miti classici e alle Sacre Scritture, si ammirano Villa Marina (p. 20 e quarta della copertina), Piazza Marconi e Cappella Sacri Cuori (p. 25), La Chiazza (p.30), Chiesa Madre (p.33), La Rotonda (p. 68), Chiesa di Santa Teresa (p. 76).
Di Iosca, della sua interessante e complessa vita, ama parlare la Chiazza. Bambino, lo chiamavano Colino; emigrato come tantissimi negli Stati Uniti quando era ancora quasi ragazzo, divenne Nick. L’America ricca lo scaraventò nell’inferno della guerra del Vietnam. Si salva. Torna in Italia, finalmente e definitivamente Nicola con la fama di valente artista con due talenti: la musica e la pittura.
Fin da piccolo, infatti, egli aveva dimostrato di avere un estro naturale per il disegno e la pittura e un’autentica passione per la musica, ereditata e assecondata dal padre, calzolaio e bravo suonatore di organetto. Appena dodicenne già suonava la fisarmonica in una orchestrina di paese. A sedici anni emigrò negli Stati Uniti, alla ricerca di una vita migliore. Fu uno dei pochi sopravvissuti all’inferno vietnamita ed ebbe la sua fortuna … sulle zanzare e le maleodoranti acque infette. Il reparto a cui egli apparteneva fu decimato, i suoi compagni cadevano come mosche, Nick fu colpito da violentissime febbri malariche (allergia alle zanzare scrive Colangelo). Ricoverato in un ospedale specializzato in Giappone, incontrò un medico amante dell’arte pittorica, che riconobbe e apprezzò il talento di Nick e lo incoraggiò a coltivarlo.
Di Pasquale Zamparella, che ha saputo conciliare la sua attività professionale di tecnico di radiologia presso l’ospedale “San Carlo” di Potenza con una intensa e proficua attività pittorica, rappresentando nei suoi dipinti temi legati alle tradizioni della sua terra, si ammirano: Panorama di Stigliano (p.8), Piazza della Cavallerizza (p. 19), Corso Vittorio Emanuele (p. 39), Il Convento (p. 50 e copertina), Piazza Garibaldi oggi (p. 54), Piazza Garibaldi anni ’50 (p.59).
Due brevi brani letterari, rispettivamente, di Italo Calvino e di Beppe Severgnini sono il proemio. Di tutt’e due ho individuato le fonti, per semplicità li chiamerò proemi, ma non mi pare che un legame li unisca.
Il proemio Severgnini (La piazza è ecumenica, ha qualcosa per tutti, vecchi e giovani. Uomini e donne, ricchi e poveri, italiani e stranieri), tratto dal Manuale dell’uomo di mondo, determina i caratteri comuni di ogni piazza, ma non mi pare che aggiunga qualcosa al significato delle parole. Non poche similitudini pone invece in evidenza il proemio di Calvino (ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo a un dialogo). L’opera da cui il proemio è tratto è Le citta invisibili. Le città descritte sono 55, suddivise in 9 capitoli, ogni capitolo comprende 5 città, tranne il capitolo iniziale e quello conclusivo, che ne contano dieci ciascuno. Il contesto del proemio è l’incipit del quinto capitolo e la città è Melania. ([A Melania] ogni volta che si entra nella piazza …), ponendo quindi in primo piano il problema di poter comunicare, attraverso la letteratura, le conoscenze e le esperienze acquisite. Di più: come spiega lo stesso Calvino, Le città invisibili sono, fra l’altro, un tentativo di esprimere «la sensazione del tempo rimasto cristallizzato negli oggetti, contenuto nelle cose che ci circondano […] Le città non sono altro che la forma del tempo».
Le città invisibili raccontano che Marco Polo descrive a un destinatario, l’imperatore Kublai Kan, le città che ha visitato e che, quest’ultimo, per la vastità del suo Impero, non ha mai potuto conoscere. Angelo Colangelo descrive a tutti gli Stiglianesi, ai pochi che sono rimasti, ai tanti che son partiti, a chi del paese ama il culto delle memorie le piazze di Stigliano e ripete i loro racconti e ricorda le memorie di tutti. Proprio nell’introduzione del quinto capitolo si assiste a una inversione dei compiti. Da allora in avanti sarà l’imperatore a descrivere le città e Marco Polo verificherà se esistono. Ma le città visitate da Marco Polo sono sempre diverse da quelle pensate dall’imperatore.
La visita a Melania si conclude con queste parole: – Chi si affaccia alla piazza in momenti successivi sente che d’atto in atto il dialogo cambia, anche se le vie degli abitanti di Melania sono troppo brevi per accorgersene -.
Perfette similitudini!
Angelo si mette in un angolo e ascolta in silenzio le piazze di Stigliano, ed è il suo modo di visitare ogni angolo del paese. I Paesi del piccolo impero che il novello Marco Polo visita sono: piazza Monumento, la Villa, che sostanzialmente comprende due piazze, la Chiazza col singolare ed ermetico palazzotto con i balconi e le finestre ad ogiva, che fu l’abitazione di don Mimì Tancredi, “valente medico e fustigatore dei vizi pubblici e privati, la via dei preti … e non solo, piazza Zanardelli e, infine, persino una piazza che non c’è.
Piazza Monumento è così chiamata e ricordata dagli Stiglianesi anche dopo l’ “improvvida” decisione di chiamarla piazza Principi Colonna. Nella piazza, negli anni Cinquanta, le serate della festa del Santo Patrono erano allietate dal canto di divi della musica leggera. A Tricarico non l’apprezzavamo e la ritenevamo una cafonata (mi scuso con gli stiglianesi, ma racconto quello che i tricaricesi pensavano con convinzione o per invidia, chissà!). La festa grande, a Tricarico, non era per il Patrono San Pancrazio, ma per la Madonna del Carmine e le serate dei festeggiamenti erano allietate con luminarie scintillanti e la musica delle migliori bande pugliesi a fiato e percussione che suonavano le più famose e classiche opere liriche sopra l’orchestra eretta in piazza.
A Stigliano si alternarono Alberto Rabagliati, Gino Latilla, il reuccio Claudio Villa, Jimmy Fontana, che sposò una delle figlie del direttore dell’Ufficio postale di Aliano, don Cosimino, l’ “angelo gobbo”, immortalato da Carlo Levi nel Cristo si è fermato a Eboli, che sento il bisogno di ricordare espressamente. Era giunto ad Aliano, al comando della stazione dei carabinieri, un giovanissimo brigadiere al primo servizio. Incontrando Levi nella piazza, lo guardava sconsolato, – Dio mio, dottore! che paese! – gli diceva, – Di persone per bene ce ne sono due sole: lei ed io -. Levi lo confortava come poteva: – Siamo più di due, brigadiere. Del resto, due giusti soli sarebbero bastati a salvare Sodoma e Gomorra dall’ira del cielo. Ma qui ci sono molti giusti tra i contadini, li conoscerà a poco a poco. E poi, c’è don Cosimino. Ed ecco come è ricordato nel Cristo: «Don Cosimino stava dietro il suo sportello, alla Posta, tutto avvolto in una tunica di tela nera che gli copriva la gobba, e ascoltava i discorsi di tutti, guardava con i suoi occhi arguti e melanconici, e sorrideva col suo sorriso pieno di amara bontà. Aveva preso l’abitudine, di sua iniziativa, di consegnare di nascosto, a me e agli altri confinati, la posta in arrivo, prima che passasse censura. – C’è una lettera, dottore, – mi sussurrava dallo sportello; – venga più tardi, quando non ci sia nessuno -. E mi passava la lettera, nascosta, per prudenza, sotto un giornale. Egli avrebbe dovuto prendere tutta la nostra posta in arrivo e spedirla a Matera, alla censura: di qui poi, dopo una settimana, sarebbe tornata per esserci distribuita. Io leggevo subito, grazie a don Cosimino, le cartoline, e gliele restituivo senz’altro, perché le mandasse alla questura: le lettere le portavo a casa, le aprivo con cura, e, se l’operazione era riuscita senza che la busta si rompesse o ne restassero tracce, le riportavo a don Cosimino l’indomani: così non si correva rischi che la censura si stupisse di restar senza lavoro. Nessuno aveva pregato quell’ “angelo gobbo” di questo favore: l’aveva fatto spontaneamente, per naturale bontà. Le prime volte, mi spiaceva quasi di prendere le lettere, per timore di comprometterlo: era lui a mettermele in mano, e mi forzava ad accettarle, con una sorta di sorridente autorità».
Non resisto, poi, alla tentazione di raccontare un comizio di Achille Lauro, detto il Comandante, a cui Colangelo accenna per mettere in evidenza la prassi di corruttela del ricchissimo armatore napoletano, che aveva da poco fondato un nuovo partito, il partito monarchico popolare. Ricordo lucidamente quella campagna elettorale. Era il 1958 e Lauro era appena uscito dal partito nazionale monarchico di Alfredo Covelli e aveva fondato il partito popolare monarchico. Lauro si impegnò a fondo nella campagna elettorale, senza badare allo spreco di energie e, per poter tenere ogni giorno comizi nelle varie piazze, si era fatto costruire una specie di camper con terrazzino sul tetto (è quello che descrive Colangelo in piazza Monumento). Nei molti comizi che pronunciò in quasi tutte le piazze della Lucania lo accompagnava e affiancava sul terrazzino l’on. Odo Spadazzi. Spadazzi era un costruttore edile romagnolo, nato a Gatteo in provincia di Forlì. Nel dopoguerra ferveva l’impegno della ricostruzione, e c’era molto lavoro, con relativi guadagni in denaro e voti. Spadazzi si trasferì a Potenza, diede vita a un movimento politico in campo monarchico assicurandosi appalti e mietendo voti. Si fece eleggere deputato nel partito di Covelli è aderì alla scissione operata da Lauro con la fondazione del nuovo partito monarchico popolare, con simbolo la corona sabauda retta da due leoni, perciò detto monarchia coi leoni. Lauro lo premiò nominandolo vice segretario della monarchia con i leoni. Nella piazza di Tricarico – io c’ero – Lauro, salito sul terrazzino dello stesso camper di cui racconta Colangelo, alludendo all’eccezionale successo elettorale che a Tricarico riscuoteva Colombo, avendo Spadazzi a fianco, disse: – Voi, cittadini di Tricarico, ma chi credete che sia un ministro dell’agricoltura? (Colombo, allora, era ministro dell’agricoltura). Il ministro dell’agricoltura lo può fare un fesso qualunque, anche il mio amico Spadazzi! –, e battè un manata sulle spalle sul vicesegretario del suo partito.
L’ascolto delle voci delle piazze di Stigliano è possibile solo leggendo il resoconto di Angelo e il suo dialogo con le piazze Ne consiglio la lettura. Specialmente ora che i lucani che vi erano andati questa estate, la maggioranza oramai, sono tornati nelle città di residenza, lo leggano o lo rileggano.
Ho conosciuto alcuni personaggi che Angelo nomina e ne voglio ricordare solo uno: don Nicola De Lucia, nato nella via dei preti. Egli mi fu caro amico, ebbe vita breve e fu apprezzato docente di lettere presso i Seminari di Potenza a di Salerno, dove morì improvvisamente a soli trentotto anni. Egli aveva una diecina di anni più di me e, ripeto, mi fu caro amico.
E con questo ricordo concludo la mia premessa ai racconti delle piazze.
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Carissimo Antonio,
semplicemente grazie per avermi offerto una lettura che ha scatenato in me il piacevole ricordo di tanti amici, ragazzi, uomini di Stigliano che hanno frequentato la scuola media di Tricarico, che ho conosciuto come Amministratori, Sindaci e compagni di partito.
Colangelo (che sia proprio il nostro Angelo?), un formidabile Paciucco, un Fornabaio abile nel disegno che stimolava me undicenne a praticare quest’arte, un Tucci, poi divenuto se non erro un rinomato procuratore, un Pinuccio Del Monte, poi avvocato socialista oltre che amministratore comunale e provinciale, il meraviglioso e indimenticabile La Penta professore di matematica, il compagno sindaco Rienzi, il carissimo amico sindaco Rasulo che con me ha frequentato per qualche giorno la scuola PCI delle Frattocchie e qualche tempo dopo avermi onorato della sua presenza al mio matrimonio purtroppo passò a miglior vita, le notturne riunioni pubbliche per lottare contro l’insediamento del laboratorio nucleare SuperPhoenix ai tre confini di Ferrandina, San Mauro e Salandra, confortati da splendidi segretari regionali dell’epoca.
Quanti ricordi, caro Antonio, si sono affollati in un istante, tra i quali una piccola fregatura professionale che per amicizia voglio raccontarti, senza citare nomi.
Un giorno incontro in piazza a Matera l’amico Pinuccio del Monte contento di informarmi che l’amministrazione comunale di Stigliano aveva deciso di affidare l’incarico del Piano Regolatore di Stigliano a me e ad amici professionisti materani di una famosa associazione. All’inizio della professione queste cose sono importanti ed io, che non avevo usato alcuna pressione per l’incarico, né allora e né mai, ero enormemente gasato per la stima che alcuni comagni avevano di me. Fatto sta che, tempo che il sindaco Rasulo spiccasse il volo per una gita a Mosca e, oplà, l’incarico fu assegnato solo all’assosciazione dei professionisti. Non avere nel curriculum professionale un lavoro così prestigioso, credimi, mi dispiacque molto, ma non ebbi acrimonia con quelli che sono stati e sono cari amici di Matera, con i quali ho poi collaborato per altri importanti incarichi. Per dirla con il Manzoni: così andava allora il mondo …. o anche adesso?
Un abbraccio
Mimmo
Caro Mimmo, sono contento di averti suscitato tanti ricordi, che non sono anche miei perché sono attinenti a un’era geologica precedente la mia. Ho conosciuto solo Rocchino (così lo chiamavo) Lapenta (questa ricordo che fosse la forma del suo cognome). Non lo rivedo da mezzo secolo, è il mio Padrino di Cresima.
Il tuo ricordo di tal Fornabaio mi obbliga (capirai perché parlo di obbligo) a informarti che fra un paio di settimana riceverai un piccolo libro con la quarta di copertina disegnata da una bambina di undici anni,
La lettura del tuo lungo commento ha lenito la mia solitudine. Ti ringrazio.
Un abbraccio,
Antonio
Ciao, Antonio. Ti ringrazio per la tua testimonianza sul mio libro di racconti.
E’ inutile dirti che la tua attenzione per la mia persona è per me motivo di orgoglio. Di questo sarò sempre grato al compianto Gilberto Marselli, che ha creato le condizioni perchè ci conoscessimo.
Ho letto con grande piacere anche le tue amabili “divagazioni”, che confermano non solo la tua prodigiosa memoria, ma anche il tuo forte attaccamento alla nostra terra. Esilarante quella che riguarda il comizio di Lauro a Tricarico.
Intendo qui anche ringraziare per il commento Mimmo Langerano, che ha ricordato cari amici della mia Stigliano, come il professor Rocco Lapenta e Mimì Rasulo.
Un caro saluto,
Angelo Colangelo