ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi

La madre di Cecilia (capitolo XXXIV)

Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori.

Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento.

Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così». Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affacendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina.

La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.

CECILIA

 

6 Responses to Promessi Sposi – La peste di Milano – La madre di Cecilia

  1. Antonio Martino ha detto:

    Ho letto i cinque capitoli (XXXI-XXXV) sulla peste dei Promessi Sposi e consiglio di fare la stessa cosa e godere la funzione confortatrice dell’episodio della madre di Cecilia tra i gemiti e gli orrori della peste.
    Ho cercato e trovato che l’episodio ha una fonte, che è federiciana, risale al cardinale Federico Borromeo. Essa è nel “De pestilentia” del Cardinale Federigo Borromeo e, più precisamente, nel capitolo VIII, “De miserandis casibus”, così tradotta (non da me) dal latino: “Essendole morta sotto gli occhi la bambina di nove anni, la madre non volle che le fosse toccata dai monatti: “Voi, disse, passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me”. E, rientrata in casa, stette a contemplare dalla finestra quelle esequie, e poco dopo, morì”.
    Avendo sott’occhio la scena del capitolo XXXIV e quei particolari: “Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta”. “No, disse, devo metterla io su quel carro”. “Voi, passando di cui verso sera, salirete a prendere anche me”. “Rientrò in casa e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra… stette a guardare quelle così indegne esequie, poi disparve”, è evidente che il Manzoni doveva avere presente la pagina federiciana, quando stese la scena della madre di Cecilia. La quale, dunque, prima di appartenere alla trasfigurazione artistica, appartiene alla realtà, alla vita, a uno dei “miserandi casi” che Federigo vide coi suoi occhi.

  2. Domenico Langerano ha detto:

    Carissimo Antonio,
    forse non sai ma al ginnasio del seminario di Potenza l’abbiamo imparata a memoria ….TUTTA! Naturalmente ora non vado oltre la prima parte, il resto vado saltellando e con il necessario aiuto del testo sotto gli occhi non per un poco di tempo necessario a ‘rimembrare’, ma fino alla FALCE CHE PAREGGIA TUTTE L’ERBE DEL PRATO.
    Immagine classica della ritrattistica della morte al pari delle forbici delle Parche; io preferisco la meravigliosa commediola de LA LIVELLA di Totò.
    Mi ero preparato per partecipare al costituendo comitato per l’ospedale e dare quel contributo critico che ho postato su Fb, ma l’assemblea é stata vietata pare per ordinanza del Sindaco sulla scia delle indicazioni regionali, comunque se ti va di dare un giudizio sugli accadimenti di questi giorni, cerca di non fare una facile ironia, a me sembra che vada un po’ meglio di quel che accadeva a metà del secolo al quale don Alessandro si riferiva nella sua Historia.
    Un abbraccio con la buona serata
    Mimmo

    • Antonio Martino ha detto:

      Anche ai miei tempi, ben più antichi dei tuoi, si imparava molto a memoria,
      Non ho nessuna intenzione di fare della facile ironia ed erigermi a superesperto in un gran numero di discipline. Giudizi e ironia quando tutto sarà passato, se ne faranno COL SENNO DI POI. Col senno di poi non si sbaglia mai, ora, per me, non sbagliano le istituzioni e i tecnici e… il mio vescovo, che ha sospeso la celebrazione dell’Eucarestia in tutti i luoghi sacri. Per me e Titina la decisione del vescovo è l’unico provvedimento che ci tocca, giacché, per il resto, noi siamo in quarantena da almeno tre anni.

  3. Rachele ha detto:

    Infine, tanti rileggeranno i Promessi Sposi, e scusate se è poco.

    • Antonio Martino ha detto:

      Se la tua previsione si avverasse sarebbe universale il vantaggio che ricaverebbero coloro che leggessero il romanzo manzoniano. E’ bene sapere di che cosa si tratta.
      Il poeta tedesco Johann-Peter Eckermann (1792-1854) nella sua opera probabilmente più celebre, Colloqui con Goethe riferisce che Goethe – uno dei più grandi letterati tedeschi, considerato «l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra», e solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo – comprese immediatamente la grandezza di Manzoni e della sua opera più celebre, che suscitava continuamente nel suo cuore sensazioni splendide che si inseguivano e si alternavano armoniosamente. Goethe riscontrava nei Promessi sposi un equilibrio ideale tra le vicende dei personaggi, ciò che definisce «l’elemento interiore», ed il contesto storico nel quale sono inseriti, «l’elemento esteriore».
      Sono molte le pagine in cui Eckermann riporta giudizi di Goete sui Promessi Sposi. Per esempio Mercoledì, 18 luglio 1827 scrive
      «Devo dirLe – furono le prime parole che Goethe mi rivolse oggi a tavola – devo dirLe che il romanzo di Manzoni supera tutto ciò che noi conosciamo in questo genere. Basta che io Le dica che l’elemento interiore, tutto ciò che deriva dall’anima del poeta, è perfetto, e che l’elemento esteriore, le descrizioni dei luoghi e simili, non la cede di un capello alle grandi qualità interiori. Ciò significa qualche cosa». «L’impressione, continuò Goethe, che si riceve alla lettura è tale che si passa continuamente dalla commozione alla meraviglia, e dalla meraviglia alla commozione: così che non si esce mai da uno di questi due grandi effetti. Credo che non si possa andare più in là. In questo romanzo si vede per la prima volta davvero chi è Manzoni. Qui apparisce nella sua pienezza quel suo mondo interiore, che nelle tragedie non aveva avuto nessuna occasione di svilupparsi [….]»

  4. Valeria ha detto:

    Meravigliosa pagina della nostra letteratura,non ho parole per esprimere l’emozione.

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