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Cambiamenti comportamentali. Se c’è una lezione che arriva oggi dal coronavirus è che per fare le cose giuste o smettere di fare quelle sbagliate non basta deliberare la regola, bisogna mantenerla

IL SOLE 24 ORE DOMENICA 15 MARZO 2020

Roberto Casati

La mia vicina sta decidendo se chiudere il suo ristorante a Parigi, che in due giorni è passato da ottanta a venti coperti. Ho appena mandato una lettera ai ricercatori del mio istituto, autorizzandoli e anzi invitandoli a lavorare da casa. Ho deciso di non toccarmi più il volto, e cerco di lottare contro la compulsione a farlo. Giorno dopo giorno, minuto dopo minuto siamo messi di fronte a decisioni individuali e collettive che non riguardano le solite cose (quale film andare a vedere, cambiare o no lo smartphone?) ma che richiedono un cambiamento di comportamento, a volte radicale. I comportamenti cambiano, possono cambiare e in alcuni casi devono cambiare. Ma come si cambia un comportamento?

Dobbiamo porci quattro domande, una vera e propria checklist: Perché? Cosa? Chi? Come? Voglio allontanarmi un istante dal tema del coronavirus per mostrare che il problema è ampio, e che da un punto di vista più generale magari possiamo imparare qualcosa di utile sull’emergenza in corso. Prendete il caso del cambiamento climatico. Sappiamo perché cambiare comportamento: abbiamo tutta l’evidenza necessaria e vogliamo evitare l’avverarsi degli scenari indesiderabili. In buona parte sappiamo cosa fare: certe cose funzionano molto bene (ridurre i viaggi in aereo) e sono più efficaci di altre cose (riciclare la carta della stampante, che va comunque bene). Ma chi deve cambiare il proprio comportamento? Il tema dell’ingiustizia climatica è emerso con forza in Francia durante la crisi dei gilets jaunes: perché mai chi ha più bisogno dell’auto, in zone che non hanno trasporti pubblici, deve pagare per finanziare la riduzione del carbonio, se poi gli altri non cambiano il loro stile di vita?

Infine, il come. Anche se abbiamo risolto il problema del perché, del cosa e del chi, bisogna poi fare in modo che le cose si facciano davvero. Mettiamola così. Ho capito che devo ridurre il mio consumo di carne se voglio aiutare il pianeta. Ho anche deciso di farlo. Ma al supermercato ho comunque messo i petti di pollo nel carrello! Chiaramente qualcosa non ha funzionato.

Questo tema è al cuore delle riflessioni del Gruppo di lavoro Intergovernativo sul Cambiamento Comportamentale, un’istituzione che si ispira all’IPCC. Diciamo che ci sono due estremi abbastanza ben delineati. Da un lato, la semplice informazione: «lavarsi le mani riduce il rischio di contagio». Dall’altro, la coercizione: «Non si esce di casa per i prossimi dieci giorni». Ma se l’informazione nuda, del tipo se lo conosci lo eviti, rischia di non funzionare («fumare nuoce alla salute»), la coercizione ha dei costi obliqui come il sentimento di essere scavalcati dalle autorità, che di ritorno possono generare comportamenti controproducenti (l’assalto al treno per uscire dalla zona rossa).

Che cosa c’è tra i due estremi? Ecco una carrellata. Tanto per cominciare, possiamo dare l’esempio, in particolare se siamo in posizioni di autorità: ridurre i nostri viaggi in aereo mostra che ci crediamo veramente. Possiamo sperare in un cambiamento di mentalità, è quello che vorrei chiamare l’Effetto Greta. Possiamo dare un qualche tipo di feedback a chi si comporta come non si dovrebbe: gli automobilisti cui si mostra il contenuto della “scatola nera” della loro auto e che scoprono che hanno sorpassato venti volte il limite di velocità in un giorno («ma guarda, non pensavo») finiscono con il modificare il loro stile di guida. Possiamo fare delle robuste campagne, sia d’informazione che di persuasione («allacciare la cintura di sicurezza salva la vita», oppure «non usate whatsapp mentre guidate!»). Purtroppo molta letteratura empirica mostra che le campagne hanno poco effetto; servono soprattutto a generare un po’ di coscienza collettiva che permette in seguito di far accettare quello che veramente serve, ovvero delle misure che magari offendono chi pensa di godere di un insindacabile diritto a starsene senza cintura. Rendere obbligatorio l’uso della cintura di sicurezza ha cambiato tutto.

Negli ultimi anni sono diventati di moda i “nudge” o le spinte gentili. Un esempio è l’uso del default nella richiesta di donazione di organi: se si dice alle persone che di base devono donare, ma possono comunque optare per non donare, il tasso di donazione è molto più alto che se si dice loro che di base non devono donare, ma possono comunque optare per donare. Vogliamo poi discutere di incentivi e di disincentivi? (Delle corsie privilegiate per chi fa carpooling, dei parcheggi gratuiti per le auto elettriche? O della patente a punti?). Qui la creatività può sbizzarrirsi. E non è per caso che parlo di creatività. In molte situazioni, la vera differenza comportamentale la farà un buon design dell’ambiente in cui abitiamo, se non addirittura il cambiamento delle infrastrutture. Più telelavoro e uffici senza open space = meno contagi.

Che lezioni possiamo trarre dalla carrellata? In primo luogo vediamo che il problema non è tanto la deliberazione quanto la sua manutenzione: so benissimo che non devo farlo, ma poi mi stropiccio gli occhi cento volte al giorno.

In secondo luogo: non possiamo andare al supermercato del cambiamento comportamentale e scegliere un metodo a caso. Non ci sono misure passepartout: magari l’ipnosi funziona per smettere di fumare, ma non possiamo usarla per far sì che le persone non si bacino e abbraccino.

In terzo luogo ci concentriamo forse troppo su come far fare in positivo, e meno a come impedire (intendo dire in modo creativo: si possono sempre erigere muri, stendere filo spinato e disseminare posti di blocco). Pensate al trucchetto che vi impedisce di dimenticare la tessera nel bancomat quando ritirare del contante. Nel passato uno arrivava al bancomat, ritirava i soldi, e se ne andava dimenticando la tessera. Alla fine le banche hanno trovato il modo: «ritirare la tessera per ottenere il contante». La tessera è facile da dimenticare, il contante no. Questo per dire che il design del futuro è probabilmente un design controintuitivo. Ne abbiamo bisogno ora: le maniglie sono fatte per essere afferrate, ci invitano a farlo, e quindi propagano il virus. Servono maniglie diverse, o magari piediglie.

E poi c’è la storia. È vero che la memoria è corta, ma abbiamo buone speranze di pensare che il vaccino contro il coronavirus non sarà snobbato, quando uscirà.

 

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