Ho dato alle stampe un libretto in ricordo del mio carissimo amico di una vita Gilberto Marselli nell’anniversario della sua scomparsa, che coincide col compimento del mio 90.mo anno. Il libretto è intitolato «Semi di melograno», perché il melograno è simbolo di morte e di vita e i semi sparsi nel libretto sono ricordi della nostra amicizia.
Papa Francesco ha profeticamente affermato: «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo…» e questa riscoperta dello spirito di fraternità profetizzata dal Papa nel tragico tempo del Covid-19 mi induce ad anticipare una pagina del mio libretto.

UDDIN VENUTO DAL BANGLADESH

Un giovane immigrato bangladese – si chiama Zashim Uddin – da qualche anno gestisce vicino casa mia un negozio ortofrutticolo, aperto tutti i giorni, compresi la domenica e i giorni festivi, Natale e Pasqua compresi, dalle 8 del mattino alle 10 di sera. Vende frutta e verdura di buona qualità, largamente distese in buon ordine su tavoli al centro del negozio; e vino, amaro lucano e altri liquori dolceamaro, alimentari surgelati, e molto altro di diversi generi in scansie lungo le pareti.(Sto rileggendo e correggendo nel tempo in cui imperversa il coronavirus e il tempo presente del verbo gestire e gli orari della gestione hanno il sapore dell’irrealtà).

Uddin ha lasciato le estese foreste di mangrovie che il sud del suo Paese condivide con l’India – e dove vive la tigre del Bengala – ed è venuto a Ferrara in Italia, a pochi metri da casa mia, per rendere più facile la mia vita. Posso comperare ciò di cui ho bisogno, quando ne ho bisogno, e non devo più approvvigionarmi al lontano più vicino supermercato, fare provvista e portare a casa pesanti pacchi. Provvede Uddin: gli telefono –Uddin! – e lui arriva. Se ciò che gli chiedo è merce che non negozia, se lo procura e me lo porta il giorno dopo.

Il Bangladesh, Paese più densamente popolato del mondo e di estrema povertà, tuttavia, a causa della recente indipendenza, è attento alla conservazione degli usi e dei costumi tradizionali bengalesi, utili da un lato a rafforzare l’identità nazionale e dall’altro a salvaguardare la specificità regionale. La moglie di Uddin veste il sari, l’abito femminile di gran lunga più diffuso. Alcuni mesi fa hanno avuta una figlia, una bella bambina con la pelle scura: nata a Ferrara, in Italia – ferrarese, italiana di origine bangladese.

Nei tristi giorni d’inverno sul banco della frutta e verdura di Uddin (ri)compaiono allineati melograni di colore giallo-oro sfumante al rosso, lucidi come se fossero stati strofinati con un panno di lana, ed è probabile che Uddin li abbia realmente strofinati.

Il melograno, frutto avvolto da una scorza come di cuoio, con semi avvolti da sottili membrane, che tanto stimolano l’occhio quanto poco appagano il palato dopo un attimo di delizia per aver raggiunto quel colore di fuoco e quei chicchi di lucentezza, e subito si trova a ruminare quelle sottili membrane e frammenti legnosi.

Leggo in un appunto scovato tra le mie sparse carte (copiato o parafrasato, immagino, da Francesca Marzotto Caotorta, nota esperta di giardini, piante e paesaggio vegetale spontaneo) che la molto amata del Cantico dei Cantici fa associare il melograno, e non il melo, a immagini di indimenticabile sensualità. Alcuni, in effetti, avanzano l’ipotesi che l’albero degli alberi sia in verità il melograno che troviamo in iconografie antichissime e in testi remoti, collegato a simbologie sia di vita che di morte, di abbondanza, di resurrezione, e anche di sesso e di sangue.

Sallustio – me lo ha ricordato il mio amico Angelo Colangelo – diceva che i miti raccontano fatti che non avvennero mai, ma ci sono sempre. I melograni di Uddin in effetti evocano i miti del melograno – Niobe, Demetra e Persefone – la vita che vince la morte. Al loro ricordo si è associato il mito di Ampelo. Raccontali su Rabatana questi miti, mi diceva Gil [berto Marselli].

Avevo notato che Uddin scrive velocemente appunti con scrittura adulta, che mostra di essere il risultato di non pochi anni di studio. Gli chiesi quali studi avesse fatto e Uddin mi rispose serenamente che è ingegnere e che il suo titolo bangladese non è valido in Italia.

Poi ho scoperto che ha un profilo su Facebook. Ha studiato presso il Chittagong Polytecnic Institute e ha frequentato il Gobinath Pur High School. Lascio immaginare cosa ne pensasse Gil, ripeterò solo che mi incitava a introdurre i lettori di Rabatana «ai segreti dei diversi miti, proprio noi condannati a vivere in un mondo sempre più tecnologizzato, impersonale, essenzialmente sordo alla vera vita. Fa bene, ogni tanto, ritornare nella realtà sia pure con questi arditi voli nella mitologia, spesso troppo ignorata o dimenticata … ».

 

6 Responses to Uddin venuto dal Bangladesh, in ricordo di Gilberto Marselli

  1. Rachele ha detto:

    La delicatezza con cui è descritto Uddin in questa pagina anticipata mi fa aspettare con impazienza il libro.
    Un caro saluto.

  2. Angelo Colangelo ha detto:

    Ciao, Antonio.
    Auspico che la pubblicazione del tuo bel libro, scritto con impegno tenace e sconfinato amore al fine di onorare la memoria del grande amico GIL, possa essere beneaugurante. Che possa la sua uscita rappresentare la liberazione dall’incubo che stiamo tutti vivendo e annunci l’alba di tempi nuovi. Sono certo che anche GIL sarebbe davvero contento della felice coincidenza e commenterebbe lassù, da par suo, l’evento!
    Un grande abbraccio,
    Angelo Colangelo

    • Antonio Martino ha detto:

      Grazie, Angelo. Mi unisco al tuo auspicio e ricambio il forte abbraccio con riconoscente amicizia, Amtonio

  3. Mery Carol ha detto:

    Caro Antonio
    Spero anch’io di leggere presto il tuo libro in concomitanza della fine di questa infernale tragedia umana. Mi par di vederti con Uddin che deve essere una bella persona per essere amico tuo e di Marselli (R.I.P.)
    Grazie per tutte le pagine belle che scrivi.
    Un abbraccio.
    Mery

  4. Antonio Martino ha detto:

    Cara Maria Pia,
    Gilberto non ha conosciuto personalmente Uddin, di cui abbiamo spesso parlato, egli ci ispirava considerazioni sull’immigrazione. La serenità di Uddin e i suoi melograni avevano particolarmente colpito Gilberto, e fu lui a ricordarmi i miti del melograno e a sollecitarmi a ricordarli su Rabatana. Il rapporto con Uddin continua con lui mascherato, che mi deposita le merci sulla soglia della porta, non entra in casa, non parliamo più, col mio udito calato e la sua mascherina la conversazione non è possibile. Sono felice della sorpresa che gli farò quando gli consegnerò il libro, di cui egli non sa nulla.
    Ricambio l’abbraccio,
    Antonio

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