Piero Stefani, Presenze invisibili
Parte della lettera scritta da Piero Stefani, qualche giorni fa, alle socie e ai soci del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche: associazione interconfessionale di laiche e laici per il dialogo). La selezione è stata effettuata dall’autore e riportata il 2 aprile 2020 sul suo blog Il pensiero della settimana – Riflessioni tra Bibbia e Attualità, che io gestisco.
Come tutti, siamo giunti impreparati a questi giorni. È un periodo inatteso, improvviso. Un tempo drammatico, sospeso per tanti, concitato e pieno di lavoro per molti, colmo di stenti, sofferenza e morte per troppi. Non è l’epoca più tragica della storia. Tra la primavera del 1918 e il 1919 la pandemia di spagnola mieteva, in ogni angolo del pianeta, vittime molto, molto superiori alle attuali. Per l’Italia, che allora aveva circa 35 milioni di abitanti, si parla di cifre attorno al mezzo milione di morti (non ci sono statistiche precise). Fatto inedito la malattia colpì soprattutto persone tra i 25 e 40 anni. Quando scoppiò la spagnola c’era ancora la guerra. In Italia i morti tra militari e civili furono oltre un milione. Sappiamo quali furono le conseguenze per il nostro Paese; non ci volle molto tempo perché sopraggiungesse il ’22.
Se ricordiamo tutto ciò non è per imboccare la via della falsa consolazione che afferma: c’è chi sta (o è stato) peggio. Le ragioni sono altre. Se si vuole comprendere questo nostro tempo come un «segno» bisogna coglierlo nella sua specificità. Essa non sta nella sua tragicità; la storia umana è colma di orrori. Tanto meno lo si trova nel porsi la domanda su «dove è Dio in tutto ciò?»; un interrogativo che l’umanità è nelle condizioni di sollevare da sempre.
Quanto è peculiare alla situazione attuale è di essere immersi nella prima pandemia dell’epoca della globalizzazione. Lo è soprattutto per la modalità di diffusione del contagio e ancor di più delle notizie che lo riguardano, per le misure assunte per contrastarlo (separazione sociale, sistemi sanitari), per le ripercussioni economico-finanziare innescate dal covid-19. Siamo chiusi nelle nostre case mentre il mondo invade i nostri appartamenti. Siamo separati gli uni dagli altri e comunichiamo di continuo. Dipendiamo più che mai dall’energia elettrica. Le mobilità e le informazioni che sembravano due facce della stessa medaglia, si sono divaricate. Può essere, come molti affermano, che il cambiamento climatico e l’inquinamento svolgano un loro ruolo; tuttavia in queste settimane la società umana e i tempi propri della natura animale e vegetale viaggiano in parallelo. La primavera irrompe, i fiori sbocciano, i prati rinverdiscono, gli animali non domestici vivono come sempre. Nelle nostre città i piccioni non sono soggetti né al coronavirus né a restrizioni. La grande, giusta preoccupazione per l’ambiente è entrata anch’essa in una fase di sospensione. Pure in questa situazione inedita vi sono però delle costanti: come sempre, sono i poveri a pagare il prezzo più alto. Sono soltanto piccole pennellate di un quadro molto più fitto di figure che ci sfuggono.
In questo contesto vi sono vicende che riguardano donne e uomini nella irripetibilità del loro vivere e per tanti, troppi, del loro morire. Storie di solitudine, di solidarietà, di aiuto, di abbandono, di preoccupazioni, di paura. Ognuno di noi ne sa qualcuna; Dio, per chi è nella fede, le conosce tutte, una per una.
Le Chiese sono state colte alla sprovvista come tutti. I culti sono sospesi, o attuati in maniera monca, per decreto ministeriale. È una misura che non ha precedenti. Le comunità dei credenti non vivono in spazi privilegiati. Se ciò avvenisse sarebbe un’infedeltà nei confronti sia di Dio sia delle creature umane. Le Chiese sono chiamate a testimoniare una presenza non riconducibile a quella della solidarietà e dell’aiuto. Queste ultime azioni sono indispensabili, ma lo sono (o lo dovrebbero essere) in quanto comuni a tutti gli esseri umani. Moltissimi, a iniziare dai medici e dagli infermieri, operano in tal senso e il ringraziamento nei loro confronti è corale. Quanto è chiesto alle Chiese è di testimoniare, specie di tempo di Pasqua, una presenza invisibile alternativa a quella, anch’essa drammaticamente invisibile (ma in questo caso verificabile), propria del virus.
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