STORIA E STORIE 05 Aprile 2020 Domenica Il Sole 24 Ore

Le epidemie nella storia. Dalle punizioni o ammonizioni divine alle più diverse e fantasiose credenze per spiegare le malattie: lotte di classe, patriottismo, volontà di dominioPandemiche superstizioni

Emilio Gentile

Diventerà un’icona di questo periodo di pandemia l’immagine della bianca figura di papa Francesco, solitario sul sagrato della basilica di San Pietro, la sera del 27 marzo, mentre si reca a piedi sotto la pioggia verso un modesto baldacchino, dal quale ha pregato rivolto all’immensa piazza deserta. Il pontefice ha esortato i fedeli a rivolgersi a Cristo per «trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso»:«Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza» ( Forti nella tribolazione. La comunione della Chiesa sostegno nel tempo della prova, a cura del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020).

Nelle sue preghiere e omelie, il papa non ha evocato il Dio biblico che scatena le malattie sterminatrici per punire l’umanità peccatrice, né Gesù quando ammonisce: «Se non fate penitenza, voi perirete tutti nello stesso modo. Oppure, credete voi che quelle diciotto persone sulle quali cadde la torre di Siloe e le uccise, fossero colpevoli e non tutti gli abitanti di Gerusalemme? Noi, io vi dico, ma se voi non fate penitenza, perirete tutti nello stesso modo» (Luca, 13, 3-5)

Per oltre un millennio, la chiesa di Roma ha presentato le catastrofi naturali, le epidemie, le guerre come azioni punitive inflitte dalla volontà divina. Di questa interpretazione si avvalse nell’autunno del 1918 il vescovo di Zamora, quando in Spagna esplose l’influenza “spagnola”, la prima e la più micidiale pandemia della storia, che subito gli spagnoli, indignati per tale denominazione, chiamarono “il soldato napoletano”, dal nome di una canzonetta allora in voga a Madrid. Come narra la giornalista scientifica Laura Spinney nel libro 1918.L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo, (Marsilio 2018), il vescovo disse ai suoi fedeli che l’epidemia era dovuta «ai nostri peccati e alla nostra ingratitudine, a causa dei quali si è abbattuto su di noi il braccio vendicatore della giustizia eterna». E per indurre il suo gregge al pentimento, sfidò le autorità sanitarie che gli si opponevano, e ordinò una novena in onore di San Rocco, il santo protettore contro le pestilenze, dichiarando che di fronte all’impotenza della scienza a frenare l’epidemia, «gli uomini si allontanano, disillusi, e volgono lo sguardo verso il cielo». E quando l’epidemia finì, il vescovo disse che erano state le preghiere a placare «la legittima rabbia di Dio».

Dopo il Concilio Vaticano II, l’idea della punizione è stata sostituita dall’idea dell’ammonizione. Di «ammonimento della Madonna» ha parlato nel febbraio scorso Radio Maria, un’emittente cattolica ascoltata da molti credenti. Nel commentare la comparsa in Cina del Covid-19, Radio Maria ha osservato che non è un caso se il virus ha avuto origine proprio nel Paese governato dal comunismo ateo, persecutore dei cristiani, così come la sua propagazione nel mondo è avvenuta perché l’umanità si è resa colpevole di fronte a Dio. La stessa denominazione del virus, “corona”, ha spiegato l’emittente cattolica, corrisponde a un messaggio della Madonna di Medjugorje, che esorta alla conversione, annunciando «tempi terribili» per l’uomo, che ha abbandonato Dio per idolatrare sé stesso.

Alla millenaria interpretazione delle epidemie come punizione o ammonizione divina, presente anche nelle religioni precedenti il cristianesimo, si è affiancata nella superstizione popolare l’attribuzione delle epidemie a un complotto. Tucidide attribuì la peste, che fece strage di ateniesi nel 430 a.C., ai veleni gettati dai loro nemici nelle cisterne del Pireo. La diffusione di sostanze venefiche fu definita da Seneca “pestilenza manufatta”, e questa denominazione fu adoperata durante il Medioevo, e per tutta l’epoca moderna. Per secoli, la superstizione popolare ha attribuito la peste o il colera alla «presunta apparizione di esseri angelici, ministri di morte e strumenti di vendetta divina oppure si individuano in determinati gruppi sociali i responsabili del contagio», come scrive Paolo Preto nel libro Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna (Laterza 1987).

Con dovizia di esempi, che vanno dalla peste del 1630 fino alla “spagnola”, lo storico documenta quanto fosse diffusa, radicata e persistente in Italia la credenza che vi erano “untori”, che usavano materie untuose, polveri e altri preparati venefici, per propagare la malattia. La superstizione popolare, spesso alimentata da chi se ne avvaleva per propri interessi, attribuiva la “peste manufatta” a una potenza straniera, una classe sociale o una setta religiosa, che si servivano degli untori come manovalanza per diffondere il contagio. Alla credenza negli untori seguiva la paura popolare per la loro azione malefica, e alla paura seguivano inevitabilmente i massacri di individui e di gruppi identificati accusati di essere artefici o propagatori dell’epidemia: streghe, alchimisti, stranieri, eretici, ebrei, vagabondi, pitocchi, “galantuomini”, farmacisti, e persino medici che curavano gli infettati. Le credenza nella volontà punitrice di Dio e nella “peste manufatta” hanno avuto una storia di lunga durata, attraversando, come un fiume carsico, le fasi di progresso e di secolarizzazione della scienza, per riemergere periodicamente in occasione di nuove epidemie, durante l’Ottocento e persino nel Novecento. In Italia, prima dell’unificazione, ci furono spesso azioni violente contro presunti untori, da parte di folle inferocite dalla superstizione, aizzate anche da spregiudicati agitatori, che se ne servivano per interesse personale o per scopi politici. La credenza nella “peste manufatta” assunse spesso motivazioni classiste fra le masse povere, che accusavano i “signori” e i “galantuomini” di volerle sterminare, diffondendo il morbo o proteggendosi dal morbo col privilegio di cure esclusive.

Durante il Risorgimento, i reazionari del trono e dell’altare additarono alle plebi superstiziose i liberali e i patrioti come untori. Ma neppure i patrioti laici e razionalisti esitarono ad infiammare il popolino contro il governo borbonico, come artefice del contagio. Rivolte provocate dalla credenza nella “peste manufatta” fecero irruzione ancora nel 1910-1911, durante una epidemia di colera, con folle inferocite che nel Sud si scagliarono contro amministratori, medici, e persino il re Vittorio Emanuele III, accusati di voler sterminare la povera gente, diffondendo con una “polveretta” il morbo del colera. Nei giornali dell’Italia liberale, che celebrava i primi cinquanta anni di unità, apparvero «con ossessiva ripetitività» parole come: superstizione, untori, barbarie, medioevo. Pochi anni dopo, la “spagnola” fu attribuita, sia in Italia sia nei Paesi alleati, alla guerra batteriologica dei tedeschi: negli Stati Uniti furono fucilati ufficiali e infermieri della sanità accusati di aver inoculato la malattia nelle truppe che si accingevano a partire per l’Europa.

Con il progresso della scienza medica, la lunga durata delle credenze superstiziose sull’origine divina o umana delle epidemie si è rarefatta. La maggioranza della popolazione sembra essere ormai vaccinata contro tali credenze. Ma tuttora vi sono teologi di varie religioni, che attribuiscono l’attuale pandemia a punizioni o ammonizioni divine. Tuttora, governanti e intellettuali laici affermano o insinuano che il Covid-19 sia stato confezionato da una grande potenza che aspira al dominio del mondo. E, forse, un inconscio residuo di antiche superstizioni echeggia ancora quando si sente dire che il coronavirus ha dichiarato guerra all’umanità.

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