Giovedì scorso, 16 aprile, è morto Luis Sepulveda un maestro del racconto e grande sostenitore di Allende. Aveva  contratto il coronavirus. Restano per sempre i suoi romanzi che parlano d’amore con parole così belle da far dimenticare la barbarie umana. Lo ricordo riportando l’articolo di Franco Aviccoli, publicato la successiva domenica 19 nel supplemento settimanale del Sole 24 Ore e con brevi accenni ad alcuni dei suoi libri da me letti.

L’articolo di Franco Aviccoli.

Luis Sepúlveda amava definirsi uno scrittore realista, forse per distinguersi dal generico realismo magico con cui viene spesso classificata la narrativa latinoamericana. Nell’opera dello scrittore cileno si sente forte l’eco della rivisitazione, di una qualche appartenenza, di un complesso di eventi e circostanze che hanno origine in un accaduto di cui egli è testimone, partecipe o anche protagonista. Come accade con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, nato dall’esperienza in Amazzonia dopo la prigionia patita con la dittatura di Pinochet. O con Patagonia Express, che sorge dal desiderio di dare corpo ad un territorio al quale si sente legato; o anche con Il mondo alla fine del mondo che porta in Patagonia, nell’infanzia e nella dimensione incantata delle avventure che l’hanno popolata.

Lo scrittore nasce in un albergo dove i genitori, in fuga d’amore, si sono rifugiati. I suoi primi insegnamenti sono del nonno andaluso e anarchico; poi arrivano le opere di Melville, Salgari, Conrad. A venti anni riceve il premio “Casa de las Américas” con Cronache di Pedro Nessuno. Va a Mosca per una borsa di studio di cinque anni che però si riducono a quattro mesi per una storia d’amore con l’insegnante di letteratura, ammogliata. Dal Cile si trasferisce in Bolivia e ritorna ancora nel proprio paese dove si dedica alla regia teatrale e alla narrativa. Sono gli anni della presidenza di Salvador Allende al quale si avvicina; entra nel GAP, il Gruppo di Amici del Presidente, come lo stesso Allende ama dire specificando: «mi accompagnano ovunque io vada e in caso di pericolo sono pronti a proteggermi a prezzo della vita». Sepulveda ricorda il tragico epilogo di quell’esperienza in Storie ribelli, una raccolta di racconti lungo il filo dell’amicizia che percorre quaranta anni di vita. In una vibrante recensione apparsa su queste stesse pagine, Alessandro Leogrande ritorna al giorno che segna la fine di Allende, sottolineando che l’11 settembre 1973 è «un momento aurorale, una frattura, un punto di non ritorno nel mezzo della biografia di Luis Sepúlveda».

La vicenda storica di Allende qualifica la storia del Cile e la generazione dello scrittore. «Non eravamo sicuri se avremmo vinto», scrive in L’ombra di quel che eravamo, «ma abbiamo osato» ed è un orgoglio «poter dire: ci abbiamo provato». Sepúlveda rivisita quel tempo in più occasioni come a ribadirne l’importanza e a riconferma di quanto la sua narrativa si alimenti del vissuto. Il quale, tuttavia, non affoga nella nostalgia perché è riproposto in una dinamica dove l’evento rivela un qualche passaggio, una crepa che illumina la qualità dell’umano e la forza che lo sostiene. Ed è proprio questo il tono narrativo che caratterizza i nove racconti raccolti in L’avventurosa storia dell’uzbeko muto, dove con L’altra morte del Che batte il cuore del GAP.

La libertà esalta la natura buona dell’uomo, sembra vogliano dire le opere dello scrittore cileno, con il senso ottimistico e positivo di cui sono pervase. Esso è più evidente in opere come Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico e di altre storie con tono e stile tra il poetico e il favolistico in cui il bene tende a dare forma all’agire, a diventare storia non in una banale semplificazione moralistica, ma in una prospettiva in cui è la stessa vita a ritrovarsi in un senso.

Le ultime opere di Sepúlveda uscite in Italia sono La fine della storia, e Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa.

Fin qui il ricordo di Aviccoli .

Ora brevi miei accenni a quattro racconti letti, che hanno un tono tra il poetico e il favolistico, in cui si mescola la spensierata delicatezza delle favole con una profondità di contenuti di cui solo un grande scrittore è capace. Fedele al genere della favola, Sepulveda tratta tematiche attualissime ed importanti utilizzando un linguaggio semplice e prendendo come protagonista un animale antropomorfo.

In Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare racconta l’amicizia, la solidarietà e l’amore per la natura.

«Prometti che non mangerai l’uovo» stridette aprendo gli occhi. «Prometto che non mi mangerò l’uovo» ripetè Zorba. «Promettimi che ne avrai cura finché non sarà nato il piccolo» stridette sollevando il capo. «Prometto che avrò cura dell’uovo finché non sarà nato il piccolo». «E prometti che gli insegnerai a volare» stridette guardando fisso negli occhi il gatto. Allora Zorba si rese conto che quella sfortunata gabbiana non solo delirava, ma era completamente pazza. «Prometto che gli insegnerò a volare. E ora riposa, io vado in cerca di aiuto» miagolò Zorba balzando direttamente sul tetto. «Sepulveda costruisce un mondo dove aiutare chi è in difficoltà è il valore supremo, dove – lezione non trascurabile – riesce a volare ‘soltanto chi osa farlo’»

Una tenera storia di amicizia nella diversità è Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico. Monaco. Max è cresciuto insieme al suo gatto Mix. È un legame profondo, quasi simbiotico. Max, raggiunta l’indipendenza dalla casa paterna, va a vivere da solo, portandosi dietro l’amato gatto. Il suo lavoro, purtroppo, lo porta spesso fuori casa e Mix, che sta invecchiando e sta perdendo la vista, è costretto a passare lunghe giornate in solitudine. Ma un giorno sente provenire dei rumori dalla dispensa di casa e intuisce che lì si nasconde un topo… e nasce un’altra grande storia di amicizia nella differenza.

Storia di unas lumaca che scoprì l’importanza della  lentezza affronta la dimensione temporale della società moderna, i ritmi frenetici che dominano le nostre vite, l’ansia che genera la perdita dei ritmi naturali, l’assenza di momenti da dedicare alla riflessione e alla conoscenza di sé stessi. Sepulveda sceglie un animale lento per antonomasia, la lumaca, che si muove in un mondo che ha smarrito la dimensione del tempo, preferendo la velocità e la frenesia alla lentezza, agli spazi per la riflessione. La lumaca, al contrario, conosce i pregi della lentezza, e di quelle dimensioni temporali che permettono di apprezzare le persone e i dettagli del mondo che ci circonda.

Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà. Il bambino è un piccolo mapuche, fiera popolazione cilena che da sempre abita quelle terre; il cane, di razza, è il suo compagno di giochi, e il piccolo stringe con lui un intenso legame di amicizia. In questa regione del mondo, però, sono tempi duri e uomini dal cuore di ghiaccio decidono che non è possibile che un bambino mapuche sia il proprietario di un cane così pregiato. I due vengono separati, e il cane inizia una vita di sofferenza, fino a quando, addestrato dai suoi nuovi padroni alla caccia ai ribelli e ai fuggitivi, ritroverà il suo grande amico, diventato adulto e capace di scelte coraggiose, e gli dimostrerà ancora una volta la propria fedeltà.

Concludo con l’annuncio di un mio libretto in stampa in ricordo di Gilberto Marselli. L’occasione mi è data dal fatto che Sepulveda, diplomato come regista teatrale, si è cimentato anche dietro la macchina da presa dirigendo due film e un documentario. Il secondo film, diretto nel 2002, è “Nowhere”, ambientato in un Paese sudamericano tenuto sotto la morsa della dittatura. Al nome implicitamente si allude nel mio libretto raccontando un simpatico gioco tra me e il carissimo amico Gilberto di ‘non sapere di non sapere’.

 

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