Tradizione letteraria e insulto: considerazioni a tempo perso del coronavirus
Un paio di anni fa misi in guardia sull’insulto i lettori di Rabatana, ammesso che ve ne siano. Attenzione, l’insulto è una cosa seria! Posi in risalto che esistono rigorose codificazioni dell’insulto e che per fare dell’insulto un’arte occorre essere buoni conoscitori delle regole di una conversazione civile; nonché che l’insulto riveste una certa importanza nella storia della letteratura e quindi, se l’insultatore di ciò non fosse consapevole, saprebbe che l’insulto non è pane per i suoi denti e, come insultatore, non meriterebbe neppure di essere mandato a quel paese.
L’insulto è nobile se eccezionale, ignobile se frequente e stucchevole, insulta davvero solo se spicca in un quadro pacato, non insulta affatto se si affastella sopra un mucchio caotico di aggressività. L’insulto richiede equilibrio psico-fisico e preparazione, capacità psicologiche e culturali. Una forte dose di ironia e di lucida autoironia. E’ un po’ come la buona satira: il potere e chi lo rappresenta lo colpisce in punta di fioretto, mai con la clava. Insomma, l’insulto è cosa seria, anzi, è un’arte.
L’unico lettore, il mio caro amico Angelo Colangelo, mi dette atto che avevo proposto autorevoli testimonianze sulla “raffinata tecnica” dell’insulto e osservò che si trattava di un tema di grande attualità, inerente a un’arte, che purtroppo è sempre più difficile coltivare a causa del regresso morale e intellettuale, cui si assiste da tempo. Media e social ci propongono, pertanto, continue e aberranti dimostrazioni di violenza verbale, becera e insolente, che è riprova dell’infimo livello culturale generale. Che – riteneva l’amico Angelo – non risparmia, evidentemente, le “presunte” classi colte del Paese, ponendoci di fronte a uno squallido contesto privato di grandi polemisti: quelli che anche nei momenti di più acceso dibattito erano capaci di sfoderare ironia tagliente o sarcasmo corrosivo, nel segno di un alto livello culturale e di una superiore intelligenza. Montanelli, Biagi, Flaiano, Longanesi, Prezzolini – concludeva Angelo con amara rassegnazione ormai appartengono a una invidiabile “razza” da tempo estinta.
In questo tempo di forzata segregazione a cui ci condanna il coronovirus mi è ricapitato tra le tra le mani un ouscoletto edito dal nuovo melangolo, casa editrice che nasce a Genova nel 1976 e vanta come propria identità la qualità della sua proposta: sia per quanto riguarda la scelta di autori e temi, sia per quanto riguarda la cura del libro pensato come veicolo di idee ma anche come oggetto estetico. E vanta anche l’aggiornamento della proposta, per cui, suppongo, si presenta appunto come il nuovo melangolo.
Si tratta invero di una proposta editoriale che spazia dalla saggistica filosofica a quella per un vasto pubblico, dai classici alla fiction. Come editore di saggistica ha fatto conoscere in Italia filosofi del calibro di Heidegger, Badiou, Lévinas, Nancy e ha riscoperto, in nuove traduzioni, i classici: da Seneca a Plutarco, da Luciano a Porfirio.
Ma il melangolo non è solo un editore per lettori forti. Più recentemente il marchio si è fatto apprezzare presso un pubblico più vasto grazie a una saggistica agile e raffinata dedicata a temi più direttamente legati agli interessi quotidiani delle persone: il benessere, la serie tv, il cibo, lo sport. Libri apprezzati per lo stile che li connota: la ricerca di punti di vista originali sul tema, la cura dei dettagli, la fattura dell’oggetto-libro. La produzione editoriale si articolata in sei principali collane, una delle quali è Nugae. Non è il nome della collana che ispirò il mio Sparse nugae nel tempo dell’attesa – Selezione di poesie di Rocco Scotellaro annotate – titolo espressamente di ascendenza catulliana, ma devo dire che i pochi libretti che ho letto li ho trovati molto divertenti e va comnque ribadito che si tratta di una casa editrice culturalmente attrezzata e impegnata. Della collana nugae fanno parte libri da portare in tasca, in cui fianco a fianco convivono le lettere inedite di Bulgakov, il racconto sul Natale di Benjamin, saggi di taglio filosofico sullo sport (corsa, nuoto, ping pong, ciclismo), e – particolare che intendo evidenziare per l’attinenza al tema di questo post – la più completa raccolta di insulti in greco e latino.
(…) Nessuno si aspetti di trovare in questo libro un elogio o una celebrazione della cosiddetta ” nobile arte dell’insulto”. Le citazioni raccolte non hanno nulla di nobile e tuttavia appartengono ai più grandi e raffinati autori dell’ antichità, sia greca che romana. Bastano pochi esempi per capire subito che l’insulto nel mondo antico non era concepito tanto come un’arma dialettica, da utilizzare ricorrendo magari all’ ironia o alla dissimulazione, quanto lo strumento più diretto ed efficace per aggredire verbalmente l’avversario di turno e avere così la meglio su di lui, costringendolo al silenzio. L’insulto non aveva perciò una costruzione particolarmente elaborata o sofisticata, proprio perché era sentito più come lo sfogo di chi per una volta poteva lasciarsi andare, contravvenendo alle regole di una conversazione civile. La letteratura greca e quella latina costituiscono una vera e propria miniera di insulti, imprecazioni, contumelie e volgarità di ogni genere, tanto che sarebbe difficile nominare un solo autore tra i poeti, gli scrittori, gli oratori, gli storici o i politici greci e romani nelle cui opere non si possa trovare almeno un esempio di ricorso all’invettiva. Anche un insospettabile classico come Cicerone, com la sua prosa sorvegliata, attenta alle più piccole sfumature di significato, si abbandona spesso a veementi intemerate contro chi, di volta in volta, viene preso di mira nella sue orazioni.
Da questo punto di vista, i frammenti riuniti nel libretto in questione saranno forse utili a contrastare quella che già Nietzsche aveva definito “la deplorevole tendenza ad idealizzare i classici , che il giovane si porta dietro nella vita come ricompensa del suo ammaestramento liceale”. Uno studente di oggi troverà infatti in queste pagine un vasto repertorio di vocaboli che vengono di norma prudentemente evitati dai curatori delle antologie scolastiche. Naturalmente questo libricino non contiene tutti i possibili insulti greci e latini, ma ne fornisce – per così dire – un assaggio attraverso il loro utilizzo da parte degli scrittori antichi più rappresentativi. I testi greci a fronte sono sempre accompagnati dalla translitterazione in caratteri latini, per consentire a tutti la lettura dell’insulto in lingua orignale; e la traduzione è il più possibile fedele all’originale perché non avrebbe avuto senso affrontare un tema imbarazzante e trascurato come quello in questione e poi edulcorarne la versione italiana. In altre parole, la lettura di questo campionario di oscenità potrà forse – a volte – risultare sgradevole, ma sicuramente mai noiosa. (…)
Per riferire un verso senza parole oscene, devo riportare un non-insulto del poeta greco antico Alceo, dove, a dire il vero, non si insulta ma si esulta con esagitazione (Nyn chrè methýsthen kài tina pròs blan / pònen, epèi Mýrsilos – Ora bisogna ubriacarsi e che ognuno beva / a forza: è morto Mirsilo). Il poeta così esulta per la morte dell’odiato tiranno di Mitilena Mirsilo e questo verso è tradotto da Orazio nella nota ode di esultanza per la morte di Cleopatra Nunc es bibendum. Il mio intento è propriamente notare che l’insulto può essere forse (o addiritura essere, senza forse) considerato un vero e proprio genere, praticato fin dall’antichità. La piccola raccolta di cui sto riferendo, realizzata saccheggiando i più grandi autori greci e latini, dimostra al lettore di oggi come anche le ingiurie e le espressioni oscene rientrano a pieno titolo nella nostra tradizione letteraria.
Piaccia o non piaccia, così è. L’etica, e non anche la letteratura, regge le regole dell’insulto con civiltà e ironia.
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