Tre giorni fa, una manciata di ore dopo la fatidica conferenza stampa con cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato i provvedimenti per l’inizio della cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza sanitaria, sullo schermo televisivo è apparso un volto luciferino, mal dissimulato dalla mascherina protettiva.

Era il volto di un Governatore Regionale, che da oltre un mese funesta l’ora del mio pranzo quotidiano. Ha provveduto subito, secondo un rituale ormai scontato, a snocciolare puntigliosamente il rosario delle lamentele sulla inadeguatezza e sulle carenze dei provvedimenti governativi e poi, visibilmente soddisfatto di sé, è scomparso.
Non aveva proprio l’aria di chi avrebbe dovuto e dovrebbe dar conto del proprio operato, su cui si addensano ombre sempre più minacciose. Appare chiaro, infatti, a molti che il disastro di quella Regione è dovuta in massima parte all’improvvida azione di chi ne è alla guida e della sua squadra autoreferenziale.

Ho spento allora il televisore e, sconfortato, mi sono convinto ancor di più che l’Italia è irrimediabilmente condannata al peggio, a causa della “malapolitica”.
Dopo qualche attimo, però, ha fatto irruzione nella mia mente il ricordo vivo di una scena recente, cui ho assistito dalla loggia della mia casa, dove docile sconto la pena della mia cattività.
Brevemente la racconto.

Un giovane studente maturando, che di nome fa Jacopo, dopo alcune ore di lezione a distanza esce trafelato di casa e sereno corre a prestare opera di volontariato con la Croce Rossa di Parma. Come fa da tempo. Come ha fatto anche nei giorni della massima paura.

La solarità del volto di Jacopo, non occultata dalla mascherina, si associa per antitesi nel mio campo visivo alla cupezza di quell’altro volto. E s’impone e fa rifiorire d’incanto in me la speranza che non tutto è perduto. Che in questa disgraziata e meravigliosa Italia può tornare di nuovo a risplendere la luce.

Angelo Colangelo

 

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