1° Maggio, Festa dei lavoratori. L’anticipata celebrazione a Tricarico del 1944
La Festa dei lavoratori viene celebrata il Primo Maggio di ogni anno in molti paesi del mondo per ricordare tutte le lotte per i diritti dei lavoratori, originariamente nate per la riduzione della giornata lavorativa. La data del 1° maggio è legata all’approvazione a Chicago, nello stato dell’Illinois, della prima legge delle otto ore lavorative giornaliere, legge che entrò in vigore soltanto l’anno dopo, appunto il 1° maggio 1867. In Italia le festa dei lavoratori fu istituita nel 1890. Nel corso della storia italiana ci fu un periodo in cui la Festa venne abolita ed accorpata un’altra celebrazione, per volere di Benito Mussolini. Nel 1921, durante un discorso tenuto a Bologna, Benito Mussolini proclamò il Natale di Roma, che ricorre il 21 aprile, quale festa ufficiale del fascismo. Un modo, commenterà Antonio Gramsci, per rivendicare origini romane e naturalizzare il proprio ruolo nella storia italiana. Ma il partito si spinse oltre: il 19 aprile del 1923, con un decreto-legge proposto da Benito Mussolini ed approvato dal Consiglio dei ministri, la festività del 1 maggio venne abolita ed accorpata alla festa ufficiale del fascismo, il suddetto 21 aprile. Con queste parole, Mussolini giustificava la sua decisione: “La grande guerra, che ha valorizzato ogni manifestazione di attività, ha sviluppato anche in tutte le classi una più profonda coscienza delle energie e del lavoro individuale. Celebrare, in un giorno all’anno, queste energie e questo lavoro è sprone ad una più fervida, proficua attività collettiva e nazionale; ed è bene che ciò sia formalmente riconosciuto in una legge dello Stato. E perché la celebrazione si ricongiunga ai ricordi della nostra storia e del genio della stirpe, il Governo ha voluto farla coincidere con la data del 21 aprile: la fondazione di Roma, data immortale da cui ha inizio il lungo, faticoso, glorioso cammino dell’Italia“. In realtà, si trattò presumibilmente di una scelta dovuta alle origini spiccatamente socialiste del 1 maggio, non troppo in linea con il contesto fascista. Da quel momento in poi, pertanto, il 21 aprile ricorreva una doppia festività, conosciuta come “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Bisognerà aspettare la fine del regime e il 1945 perché gli effetti del decreto cadessero e il 1 maggio tornasse a rappresentare la data simbolo della Festa del lavoro. Il 21 aprile, in ogni caso, restò commemorativo del Natale di Roma, celebrato però solo nella Capitale.
1°maggio 1944. Prima Festa del Lavoro della rinata libertà celebrata a Tricarico ad iniziativa dei partiti che si erano già costituiti e celebrarono separatamente la festività: i partiti di sinistra (socialista, comunista e partito d’azione in piazza, sulla cappella di San Pancrazio) e la Democrazia Cristiana nel cortile del palazzo Vescovile, se la memoria non mi tradisce (sono passati 76 anni!), la mattina successiva. Io fui presente a tutt’e due le celebrazioni. Riprendo con variazioni o aggiornamenti un mio vecchio scritto pubblicato su Rabatana per ricordare quella festività del 1944 Per comprendere quella Giornata – simbolo di un Mondo che aveva ritrovato il suo equilibrio, ben descritto, benché un po’ retoricamente, da Rocco Scotellaro nel discorso che egli pronunciò dalla cappella di San Pancrazio, bisogna ricordare quanto era accaduto nei mesi precedenti, dal crollo del regime fascista, all’armistizio dell’8 settembre, alla rapida liberazione delle province del Sud, alla fuga del re a Brindisi, al Convegno dei partiti antifascisti a Bari, e occorre ricordare, in particolare, gli eventi delle settimane precedenti, estesamente ricordati in questo blog..
Nel pomeriggio del 27 marzo il Vesuvio eruttò una enorme massa di cenere e lapilli, lanciati a molte diecine di chilometri, dopo di che il vulcano si quietò. La cenere raggiunse anche Tricarico, dove nevicava a larghe falde nere per il contatto con la cenere, che si depositavano come una coltre nera sui tetti, per le strade e le campagne. In quell’inferno, nella sede della federazione di Napoli del partito comunista si presentò a Raffaele Cacciapuoti, segretario federale, il mitico compagno Ercole Ercoli, alias Palmiro Togliatti, segretario generale del partito dal 1927.
Togliatti il 1° aprile convocò il primo consiglio nazionale comunista delle regioni liberate e annunciò quella che sarebbe passata alla storia come la «svolta di Salerno»; e il 2 aprile espose la nuova linea in un’intervista all’Unità. L’impressione suscitata fu enorme e sconvolgente, benché Togliatti avesse dato qualche anticipazione, prima del rientro in Italia, in interviste concesse al Cairo e ad Algeri. Il 22 aprile si costituì il secondo governo Badoglio, di cui facevano parte i sei partiti antifascisti e Togliatti ne fu vice presidente.
La risoluzione che era scaturita dal consiglio nazionale dava assicurazione a tutti gli italiani, indipendentemente dalla loro condizione sociale e politica, che l’azione era tesa essenzialmente a liberare il paese dai tedeschi e dai fascisti. La partecipazione al governo di Togliatti al livello più alto dopo Badoglio suggellava tale assicurazione.
Fu in quel clima che si decise di celebrare a Tricarico la festa del Primo Maggio (la prima Festa dei Lavoratori dopo la nefasta parentesi fascista), con un comizio pubblico in cui presero la parola, per il partito d’azione, il sindaco avv. Carlo Grobert, di Pozzuoli, rifigiastosi a Tricarico, di curi era originario, Rocco Scotellaro per il partito socialista e Abdon Alinovi, per il partito comunista.
Gli oratori non disponevano di un microfono e questo fu un problema per Rocco Scotellaro: solo chi si fece sotto la scalinata della cappella di San Pancrazio (tra cui io e Giulio Dente) riuscì ad ascoltare qualche scampolo del comizio di Rocco Scotellaro: ricordo lo sforzo che fece per tirar fuori tutto il fiato che aveva, ma a malapena le sue parole giungevano distintamente appena oltre la cancellata della cappella.
Rocco aveva il senso del momento storico che vivevamo e il suo discorso l’aveva scritto – prima o dopo l’evento – ed è quindi possibile leggerlo, pubblicato nell’appendice documentaria del citato fascicolo pubblicato dalla Pro Loco di Tricarico.
A leggere oggi il discorso di Scotellaro si può rimanere delusi e trovarlo carico di retorica, ma bisogna saperlo leggere, bisogna sapersi calare nel clima del tempo, avere la saggezza di non sorridere all’attacco (retorico per questi tempi di vergogna) Compagni di fede e d’Azione/ Chiedo la Parola.
Il giovane Alinovi, che aveva ventun anni, come Scotellaro, pronunciò un discorso molto duro, che impressionò negativamente tutti. Giunse ad invocare tribunali del popolo e plotoni di esecuzione, così poco concilianti con la risoluzione del consiglio nazionale comunista e l’assunzione di un’alta responsabilità di governo da parte di Togliatti. Forse, e senza forse, Alinovi parlava in generale, ma le sue parole, già inappropriate rispetto al nuovo clima creato, sia pochi giorni prima, da Togliatti, che era vice presidente del connsiglio nel nuovo governo, da alcuni ascoltatori tricaricesi vennero interpretate come riferite a Tricarico e intese, in buona o mala fede, come richiesta di istituire a Tricarico tribunali del popolo e di schierare plotoni d’esecuzione. Ci si chiedeva chi degli ex podestà o segretari del fascio tricaricesi Alinovi avrebbe voluto che fosse messo al muro.
La D.C. rispose con discorso dell’avv. Domencio De Maria, che mostrò di essere perfettamente informato sugli ultimi avvenimenti, li spiegò da par suo senza infierire sul povero Alinovi, col quale, in fondo, aveva rapporti di lavoro intercorenti tra avvocato a cancelliere della locale pretura. La gente capì e il PCI alle elezioni per l’Assemblea Costituente pagò caro l’errore del giovane dirigente, prendendo solo 60 voti.
In seguito non ho dato alcuna importanza al discorso di Alinovi. Io ero un ragazzino di tredici anni, che però qualcosa capiva di quello che stava accadendo e Abdon Alinovi era di poco più grande di me, aveva appena ventun anni. Dagli anni del liceo gli era stato inculcato un fiero spirito rivoluzionario, che aveva dovuto comprimere. Per guadagnarsi uno stipendio aveva dovuto adattarsi a fare un lavoro in una pretura, che allora era considerato dalla sinistra l’avamposto della giustizia borghese (un funzionario della federazione socialista di Matera si impossessò di una piccola somma di denaro e Rocco Scotellaro votò contro la decisione di denunciarlo, perché il caso, secondo lui, non poteva essere rimesso alla «giustizia borghese»). Secondo me il comizio di Alinovi fu soltanto un insignificante episodio di «stupidità rivoluzionaria».
Il discorso di Rocco Scotellaro, come ho già detto, è stato pubblicato e ritengo opportuno riproporlo.
ROCCO SCOTELIARO:
IL COMIZIO DEL 1° MAGGIO 1944
Compagni di fede e d’Azione
Chiedo la parola.
1° Maggio 1944 Tricarico
Il Comizio, che teniamo per celebrare una festa proibita e messa al dimenticatoio dal Fascismo e sostituita con altra di .più clamorose origini, ci porta al raffronto tra quel 21 Aprile del Partito fascista con questo nostro I Maggio.
Il comizio, compagni, non è accessibile solo a coloro che – giusto o ingiusto – sono chiamati a parlare, ma a tutti che possano portare una qualsiasi nota di veduta, o idea e d’altronde non ci sono oratori a sbraitare e pubblico a batter loro le mani o a fischiare o a interrompere, bensì esso: il Comizio è un rito che deve volgere tra l’attenzione, la fede, la discussione di noi tutti. Quel 21 Aprile di non grata memoria quando un solo che fosse stretto fino alla gola dalla camicia nera vi enunciava la verità più ipocrita coincideva – come tutti sanno – con la data della fondazione di Roma e di quella aveva lo strascico infame, della fondazione di Roma che porta il segno già della dittatura d’un fratello sull’altro: di Romolo su Remo e del sangue sparso da un fratello per mano dell’altro.
Tutta qui la spavalda “romanità” del fascismo che vi seduceva in lusinghe di 8 milioni di baionette, in promesse di impero sul mondo conosciuto, che vi trasmetteva in petto la stessa smania del dittatore.
Quella festa vi faceva partecipi d’una storia, di cui erede non sono gli Italiani solo ma il mondo, serviva per schermo che vi allucinasse nell’esaltazione di voi stessi, che vi facesse diventare di punto in bianco i padroni assoluti degli altri popoli.
Ma i frutti amaramente tutti li constatiamo se poco si volge lo sguardo intorno e si scoprono le macerie e la disgrazia ancora in atto della patria Italiana.
È perché ci compenetriamo di quest’atmosfera di lutto che ci si consente solo una modestissima coreografia con i canti che ripercuotono in ognuno di voi i sentimenti di un’Italia lontana e in noi, i giovani, le note di un indirizzo verso l’avvenire che ci sta bieco di fronte.
A quella romanità fa scontro l’ideale della solidarietà internazionale, innalzato a vessillo dei movimenti socialisti e che Giuseppe Mazzini, il figlio di tutte le patrie, riaffermava come tradizione nostra mai spezzata: lo Amo il mio paese perché amo tutti i paesi – son le sue parole.
La nostra Internazionale è quella del Lavoro.
Ogni primo maggio i lavoratori di tutto il mondo sono uniti nella loro lotta di liberazione dai ceppi dei capitalisti camuffati in veste d’eroi dei nazionalismi imperialistici militarizzati.
Questo primo maggio i lavoratori italiani rientrati nel consorzio dei popoli, i compagni della Iugoslavia fanno loro bersaglio giusto le armate tedesche che attentano alla libertà e alla marcia del proletariato mondiale.
Bene, Compagni, festeggiando per la prima volta il giorno del Lavoro, anziché si faccia la predica di quello che ancora sarà fatto, ricordiamo un po’ assieme quanto già si è lavorato e quel tanto già che s’è ricavato.
Se ci dobbiamo prendere ip giro a vicenda, questo esame lo chiamiamo consuntivo, irto di cifre e documentazioni, come all’epoca degli armamenti quotidiani dell’Italia, così detta Imperiale, ma non è affar nostro. Anche se direte che nessun esame può esservi che non sia di disgrazie da decifrare, basterà che citi una conquista per tutte, basilare e gonfia di germi fecondi: la libertà.
Confessiamo, poco è stato fatto specie in tema di rieducazione morale e politica, perché vi ritrovate dopo il lungo letargo, perché soprattutto come motivo preliminare si è imposto la partecipazione e imposizione della idea antifascista a molti rimasti intontiti dagli eventi incompatibili di nuovi credi, diffidenti faziosi, se non proprio fascisti.
Abbiamo dovuto affrontare questi residui problemi – non del tutto semplici – per dar l’avvio alle prime pratiche attuazioni.
Contro i fascisti si è impegnata una specie d’epurazione con tentennamenti dal pure tentennante governo badogliano: ne prendiamo atto come non mai avvenuta: perché l’epurazione è una cosa più seria oggi quanto non lo sarà domani, oggi che si metton le fondamenta d’una nuova coscienza, oggi che i nostri sforzi possono ricevere contraccolpi da forze fasciste lasciate in libertà di azione, oggi che – in guerra – i fascisti possono fare le spie.
In forma solenne tutti i lavoratori chiedono al nuovo Governo la integrale spazzatura dei fascisti.
Per quel che riguarda il popolo, moralmente e politicamente diseducato perché la dittatura vi ha lavorato sodamente per farne dei manichini e dei pupazzi, la preoccupazione deve essere grave.
Si tratta di rieducare, di trasformare la folla in popolo, di portarlo al principio della libertà, alla coscienza politica, senza la quale – non è inutile insistere – un partito fascista ventidue anni addietro potè a suo bell’agio imporci con la dittatura la rinunzia al nostro diritto di libertà, per il quale un unico Matteotti si fece fare a pezzi; e oggi senza una coscienza la libertà – malamente intesa – può portarci a conseguenze catastrofiche.
Compagni, i fascisti ai posti di comando, allentati i freni, il mercato nero e bianco dilagante, l’inflazione al 90%, la disoccupazione, i trasporti inesistenti, le masse lavoratrici affamate. Mentre il re Umberto ha un potere senza autorità e i partiti antifascisti avevano l’autorità loro conferita dal popolo senza il potere, la guerra sulla nostra terra (è) diventata spettacolo per noi: ecco i moventi delle opposizioni al governo del re e alle amministrazioni provinciali e comunali condotte dai partiti antifascisti con una lotta eminen- temente politica nei suoi campi ed estensioni diverse e che ebbe espressione al congresso di Bari e coronamento oggi che le avanguardie dell’ antifascismo si sono imposte e hanno raggiunto il potere.
Il nuovo governo sintesi democratica dei diversi partiti in blocco è chiamato ad affrontare e risolvere le più scottanti crisi e a prendere di fronte il problema della ricostruzione che non può ammettere rinvii di sorta.
Non si possono attendere, se noi non collaboriamo, prodigi, soprattutto quando – come nel nostro paese – dietro questa minoranza ridotta ai minimi termini di antifascisti, c’è il fascismo saldo e costrutto nei ceti reazionari, nelle conventicole degli apolitici, nei circoli dei benestanti, nelle congreghe dei diseredati dai posti di comando, tra i giovani disfattisti e germanofili, tra i furbastri che formano la massa incosciente fluttuante su cui lavora la mano dei feudatari, contro tutti i quali, dando prova di combattività e insopportazione, coscienti il 27 Marzo del 1942, con lo sciopero che faceste, foste capaci di imporre la vostra volontà di lavoratori.
Questa minoranza ha capito. Voi altri, compagni, dovrete essere i meno che trascinerete i più.
Costituiti in Camera del Lavoro che deve essere il centro di forza della classe operaia nel Meridione.
Pronti a solidalizzare con gli antifascisti di ogni fede politica, perché l’unità dei partiti è condizione per rafforzarci davanti ai nemici capitali, da cui siamo attorniati.
I Comitati (di) Liberazione N. (azionale) – poco conosciuti – hanno questo compito esatto.
Essi in quanto espressione del raggiunto schieramento di tutti i partiti nel governo, debbono sussistere oltre che per consolidare la unione antifascista per trasformarsi in veri e propri organi politici con funzioni più sviluppate e congrue al controllo di tutta la vita politica, amministrativa ed economica e restare in comune per la difesa del fronte interno contro le improvvise rinascite dei focolai fascisti.
Al nuovo Governo democratico impende prima di tutto il problema della coscienza italiana, di arrivare a trattare da alleati con gli alleati e con essi porre in risoluzione la questione economica e alimentare, chiedere il ritorno infine dei prigionieri di guerra, di costituire un modesto ma buon esercito nazionale, la conduzione della guerra contro i fascisti e infine: il governo democratico ci porterà alla Costituente.
Il nostro Mancini diceva al Consiglio N. (azionale) del P. (artito) che non si può dire al Contadino: che la terra sarà sua, se prima non la difenda.
Ma dobbiamo collaborare alla guerra, che è nostra e la dobbiamo sentire per i fratelli al di là del fronte, per i partigiani che arrischiano la vita, alla guerra che è nostra perché siamo antifascisti.
La guerra del 15-18 – dopo l’entrata intempestiva – non aveva avuto il largo seguito del popolo, diviso nientemeno in neutralisti e interventisti, se non dopo la sconfitta di Caporetto.
Questo non può oggi essere di nuovo.
Il4 N. (ovembre) ci dette la vittoria sul nemico, rinserrato nelle sue tane e reso inoffensibile, ma ci preparò pure il nemico in casa: lo spettro della Rivoluzione, il fascismo, più nemico di tutti i nemici.
La guerra che Mussolini con usurpazione tirannica fece in nome del popolo italiano, con un governo democratico in patria nostra non si sarebbe avuta.
Il fascismo ci ha portato alla sconfitta odierna.
L’antifascismo è chiamato a risanarne le piaghe, a trovare nella nostra crudele vicenda lo sforzo estremo per risollevarci.
Noi siamo antifascisti, se siamo ritornati noi, gli alleati degli alleati del 15- 18 contro gli stessi nemici di allora – su quella vittoria luminosa del 4 Novembre noi puntiamo le nostre speranze e l’avvenire della patria italiana.
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