L’immagine del signor Bonaventura che mi è rimasta tuttora impressa dalla mia fanciullezza è quella di un uomo alto sempre vestito con una giacca e un cappello rossi, larghi pantaloni bianchi, con due lunghe scarpe da clown che casca di sotto sporgendosi troppo da un qualche balcone, accompagnato nella caduta da un giallo cane bassotto. Bonaventura è un personaggio inventato da Sergio Tofano (Sto). Nelle tavole disegnate da Sto, Bonaventura inciampa, cade, precipita, sbatte, imprevedibili eventi si abbattono su di lui, ma Bonaventura, mantenendo intatta una sorta di istintiva e primitiva innocenza, sempre riesce a cavarsela, non solo, ma ogni atto maldestro trova nel giro di poche sequenze una spropositata ricompensa, un fazzolettone bianco di carta con su scritto “un milione”. I testi dei fumetti erano tutti composti da distici di ottonari a rima baciata, e iniziavano con le parole: «Qui comincia la sventura / del Signor Bonaventura…» che divennero ben presto un tormentone noto a intere generazioni di bambini. Il personaggio esordì il 28 ottobre 1917 sul n. 43 del  Corriere dei Piccoli con una serie di tavole composte da otto vignette, ciascuna corredata da un testo in versi. Il successo fu immediato e venne pubblicato ininterrottamente ogni settimana fino al 1943, diventando uno dei fumetti di maggior successo del periodo. Dopo la guerra le pubblicazioni vennero riprese, per poi essere ridotte progressivamente.

FABULA MEPHISTO WALTZ (Il Sole 24 Ore Domenica 3 maggio 2020)

Sergio Tofano (1886-1973), multiforme ingegno di attore, scrittore, fumettista e non solo, si inventò nel 1917 il signor Bonaventura, protagonista di infinite filastrocche, delizia per generazioni di bambini e ragazzi: erano quelli la squadra dei lettori del Corriere dei Piccoli, in edicola tra il 1908 e il 1995, tiratura 700.000 copie. E lo chiamavano il “Corrierino”, che tempi… A inventarlo fu Paola Lombroso Carrara, sì, proprio la figlia di Cesare (1835-1909), l’antropologo della fisiognomica e della criminologia, cui è dedicato il museo torinese che ne espone l’immensa collezione privata, raccapricciante per cervelli di assassini e crani di soldati provenienti dallo spolio di diversi cimiteri italiani. Inaugurato nel 1906, grazie al genero Mario Carrara. Sior Bonaventura era contemporaneo di Fortunello, di Arcibaldo e Petronilla, di Bibì e Bibò, di Pampurio, di Marmittone, del Prode Anselmo e dei Cocco Bill e Jack Mandolino, del grande Jacovitti (1923-97). Per Federico Fellini (1920-93) tutti personaggi «veri come il bidello e l’arciprete». Era disegnato con tratto déco, la giacca e il cappello rossi, pantaloni bianchi e il bassotto giallo. Al termine della consueta avventura a lieto fine – in distici ottonari a rima baciata – riceveva sempre il premio di un milione (svalutato poi a un miliardo, negli anni Cinquanta), un vero tormentone tra I e II guerra mondiale. Ma dopo quasi un secolo ecco, per incantamento, spuntare dal web un seguace, un discendente o forse solo un ignoto imitatore-ammiratore: ”Qui comincia la sventura/ del signor Bonaventura/ che da un mese è ormai ristretto/ fra cucina sala e letto/ da severa – ahimè – ordinanza/che di uscir non dà speranza/ salvo che per un momento/ sol per metri …duecento/ C’è però molt’opportuno / comma centoquarantuno,/ contenente un’eccezione/ che consente l’evasione:/ ‘Se il bassotto ha da urinar/ tu lo puoi accompagnar’./ Detto fatto, l’eroe nostro/ ch’è più furbo di Cagliostro,/ al cagnino versa in gola/ un bel po’ di Coca-Cola/ e con gran disinvoltura/ fuori in strada si avventura./ Ha con sé per precauzione/ l’autocertificazione./ Il malvagio Barbariccia/ con in mano bomba e miccia/ vuole osare un efferato/ catastrofico attentato./ Mette tutto, il malfattore,/ sotto l’auto del questore/ alla miccia appicca fuoco/ pur che scoppi da lì a poco./ Ma lì a un passo c’è ’l bassotto/ che la vede, va di sotto/ dove il fuoco ormai divampa:/ e poi lesto alza la zampa/ e con pronta esecuzione/ fa robusta inondazione,/ cosicché la miccia è spenta/ e l’orrendo scoppio sventa./ E ’l questor per guiderdone/ a quel cane e al suo padrone/ toglie la contravvenzione/ e dà in premio UN BEL MILIONE”. Belzebù lo ricorda bene Bonaventura, perché i suoi diavoletti aspettavano il Corrierino con ansia trepidante, simile a quella dei grandi quando sospiravano l’arrivo settimanale delle dispense di Charles Dickens (1812-70). Veritiera o no questa fabula, si vedrà. “Piacciavi, generoso lettor del nostro foglio, aggradir questo che vuole e darvi sol può, Mephisto in persona, l’umil servo vostro”, parafrasando l’incipit dell’«Orlando Furioso» (Ludovico Ariosto 1516). Si parva licet.

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