LA POLITICA CHIUSA – Se Trump chiama Fauci
LA POLITICA CHIUSA
Scienziati in tempi di crisi. Il difficile rapporto tra consulenti e governanti quando i primi vengono coinvolti nella vita pubblica e mettono in campo saperi ma anche metodo ed etica
Se Trump chiama Fauci
Articolo di Vincenzo Barone, professore associato di Fisica teorica nell’Università del Piemonte Orientale (vincenzo.barone@uniupo.it) in Il Sole 24 Ore – Domenica 24 Maggio 2020
Noto soprattutto per il suo pamphlet su Le due culture, Charles P. Snow fu una personalità poliedrica: fisico di formazione, fellow del Christ’s College di Cambridge, alto funzionario governativo, prolifico romanziere. Nel 1960, quando era già Sir ma non ancora Lord, tenne ad Harvard una serie di conferenze, apparse poi in volume con il titolo Scienza e governo e pubblicate in Italia da Einaudi nel 1966 con l’aggiunta di un saggio su La non neutralità morale della scienza. Se, dopo più di mezzo secolo, vale la pena di rileggere questi scritti è perché il tema che affrontano – il rapporto tra scienziati e politici – e le riflessioni che vi vengono svolte sono di grandissima attualità.
Snow scriveva in un’epoca di guerra fredda, avendo come riferimento quanto era accaduto in Gran Bretagna durante il conflitto mondiale. Ma le sue considerazioni, riguardanti in prima battuta il ruolo dei consiglieri scientifici nelle questioni militari, hanno validità più ampia e si applicano ugualmente bene a tutte le situazioni di crisi. Il punto di partenza è la constatazione che nelle società industriali avanzate sono sempre più frequenti i casi in cui le decisioni pubbliche vengono assunte da gruppi ristretti di persone (governanti e amministratori) che non possiedono una conoscenza di prima mano di ciò su cui sono chiamati a deliberare e devono pertanto avvalersi della consulenza di tecnici e scienziati.
È quella che Snow chiama la «politica chiusa», tipica delle situazioni di emergenza in cui i decisori, senza appellarsi (o appellandosi solo in misura limitata) ad assemblee più ampie – i rappresentanti del corpo elettorale, le forze sociali ecc. –, agiscono quasi esclusivamente in collaborazione con comitati di esperti.
Sul piano democratico, evidentemente, la «politica chiusa» è poco salutare, ma in circostanze eccezionali può essere inevitabile: occorre dunque accettarla come eventualità e adottare dei criteri operativi che evitino storture nel processo decisionale, garantendo un’efficace e sana dialettica tra la politica come «arte del possibile» e la scienza come «arte del risolvibile» (definizione, quest’ultima, di un altro celebre scienziato britannico, Peter Medawar).
Con empirismo tipicamente anglosassone, Snow suggerisce una serie di regole pratiche. La prima riguarda gli scienziati: colui che offre una consulenza scientifica, scrive Snow, «deve essere convinto che, se fosse responsabile dell’azione, agirebbe in quello stesso modo». Ciò significa che vanno evitate posizioni teoriche, magari valide accademicamente, ma avulse dal contesto concreto in cui si opera: un’attenta considerazione delle condizioni al contorno – per usare il linguaggio della fisica – deve sempre accompagnare l’applicazione dei princìpi.
La seconda regola – ancor più apprezzabile in un mondo di informazione capillare e globalizzata come il nostro – consiste nell’«essere precisi su quel che si vuole effettuare e nell’essere in grado di spiegarlo». Il pericolo, se non si procede in tal modo, è che l’opinione pubblica sia conquistata da idee tanto attraenti per la loro facilità quanto erronee, perché le persone «non sembrano gradire la complessità della realtà nuda e cruda, e si mettono a correre dietro a ogni concetto semplice non appena esso faccia capolino».
Infine, la terza regola: la «politica di comitato» – ammonisce Snow – non deve ridursi a una «politica di corte». In altri termini, bisogna evitare che un singolo scienziato si trovi in una posizione di potere solitario, come consulente unico o privilegiato dei governanti. Una tale situazione, comunque pericolosa, lo è tanto più se lo scienziato in questione è di quelli che coltivano un’idea fissa, di quelli maniacalmente affezionati a un loro personale «giocattolo».
È normale che uno scienziato, nella sua fase più creativa, abbia una certa dose di ossessività nella ricerca – è così, dopo tutto, che si arriva alla scoperta – ma chi non riesce a liberarsi dalle proprie frenesie non dovrebbe avere ruoli consultivi o addirittura decisionali. Snow pensava allo strapotere del fisico F.A. Lindemann, consulente di Churchill e fanatico sostenitore del bombardamento strategico delle città tedesche (rivelatosi poi fallimentare, oltre che tragico). Oggi – fatte le dovute proporzioni – abbiano negli occhi il consulente di Boris Johnson, Sir Patrick Vallance, con la sua fissazione per l’immunità di gregge, fortunatamente stroncata sul nascere dalla comunità scientifica britannica.
Ma, al di là delle linee pratiche d’azione, rimane una domanda di fondo: qual è il ruolo degli scienziati in politica? Solo quello di fornire delle conoscenze specialistiche? No, risponde Snow: nella vita pubblica gli scienziati non mettono in campo soltanto il loro sapere, ma l’etica e il metodo della scienza. Il «desiderio di trovare la verità», innanzi tutto, che è la «quintessenza della moralità scientifica». Scoprire e dire «quello che c’è», senza ingannare se stessi e gli altri, è un esempio di «comportamento morale su larghissima scala» che differenzia la scienza dalle altre attività intellettuali (e più ancora dalla politica). Ci viene in mente ciò che il virologo Anthony Fauci ha dichiarato pochi giorni fa: «La mia linea di condotta è dire la verità, accada quel che accada» – un compito non da poco, avendo a che fare con Donald Trump.
C’è poi qualcos’altro che gli scienziati possono offrire alla politica, qualcosa di cui le nostre società, sempre più “esistenziali” (come le chiama Snow), appiattite sull’oggi e indifferenti al domani, hanno disperatamente bisogno: la capacità di guardare avanti, di fare previsioni, di elaborare modelli per il futuro (è in questo che consiste la scienza). Quindici anni fa, dopo la SARS, i ricercatori lanciarono un ragionato grido di allarme sulla possibilità che un’epidemia simile potesse ripresentarsi in forma enormemente amplificata. Nessuno tra i cultori dell’arte del possibile li ascoltò. Sarebbe confortante poter pensare che la lezione sia stata finalmente appresa, ma è lecito dubitarne, e potremo comunque verificarlo presto, appena si tornerà a parlare del clima, l’emergenza che abbiamo temporaneamente accantonato e che ci accompagnerà per il resto del secolo.
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