Esce il primo romanzo della Nobel, ambientato a TimoSoara negli ultimi mesi del regime di Nicolae CeauSescu. Protagoniste due donne schiacciate dall’arbitrio maschile

Adina insegna in una scuola, Clara è ingegnera in una fabbrica. La loro amicizia si snoda tra penosi ricordi di infanzia, la desolazione di una periferia urbana e il potere annidato in imperscrutabili palazzi, così che il vento stesso, quando soffia tra quelle strade, «ha paura». È il terrore di essere osservati, spiati, ricattati. Nella fabbrica domina un arbitrio maschile che impone ogni giorno un pedaggio sessuale; nei caseggiati «storti e fitti» i giochi dei bambini emanano «l’odore della fame»; la notte è rischiarata da torce elettriche che sopperiscono all’interruzione dell’energia pubblica; sui marciapiedi sono sparsi «sputi, mozziconi di sigarette e gusci di seme di girasole». Siamo a Timo?oara, negli ultimi mesi del regime di Nicolae Ceausescu, e il ricciolo sulla fronte del dittatore ammicca di continuo dalla prima pagina dei quotidiani.

Primo romanzo di Herta Müller, dopo una serie di brevi prose fortemente liriche, La volpe era già il cacciatore, apparso nel 1992, è anche la prima opera della scrittrice di lingua tedesca del Banato che racconta, dopo il suo trasferimento in Germania nel 1987, il sistema repressivo della Romania comunista. Nato da una sceneggiatura scritta insieme al marito Harry Merkle per un film girato da Stere Gulea (Vulpe Vân?tor, visibile in http://en.cinepub.ro/movie/fox-hunter/), il testo deve molto alla tecnica cinematografica e al suo linguaggio per immagini. La scrittura dei trentatré capitoli è paratattica, concentrata su singoli dettagli accostati come in un collage sperimentale. La focalizzazione cambia repentinamente, spostandosi dal punto di vista dei singoli personaggi a una prospettiva totale, o entrando come in uno zoom negli angoli più riposti della scena. La potenza iperrealistica di questo «sguardo estraneo» è al tempo stesso metaforica o metonimica. Ogni oggetto sta per qualcosa d’altro, ogni parte per un tutto. «Il ragazzino zingaro corre tra i filari di pioppi che lo fanno a pezzetti, e solleva le piante dei piedi fino alla schiena. La cameriera insegue di corsa le piante dei piedi. Il pescatore coi semi di girasole segue con lo sguardo le piante dei piedi in fuga. Come sassolini sull’acqua, dice.» (pag. 38).

In questo mondo reificato e prossimo a cristallizzarsi in un fotogramma si distinguono animali e piante che rimandano alla crudeltà della condizione umana. Formiche incollate allo zucchero sparso a bella posta in un tubo di gomma; pesci che non abboccano alle lenze dei pescatori; pioppi affilati come coltelli; un cane di nome Olga che scompare dopo la caduta del regime. E la pelle di volpe che ispira il titolo. Ricordo d’infanzia di Adina ed emblema centrale del suo appartamento, viene dimostrativamente tagliuzzata dai funzionari della Securitate a ogni loro passaggio, come prova di incontrastato potere e minaccioso avvertimento. L’animale cacciato sta per il cacciatore, la vittima per il carnefice. Ma questo scambio metaforico dei ruoli pervade tutta la società rumena, organizzata sul precario equilibrio del terrore. Non ricorda forse il nome di Pavel, l’uomo dei servizi segreti che ha irretito Clara, il nome di Paul, il medico di cui Adina è ancora innamorata dopo una lunga convivenza, e che frequenta invece gli ambienti del dissenso? Chi è il delatore? Chi corre in aiuto dell’amico e chi invece lo sta tradendo? Frammento dopo frammento, in una girandola di episodi, situazioni e personaggi, il lettore è faticosamente chiamato a ricomporre un puzzle di cui si sono persi molti pezzi, e che tuttavia lascia intravedere una storia in cui l’infedeltà è solo l’altra faccia dell’amicizia e dell’amore.

La complessa sfida di tessere un soggetto da psicothriller in un ordito storico e sentimentale, e di raccontare tutto questo in una scrittura filmica d’avanguardia – che mette a dura prova la bravissima traduttrice Margherita Carbonaro, autorevole «voce» italiana di Herta Müller – non sempre è risolta in modo convincente dal premio Nobel per la letteratura del 2009. A lampi poetici si alternano banali formule ripetitive, ad autentici squarci di vita quotidiana nella dittatura sagome stereotipate di personaggi. Sono troppe le figure secondarie, troppe le inversioni per cui è l’oggetto rappresentato a guardare e il sopra diventa sotto. Nei successivi romanzi, e in particolare nel capolavoro Il paese delle prugne verdi, la scrittrice realizzerà più compiutamente la sua poetica dello «sguardo estraneo» e della storia percepita nei più piccoli sommovimenti dell’Io.

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Herta Müller. La volpe era già il cacciatore, Feltrinelli, Milano, pagg. 232, € 18. In libreria dal 4 giugno

L’autore dell’articolo avanti riprodotto, Il gioco di specchi del potere, è Luigi Reitani ed è pubblicato sul Sole 24 Ore, Domenica, 31 Maggio 2020

 

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