Novità AMADEI: Il cuore è una selva
Romanzo che trae ispirazione dalla vita e dall’opera di Antonio Ligabue (1899-1965), uno dei maggiori pittori del nostro Novecento, nato a Zurigo e morto a Gualtieri nella bassa reggiana. Ligabue non è mai citato, solo in chiusura una nota dell’autrice lo presenta, raccontando anche come è avvenuto il suo incontro con una figura che conosceva «più come personaggio popolare che come artista».
Non ha un nome, non parla. Lo trovano sotto il tabernacolo durante la messa di Natale e lo chiamano randagio. El mätt, il matto, diventerà poi, e sebbene in paese le donne ne abbiano ribrezzo e i bambini paura, finiranno per abituarsi ad avercelo attorno. Dorme nelle loro stalle, lavora da bracciante nelle loro fattorie e vaga per la golena parlando con gli animali o percuotendosi il naso perché assomigli al rostro di un rapace.
Quando non lavora, dipinge su assi di legno o imposte vecchie in mancanza di tele, con pennelli fatti di peli di cavallo, con i polpastrelli e le unghie. Dipinge paesaggi selvatici, lotte di fiere e volti divisi tra il dolore e l’euforia. Opere di una potenza straordinaria, visionarie e reali fino allo spasmo, nate da mani ulcerate e da una mente bislacca.
Le baratta, a volte, per un piatto di minestra all’osteria del paese, dove Bianca, la figlia dell’oste, si affaccenda tra i tavoli e la cucina. Soltanto dopo aver soddisfatto la fame degli occhi, sbirciando furtivo il bel viso della ragazza, attacca il piatto. E se incrocia il suo sguardo, sente ardere, d’improvviso, quella selva che è il suo cuore. Ma non le parla. Per lei disegna o modella, al margine del fiume, animali d’argilla in cui corpo e anima fuoriescono insieme. Quella è la sua lingua, una lingua di forme e colore, perché la voce, in bocca, ce l’ha solo per fare il verso alle bestie.
«Bianca gli dava del voi. Lo aveva chiamato artista. Forse, lo vedeva davvero per quello che era, un forestiero che viene da posti lontani, un’anima di sghembo che tenta di ricondursi all’esistenza di tutti e, per difetto, ripiega sul ventre della natura, e non parla la lingua del popolo, ma quelle delle bestie, dell’acqua e del fuoco».
Soltanto vent’anni dopo, sotto l’Occupazione tedesca, el mätt, con somma sorpresa dei paesani, parlerà. Oltre al dialetto, appreso nel tempo vissuto al villaggio, parlerà la sua lingua madre, il tedesco. Nonostante il suo corpo goffo e lo spirito storto, i nazisti si serviranno di lui come interprete al presidio militare. E sempre a lui ricorreranno, pochi mesi prima della fine della guerra, per un’ultima, frettolosa seduta della corte marziale che deve giudicare della relazione illecita tra Bianca e un giovane militare tedesco. Un compito ingrato che farà precipitare gli eventi e segnerà definitivamente la vita di Bianca e la sua.
Il cuore è una selva è edito da Neri Pozza, pagg. 266, euro 18
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Caro Antonio, sei la sentinella di guardia (delle novità letterarie)che propone inviti alla lettura inculcando curiosità in chi, come me, ha smesso, dopo la débacle de L’Unità, di leggere giornali dai quali recepire recensioni significative da segnalare agli amici.
Grazie e buon fine settimana
Mimmo
Un capitolo essenziale dell’ABC della democrazia è: “Uomini di cultura, professionisti, intellettuali, assumetevi la responsabilità dell’avvenire”. E al riguardo cito una frase di Moro, pronunciata pochi giorni prima del suo rapimento: “Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà.”