Palazzo San Gervasio (Pz) – Casa natia

La carta d’identità mi ringiovanisce generosamente di due giorni, ma c’è poco da fare: 90 anni li compio effettivamente oggi, 18 giugno 2020. Il pensiero corre al garibaldino novantenne di un poesia di Rocco Scotellaro, e alla figura familiare e alla scena descritte nella poesia, che ricordo nella loro realtà.

La poesia è pubblicata nel mio Sparse nugae nel tempo dell’attesa con una nota (p. 193). Non mi risultano commenti, a parte un intervento con la sensibilità critica di Giovanni Battista Bronzini (L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, ed. Dedalo, 1987, p. 201-2).

Riporto la mia annotazione, col testo della poesia quale si legge in E’ fatto giorno di Carlo Levi e nelle raccolte del prof. Franco Vitelli, che aggiunge la data (1952):

IL GARIBALDINO NOVANTENNE

Tra tutte le cose che ricordo

(come le bestie, chi ha la forza

chi lo stagno del piscio e chi una fontana:

io anche sono un muletto, scelto nelle fiere

che ha avuto già tre padroni)

quella che fra tutte più ricordo

e vive è un pezzo di stradetta

vicino a casa mia. Aveva ed ha

sempre una coperta bianca di sole

che viene da mezzogiorno: le case

davanti sono basse e scendono a valle.

Qui portavano in seggiola il vecchio garibaldino

novantenne.

Un garibaldino novantenne era

quel vecchio bue che pigliava il sole

a Fuori Porta Monte.

Gli andavo attorno come al monumento;

il grande corpo di una statua di neve

e carboni per occhi aveva.

Una volta e due

– come si fa per capire

il cenno più vero

di un animale che capisce –

gli mettevo avanti il sussidiario

ed il ritratto del Generale

che egli non vide veramente mai.

Veniva una nipote a dargli

il pane cotto col cucchiaio,

ad aprirgli le labbra inerti di bronzo.

Mi nascosi per giocare a moscacieca,

sotto il suo pesante mantello di lana:

era più caldo lui del bue nella stalla,

era più freddo lui della statua di neve.

Calato il sole, quattro uomini

lo calavano nella casa.

(1952)

Il garibaldino novantenne è uno dei non rari esempi di poesia-racconto di Rocco Scotellaro. Mi ricordo bene del “garibaldino” seduto al sole nel piccolo spiazzo alla fine di via Scotellaro (allora Roma), a Fuori Porta Monte, dove c’era la casa abitata, nel mio lontano ricordo, dalla famiglia del veterinario dott. Vincenzo Benevento. Il vecchio garibaldino novantenne veniva portato su una sedia, avvolto anche in piena estate in un mantello di lana grigioverde, come in fotografia si vedono indossati dai soldati della prima guerra mondiale, a prendere il sole. Ho un vivo ricordo di lui, immobile e inespressivo come una statua di neve. Quando rileggo questa poesia, ora che sono passati tanti anni e conosco l’effetto dei betabloccanti, che regolano la mia pressione agendo sul sistema circolatorio periferico e sento i piedi freddi come la neve e, sfregandoli per riscaldarli, desisto, perché li sento caldi come il fuoco, mi chiedo: come facesse Rocco, un ragazzo poco più che ventenne, a conoscere queste sensazioni del corpo in un vegliardo, come me oramai (era più caldo lui del bue nella stalla, /era più freddo lui della statua di neve).

Come è noto le sparse carte di Rocco Scotellaro, dopo la sua morte, furono distribuite tra Giovanni Battista Bronzini e il prof. Franco Vitelli. Le carte sulle quali furono trascritti canti popolari furono diviise da Bronzini in tre gruppi, con una numerazione progressiva dei testi di ciascun gruppo.

Il gruppo A comprende carte manoscritte da Rocco e carte dattiloscritte presumibilmente da lui stesso (le più antiche forse dattliscritte in parte da me), Per trascrivere i canti Rocco utilizzava il primo pezzo di carta a portata di mano: ricette mediche, ricevute da ristorante, buste da lettera, circolari, quarti e frammenti di foglio e altro. Anche per gli appunti dell’Uva puttanella Levi rilevò, da modo in cui li trovò trascritti, che Rocco aveva l’abitudine di mettere su carta (e spesso su foglietti microscopici, scatole di cerini, risvolti di buste, pagine di quaderni, pacchetti di sigarette) ogni cosa veduta, ogni immagine e sentimento ed espressione.

I testi di ciascun gruppo sono numerati progressivamente. Il testo numerato 64 è la prima strofa, formata di 13 versi, dedicata in sigla a C(arlo) L(evi) della poesia Il garibaldino novantenne, che spunta dalla selva dei canti popolari. Ad essa fu unita una seconda strofe nell’edizione leviana.

Il secondo verso di questa strofa (come le bestie, chi ha la fossa) ha una edizione diversa dell’edizione edita (forza invece di fossa) e Bronzini osserva con sensibilità critica, che potrebbe essere venuta da un errore di trascrizione nelle carte leviane, o di lettura o di interpretazione testuale, lezione che ben lega con le alternative del motivo posto nel terzo verso (chi ha lo stagno del piscio e chi una fontana). Vediamo così corretta la strofa:

Tra tutte le cose che ricordo

(come le bestie, chi ha la fossa

chi lo stagno del piscio e chi una fontana:

io anche sono un muletto, scelto nelle fiere

che ha avuto già tre padroni)

quella che fra tutte più ricordo

e vive è un pezzo di stradetta

vicino a casa mia. Aveva ed ha

sempre una coperta bianca di sole

che viene da mezzogiorno: le case

davanti sono basse e scendono a valle.

Qui portavano in seggiola il vecchio garibaldino

novantenne.

 

8 Responses to I miei 90 anni (18 giugno 1930-2020)

  1. Rachele ha detto:

    Auguri! Sono le 5.15, ieri sera mi sono addormentata senza aprire Rabatana, succede raramente, e ora la mia sveglia biologica si è sintonizzata con il tuo compleanno. Sei riuscito a celebrare Rocco anche in questo giorno importante per te, non so cosa dire, una cosa simile mi lascia veramente senza parole. Auguri ancora, di cuore.
    Rachele

  2. Rocco Albanese ha detto:

    Auguri per i tuoi ” primi” novant’anni!! Con grande affetto, Rocco Albanese e famiglia

  3. domenico langerano ha detto:

    Carissimo,
    Solo ora sto aprendo la posta e quindi un abbraccio rinnovato per ognuno dei tuoi novantanni e che i prossimi auguro possa tu goderteli con buona salute e serenità
    Mimmo

    • Antonio Martino ha detto:

      Giacché c’eri (invece del solito abbraccio me ne hai fatti 90) potevi arrivare a 100. Ma visto che mi auguri di vivere altri 90 anni (non hai esagerato?), va bene lo stesso. Grazie caro Mimmo e un abbraccio, che ne vale cento,
      Antonio

  4. D. Jankovich ha detto:

    A mezzanotte ho saputo dei novant’anni di Antonio, trenta dei quali passati d’estate passeggiando e chiacchierando nei sentieri sul Renon. Ricordi bellissimi e straordinari per me venuto da lontano, una enciclopedica istruzione nei miei quasi settant’anni in Italia. Auguro lunga vita a mio amico Antonio, salute e serenità con i suoi cari. Averlo conosciuto è stata una delle più belle esperienze nella mia vita. Grazie infinite.
    Dusko

  5. Grazie, Antonio, per tutte le perle che ci regali: perle di cultura, perle di saggezza! Quelli come te meritano lunghi tempi supplementari, tanto per usare il linguaggio calcistico. Auguri, amico mio! Goditi la tua bella età con Titina e tutta la famiglia. C’è tanto ancora da condividere. Grazie. Ti abbraccio.
    Mery

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