Da oggi 23 giugno in libreria: SABINO CASSESE, Il buon governo, l’età dei doveri
Mondadori, Milano – p. 288, euro 19
UNA DESCRIZIONE LAICA DELLE NOSTRE ISTITUZIONI, I RICHIAMI ALLA “GRAVITAS” DEL GOVERNARE, RIFLESSIONI SUL CAMMINO EUROPEO: PAGINE CHE SONO MINIERE DI CONSIGLI
SONO LE ISTITUZIONI A DETTARE LE REGOLE DEL GIOCO. DALLA ISTITUZIONI DIPENDE IL BENESSERE DI UNA SOCIETA’, IL BUON GOVERNO
Presentazione di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani sul Il Sole 24 Ore DOMENICA 21 giugno 2020 titolata “La rotta del buon governo”
Un illustre professore emerito dialoga con se stesso per quasi trecento pagine dei problemi delle istituzioni e della società. Sarebbe lecito, se si ragionasse per cliché, aspettarsi il borbottio di un brontolone che rimpiange i tempi passati, nascondendo la nostalgia per una stagione vissuta da protagonista dietro buone dosi di disprezzo per i tempi meschini che ci troviamo a vivere, pronosticando rovina e miseria per le generazioni future, stolte e ignare. Il nuovo libro di Sabino Cassese, Il buongoverno. L’età dei doveri, non è nulla di tutto questo.
Cassese, tra i giuristi più acuti e brillanti del nostro Paese, è prima ancora uno spirito libero e curioso, un intellettuale raffinato che, avendo molto da dire, lo fa senza temere di esprimere opinioni non convenzionali o di esporsi in giudizi nettissimi, mai banali e sempre documentati.
Il volume restituisce proprio questa figura di uomo dalla mente vivacissima. L’Autore affronta “di petto” le questioni che agitano l’universo in cui vivono il diritto pubblico e l’arte del governo. Oggetto del libro sono i principi e le regole che costituiscono l’architettura della casa comune, italiana ed europea. Si discute su come vengono applicati, violati, mistificati dal «potere vestito di umana sembianza», ossia da chi incarna le istituzioni. Ma si descrivono anche le debolezze di una società con una grande storia e notevoli potenzialità, ma alla ricerca di facili rassicurazioni e di illusioni collettive piuttosto che di un nuovo patto sociale fondato su diritti e doveri.
In questa prospettiva Cassese, come d’altra parte è suo costume, non si tira indietro di fronte alle contraddizioni del presente. Gli argomenti, solo per citarne alcuni, vanno dai sovranisti e la globalizzazione alla crisi o rinascita dello Stato, dalle ragioni per ritenere l’Europa ormai un (felice) punto di non ritorno all’analisi di come la Costituzione abbia retto alla prova dei decenni, dallo svelamento dei luoghi comuni più frusti della democrazia populistico-corporativa e della contrapposizione tra élite e popolo, fino alle spiegazioni per cui ci troviamo oggi in una società «scoraggiata e rancorosa».
Lo schema è questo: si parte dall’osservare con occhio critico episodi, anche minimi, della cronaca degli ultimi due anni, collegandoli a precedenti storici, per spiegare lo Stato. Anzi, come sottolinea nel libro, l’Autore ragiona dello Stato e dei suoi cittadini, attività che impone di «distinguere, comprendere le differenze e i particolari, e le situazioni nuove, evitando di partire dai dogmi […] e di ascoltare gli umori di una stagione».
Profondamente laica è la descrizione delle nostre istituzioni, impietosa ma non priva di un certo affetto, quello riservato a una creatura che si conosce da tanto tempo.
Della nostra Costituzione, la “bella settantenne”, sottolinea la ricchezza ancora inespressa ma non nasconde i difetti, di nascita e non d’età. Cassese si distingue da altri Maestri, anche ex giudici costituzionali come lui, che mostrano una riverenza quasi sacrale al testo, che quasi chiude ogni discussione. Riconosce che “nacque vecchia”, almeno nella parte relativa alla forma di governo, non sconfessa la sua posizione complessivamente favorevole al progetto di revisione bocciato dagli elettori nel 2016 e offre continui spunti per una seria riapertura del processo riformatore.
Anche sulla riduzione del numero dei parlamentari, Cassese spiazza chi ha interesse solo a collocarlo su un lato delle barricate che si stanno formando in attesa del referendum del prossimo settembre. Ritiene risibile la motivazione ufficiale della riforma, il risparmio, e mette in guardia su quella inconfessata, la riduzione non dei parlamentari ma del Parlamento, per perseguire il mito della democrazia diretta. Ma, laicamente appunto, non nasconde al lettore argomenti a favore della riforma, quali la riduzione negli anni del carico di lavoro del Parlamento e la presenza di venti legislatori regionali, concludendo, con una qual perfidia, che la qualità della democrazia non è correlata al numero ma al livello della classe dirigente.
Dove il giudizio è più netto è sul valore del cammino europeo. Cassese sostiene con forza che l’Unione è «il maggior successo dell’ultimo mezzo secolo», capace di realizzare l’ideale illuminista della pace positiva, un ordine internazionale dove la guerra è assente, e di porre un freno a pulsioni autoritarie. E ciò in tempi in cui si raccoglievano facili plausi addossando all’Unione ogni responsabilità e colpa, non ora che il contributo europeo appare decisivo per ogni prospettiva di ripresa.
L’Unione appare il porto più sicuro per una democrazia fragile, che fatica a tenere la rotta, priva di leadership autorevoli e attratta da sirene tanto seducenti quanto pericolose, quali quelle del sovranismo.
Insomma, siamo di fronte a un agile manuale di istruzioni per un Paese plurale, contraddittorio e complicato, ad un corso di cultura istituzionale per cittadini europei non rassegnati, che meritano letture serie della realtà. E forse poiché il senso delle istituzioni è anche compostezza, l’Autore, nel dialogo con se stesso, si dà del Lei.
La lettura è poi vivamente consigliata a chi, quasi per caso, ha oggi la responsabilità di guidare il Paese in una drammatica temperie. I continui richiami alla virtù della gravitas del governare e alla serietà delle classi dirigenti assumono un valore quasi profetico per il tempo della pandemia. La realtà non concede più alibi a chi rivendicava quasi con orgoglio la propria ignoranza, il suo essere nuovo rispetto alla storia. Impone, se non i sette anni di studio matto e disperatissimo del poeta, almeno qualche buona lettura.
E qui troverà una miniera di consigli. Si tratta infatti di un libro che rimanda a tanti libri, quasi tutti recentissimi, come fossero tanti amici. Che insegna il valore della parola dello studioso, più facile da trovare sulla carta stampata ove ancora vige, tra editori e collane, una selezione all’ingresso, rispetto all’abitudine a un’informazione galleggiante nella rete, pubblicata da uno qualunque («on the Internet nobody knows you’re a dog», si leggeva su una vignetta di Peter Steiner sul «New Yorker» del 1993 che ritraeva appunto un cane alla tastiera).
Perché solo con i libri si può rompere la superficie, non accontentandosi della lettura semplificata e accomodante degli eventi della storia e di quelli che ci troviamo ora a vivere.
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