ANTONIO RUBBI: ai nipoti americani MEMORIE DEL NONNO COMUNISTA ITALIANO
La pubblicazione è realizzata col contributo della Fondazione “L’Approdo” Ferrara, l’ Associazione Enrico Berlinguer Roma, l’Istituto di Storia Contemporanea Ferrara, ed è stampata nel mese di marzo del 2020 dalla Este -Edition, Ferrara (www.este-edition.com)
Ai nipoti americani MEMORIE DEL NONNO COMUNISTA ITALIANO di Antono Rubbi si presenta come la prima delle iniziative in programma nell’ambito delle celebrazioni della nascita del PCI avvenuta a Livorno il 21 gennaio 1921 e come la ricostruzione dettagliata della vita di un importante dirigente del partito comunista.
Antonio Rubbi nasce nel 1932 in una famiglia povera di braccianti di San Biagio di Argenta nel ferrarese. A 15 anni, terminate le scuole medie, anch’egli inizia a lavorare come bracciante. Nel 1949 (a 17 anni) si iscrive alla Federazione Giovanile Comunista (Fgci) e al Pci. Dal 1968 al 1975 diventa segretario provinciale del Pci di Ferrara, in quegli anni una grande forza popolare e di governo nei comuni ferraresi. Lo conobbi appunto in quel periodo. Dal 1970 al 1975, infatti, fummo colleghi nel consiglio comunale di Ferrara, che non esercitava solo funzioni di mero organo amministrativo e si faceva interprete ed espressione di quell’intenso momento politico. Le riunioni consiliari erano frequenti e le discussioni partecipate e vive. Il gruppo democratico cristiano, del quale ero componente, era lealmente impegnato con determinazione a stabilire nuovi rapporti politici con la maggioranza comunista, in posizione di minoranza ma non di opposizione, per dare, in forma autonoma, un contributo di collaborazione. Tra me e Antonio Rubbi si stabilì un rapporto di reciproca stima e anche di amicizia, destinato ad esaurirsi con la scadenza del mio mandato (1975). In quello stesso anno Rubbi ebbe un importante riconoscimento e si trasferisce a Roma. Diventa responsabile della sezione esteri del Pci, chiamato da Enrico Berlinguer, del quale divenne stretto collaboratore. Per quattro legislature sarà deputato al Parlamento.
Il riconoscimento che avrebbe dato l’impronta alla sua vita polica e familiare Rubbi l’aveva già ottenuto all’inizio della sua militanza politica, quando, giovanissimo, non ancora inquadrato nel funzionariato del partito, questo gli chiese se fosse disposto a far parte della delegazione mandata a frequentare la scuola di partito a Mosca, dove si recò e trascorrerà sette anni importanti per la sua formazione. Un po’ prima del ritorno in Italia sposò una ragazza moscovita. La nuova famiglia si costituisce a Ferrara e incontra l’iniziale difficoltà di comunicazione della giovane sposa moscovita, che non conosceva una sola parola di italiano e men che meno di dialetto ferrarese. Antonio funge da interprete e, anche quando la lingua non è più un ostacolo, tra di loro continuano a parlarsi in russo e trascorrono le loro vacanze sulle coste del Mar Nero. Una comprensibilissima attenzione per la moglie. Forse la figlia, unica figlia, avrebbe preferito vacanze ai Lidi ferraresi con le sue amiche e i suoi amici.
La figlia, quando giunge il tempo, chiede di andare a studiare negli Stati Uniti, dove sposa un cittadino americano e in America stabilisce la sua famiglia arricchita dalla nascita di due figli, Giacomo e Lucia. Le due generazioni sono legate da grande affetto, ma l’Oceano Atlantico e la lingua separano nonno e nipoti americani.
Mi dicono che Giulia ha fatto discreti progressi nell’apprendimento dell’italiano, quasi niente Giacomo, che una volta pare avesse detto al nonno che i suoi amici avevano paura dei comunisti. Nella bella lettera ai nipoti con la quale si apre il libro, firmata con nome americanizzato (Vostro nonno Tony), nonno Tony scrive: – « La politica di cui mi sono occupato è stata una politica schierata, dall’inizio alla fine, nelle fila del partito comunista italiano (Pci). Mi sono chiesto allora se questo scritto, quantunque dedicato a voi e ai vostri parenti più prossimi, non avesse potuto crearvi qualche problema. Un nonno comunista! In un paese, come quello vostro oggi, dove una grossa fetta dei suoi cittadini potrebbe preoccuparsi di essere indicata come “liberal”, e la taccia di “socialista ” suona come una condanna per chi ne venga bollato, la sola espressione “comunista ” potrebbe sollevare allarme e repulsione. Ho temuto che la cosa avrebbe potuto essere imbarazzante per voi. Ma poi ho pensato a quante volte la nazione americana, forte dei principi di libertà sui quali è edificata e dei valori di democrazia e rispetto per i diritti umani che la ispirano, ha dovuto fare i conti con estremismi, manicheismi e cacce alle streghe di vario tipo e ogni volta è riuscita ad uscirne in avanti, più forte e coesa. Sarà così anche stavolta, ne sono certo. Poi ho pensato ai tanti americani (uomini di Stato e studiosi delle più prestigiose università, diplomatici e giornalisti; storici affermati e semplici ricercatori, uomini d ‘affari e studenti) che per lungo tempo (soprattutto negli anni ’60, ’70, ’80) hanno avuto modo di conoscere da vicino il Pci, vivisezionarne la sua storia, studiarne i suoi programmi, verificarne sul posto e a contatto con i suoi dirigenti e militanti la sua azione concreta, nelle istituzioni e nel paese. Raramente sono stati indulgenti, quasi sempre onesti e obiettivi nei loro giudizi. Non hanno mancato di individuare e sottoporre a critica severa i condizionamenti internazionali con il movimento comunista ed in particolare l’Unione Sovietica, la corresponsabilità con tragedie ed errori da questi compiuti; ma anche di sottolineare il ruolo ed il contributo del Pci per abbattere in fascismo in Italia e riconquistare la libertà, per avviare il paese su un cammino democratico e di progresso sociale, come indicato da una Costituzione voluta e scritta anche dai comunisti italiani. Con parecchi di questi cittadini americani ho avuto contatti anch’io e penso che di queste relazioni sia rimasta qualche traccia. Di certo so che il loro giudizio dell’operato nostro e del nostro partito ci consegna un’immagine ben lontana dai manicheismi cui accennavo sopra e ci rende i dovuti riconoscimenti. State tranquilli, miei cari nipoti, nel racconto che vi lascerò non ho intenzione di indorarvi la pillola. Vi parlerò in tutta franchezza anche di cose brutte e sbagliate, di omissioni e ritardi, ma all ‘interno di una storia che io giudico largamente onorevole e di cui rimango fiero per il modesto contributo che anch ‘io vi ho dato. »
Mi pare che Rubbi abbia attentamente elaborato una definizione di se stesso nel titolo di questo libro (nonno comunista italiano e non nonno comunista) appunto per rinnegare condizionamenti internazionali con il movimento comunista ed in particolare l’Unione Sovietica.
Superate una serie di altre titubanze espresse nella lettera ai nipoti, quando nonno Tony comprende che l’ostacolo della lingua resta una difficoltà per la reciproca comunicabilità tra nonno e nipoti e che le occasioni di stare insieme sono sempre meno frequenti, e quando queste capitano è tale il desiderio di godere ogni attimo della presenza dei nipoti, che non vede né il bisogno né lo spazio per dedicare questo tempo felice per parlare ai nipoti di storie e vicende passate e a loro ignote. Pertanto prende la decisione di lasciare memoria scritta della sua esperienza di vita e scrive questo libro di oltre 300 pagine in caratteri minuti e fitti (che forse è solo l’inizio di una lunga storia, di cui questo è il primo volume, che qui finisce quando Antonio, con una valigia piccola e leggera, contenente poche cose, parte per Mosca), che i nipoti potrebbero leggere quando possederanno meglio la lingua in cui il nonno scrive.
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Interessante la tua proposta riguardo alla biografia umana e politica di una persona, con cui hai avuto una frequentazione molto significativa. Grazie, Antonio, per la condivisione con chi segue il blog della Rabatana
Grazie, Angelo. Ho presentato il libro di Rubbi non appena finito di leggerlo, cercando di insistere sull’aspetto della biografia umana dell’autore.
Caro Antonio,
ho poturo leggere su Wikipedia il curriculum del tuo amico ferrarese e credo che in questo primo volume ci sarà per intero la motivazione della scelta della giovanile militanza comunista, quasi obbligata per quei tempi, per chi era bracciante alla ricerca di un riscatto dalla povertà.
Bellissima lettera per la sua semplicità ed onestà umana, accenna a preoccupazioni personali e familiari di chi militava nel partito comunista italiano, via via superate probabilmente da Berlinguer in poi e ancor più dagli gli anni successivi, quando si realizzò una definitiva spinta politica di grande autonomia da Mosca.
Ricordo che Napolitano fu uno dei primi comunisti a poter entrare negli States dopo che nel 1975 gli fu negato il visto di ingresso; io stesso che non ero di pari importanza nel 1979 per fare il viaggio di nozze dovetti produrre una pila di documenti ‘garanti’ della mia democraticità e credo soprattutto che non andavo lì a cercar lavoro, divieto ancor oggi insormontabile ai più.
In America riuscii tuttavia con Carmela a visitare a Manhattan l’alloggio-sede dei comunisti americani (non più di qualche migliaia di tesserati), quando era famosa militante la giovane attrice Angela Davis.
Mia figlia Filomena Lenina mi ha raccontato che quando da ingegnere meccanico lavorava alla Solvay di Rosignano, un suo direttore scherzando una volta le disse che con quel nome il direttore precedente non le avrebbe permesso di raggiungere il livello di responsabilità che in fabbrica rivestiva.
Oggi certo sono altri tempi, ma la militanza comunista é stata per molti una scelta laica di vita a favore degli emarginati, dei ‘diversi’ un po’ come per altri é la scelta cristiana.
Sareebbe bello poterne parlare a lungo con te, ma vis a vis! Si realizzarà una volta?
Lo spero
Caro Mimmo, Antonio Rubbi non è un mio amico ferrarese. Avemmo un rapporto di reciproca stima ed amicizia nel quinquennio 1970-75, dopo di che le nostre strade si divisero, non ci è mai capitato di rivederci, se non al funerale di Ilio Bosi. Tu sai chi è Ilio Bosi. Io lo ricordai su questo blog con uno scritto del febbraio del 2018 e, rispondendo a un tuo intervento, ti segnalai il suo libro «Il bastone e la galera – Vita di un giovane italiano durante il fascismo», che tu – mi scrtivesti – avresti comperato. Per un eventuale lettore o tuo amico riperto chi è stato Ilio Bosi: «Ilio Bosi è stato un avversario e un amico. Aveva l’età di mio padre, è morto nel 1995. Buona parte della sua vita, circa quindici anni, l’aveva trascorsa in carcere, dopo Terracini è stato il comunista che nelle patrie galere ha trascorso il maggior numero di anni. Il padre, quando morì, non sapeva dove fosse il figlio; la madre e la sorella erano rimaste nella più nera indigenza. Siamo stati veramente amici e sempre avversari. Assistetti alla sua sepoltura. Qualcuno levò il pugno chiuso, io mi segnai. Egli ci lasciava una testimonianza con un bel libro edito dall’editore Corbo di Ferrara. Si intitola “Il bastone e la galera – Vita di un giovane italiano durante il ventennio”. Se si fosse votato, quando era giovane, si sarebbe risparmiato il bastone e si sarebbe risparmiata la galera.»
Nella foto del libro di Rubbi Ilio Bosi Ilio Bosi è fotografato al tavolo con Guido Fanti, presidente della regione. A Gilberto dovetti spiegare chi fosse queso Bosi e per chi avrei concretamente votato e gli scrissi: « Ilio Bosi, nato all’inizio del secolo sorso, è morto 23 anni fa, quindi non ho fatto una dichiarazione di voto, ma richiamare il senso e il valore del voto come dovere civico. Si vota nelle condizioni date, non possiamo farci nulla, così è, ma ho sempre votato senza turarmi il naso, perché c’è stata gente che è morta e ha fatto anni di galera per darci il voto. Quindi ho inteso anche reagire alle volgarità che si leggono sui social. Non ho fatto, dunque una dichiarazione di voto e non si può capire per chi voterò, perché non l’ho scritto, non l’ho lasciato intendere e non lo so neanche io. Fino a domenica voglio capire chi da più assicurazione di … Temo, purtroppo, che nessuno potrà dare questa garanzia. Quindi voterò lo stesso, forse Franceschini, che è un amico, figlio di amici, purtroppo deceduti, la madre è morta un paio di settimane fa».
Ciao, Antonio
“Qualcuno levò il pugno chiuso, io mi segnai.”
“…ho sempre votato senza turarmi il naso…”.
Ecco, sei limpido, sempre.
Per sbloccare i commenti dall’insignificante cronaca su presunti dettagli scomodi della vita diRocco Scotellaro, una pagina di vita e di amicizia e di buona politica