Carmela BISCAGLIA: Carlo Levi nell’archivio di Rocco Mazzarone
Il saggio di Carmela Biscaglia – del quale qui è postato uno stralcio essenziale privato del ricco e accurato apparato di note – è stato pubblicato in uno speciale fascicolo della rivista ‘’Frontiere’’ concepito per festeggiare, insieme al Centro di Documentazione sulla Storia e la Letteratura dell’Emigrazione della Capitanata (CDEC), i suoi primi vent’anni di vita.
Il fascicolo è caratterizzato da due note principali: una festosa e una triste. Quella festosa riguarda il secolo raggiunto dallo scrittore italiano-americano Lawrence Ferlinghetti (con due distinti contributi di Luigi Fontanella e Francesco Chianese), mentre quella triste è legata alla scomparsa di due protagonisti della letteratura italo-americana, Joseph Tusiani e Francesco Durante. La morte del primo, Joseph Tusiani, avvenuta l’11 aprile 2020, ha imposto di intitolare l’intera sezione alla memoria dell’autore. La ricchezza delle ultime pubblicazioni conferma la sua longevità creativa. Il secondo, Francesco Durante, concordemente ritenuto uno dei maggiori conoscitori di cultura italo-americana, scomparso prematuramente il 3 agosto 2019 è stato affidato a uno studioso presentato come illustre conoscitore di quella materia, che di Durante fu stretto amico e per anni ha condiviso con lui la felice avventura di molte ricerche, Martino Marazzi.
In particolare – ed è quanto interessa segnalare in questo blog – il fascicolo presenta una corposa sezione dedicata a Carlo Levi, nella quale è ospitato il citato saggio di Carmela Biscaglia sul rapporto tra Carlo Levi e Rocco Mazzarone. La lettura per la riproduzione del saggio è stata intercalata da alcune postille mentali, che riprodurrò in calce.
La funzione dell’intellettuale sarà soprattutto quella di esprimere il senso dell’interdipendenza di un mondo fatto di infiniti complessi legami, nel quale la libertà anche di un solo uomo è un valore per tutti (C. Levi)
Mazzarone e Levi: due intellettuali
Il legame tra Carlo Levi e Rocco Mazzarone, che sottende il legame di entrambi con la terra lucana e il comune amico Rocco Scotellaro, è noto ed è stato lo stesso medico di Tricarico a volerne dare contezza, quasi una “sorta di confessione pubblica”, negli Atti delle giornate leviane di studio promosse nel 1995 dal Centro “Carlo Levi” di Matera a vent’anni dalla morte dello scrittore torinese, che aveva intrecciato profonde e vitali relazioni con la terra lucana. Mazzarone è poi ritornato sul tema con un’intervista rilasciata nella ricorrenza del 70° della pubblicazione del Cristo si è fermato a Eboli. In essa ricorda di averlo conosciuto inizialmente solo come scrittore, essendo stato insieme a suo fratello Angelo uno dei primi in Basilicata a leggere il Cristo. Glielo aveva regalato fresco di stampa nel 1945 Silvio Turati, l’imprenditore piemontese che negli anni Venti aveva acquistato e modernizzato l’azienda ex feudale di Calle in agro di Tricarico. Non glielo aveva spedito, ricorda Mazzarone,
« bensì me l’offrì a Calle, nella sua tenuta dove era venuto come ogni anno con la sua famiglia a trascorrere le sue ferie di Natale e Capodanno. Turati, un uomo che sarebbe opportuno ricordare, aveva invitato me e mio fratello Angelo a cena. Quando veniva a Tricarico e aveva qualche passeggero problema di salute, mi chiamava, io ero già medico. Raggiungemmo Calle a cavallo, mio fratello ed io. Bene, quella sera dopo la cena, Silvio Turati disse al figlio: «Va’ a prendere il libro che abbiamo portato da Torino». Il figlio Attilio portò a tavola questo libro: Cristo si è fermato a Eboli. Già il titolo, almeno per me, era inconsueto. Non avevo mai sentito da nessuno una simile espressione “Cristo si era fermato a Eboli”. […] Naturalmente mio fratello, che è prete, di fronte a un titolo come Cristo si è fermato a Eboli fu incuriosito probabilmente più di me e quindi, appena riuscì ad averlo nelle mani, l’aprì come si fa quando si ha un libro nuovo e, indovini su quale pagina andarono a finire i suoi occhi? Sulla predica di don Trajella e come prete fu molto felice. I righi che aveva iniziato a leggere cominciavano con: “Fratelli carissimi, carissimi fratelli …”. […]
Io intanto non vedevo l’ora di ritirarmi per leggerlo. Eravamo ospiti a casa dei Turati anche per la notte. Quindi lessi questo libro, devo dire, anche con una certa fretta, come il libro non meritava, perché desideravo arrivare subito alle conclusioni, cioè alle proposte dell’autore, dopo quella che era la denuncia. Tra le altre cose, il Cristo si è fermato a Ebolinon è soltanto una denuncia, è qualcosa di più. Finalmente arrivai alle conclusioni di questo libro, che credo sia poco approfondito da molti lettori. La conclusione è utopica, ma affascinante e andava meditata. Il libro, naturalmente, contribuì a mettere in crisi certi miei convincimenti.
Ritornati a Tricarico, il mio primo pensiero fu quello di cercare Rocco Scotellaro e di dirgli che c’era questo libro, che mi aveva sconvolto per così dire e che andava letto. Rocco lo lesse e ne parlò nel luogo che in quel periodo era un po’ una specie di circolo culturale, cioè nella farmacia del dottor Carbone. Il farmacista accettò le impressioni da noi raccolte sulla lettura del Cristo e ne parlò anche con gli altri avventori della farmacia. Sembravano quasi tutti d’accordo, anche se in fondo il libro non l’avevano letto tutti quelli che dicevano di essere d’accordo. Finalmente arrivò nelle mani di un nostro amico comune che, invece, non fu d’accordo e disse subito in farmacia: «No, voi non vi siete resi conto che è un libro in cui noi siamo denigrati!». E non si fermò a questa denuncia verbale, ma scrisse un pamphlet in cui dimostrava a suo modo che nel libro c’erano più spunti di denigrazione che di ammirazione. Lo stesso Carlo Levi più tardi fu divertito e comunque interessato a leggere questo pamphlet, che poi non so se andò a finire nella sua collezione di commenti al Cristo, che con grande rapidità si diffusero non soltanto in Italia ma altrove, a cominciare dagli Stati Uniti d’America. C’era stata subito la traduzione in inglese del libro […] »
L’incontro fisico di Mazzarone con Carlo Levi avvenne, invece, nella primavera del 1946 quando questi, dopo i tempi burrascosi della Resistenza fiorentina e la fine della guerra, ritornò in Basilicata in occasione della campagna elettorale per la Costituente, alla quale partecipava come candidato nella lista meridionalista dell’Alleanza repubblicana giunse un giorno nella piazza di Tricarico per tenere uno dei suoi comizi:
«Carlo arrivò in macchina, accompagnato da Michele Cifarelli; l’accompagnatore di tutti e due era Leonardo Sacco. Io conoscevo naturalmente Leonardo Sacco anche se da non molto tempo, conoscevo pure Michele Cifarelli, che mi era stato presentato da discepoli di Tommaso Fiore e tra questi in particolare da Mimì Mera. Fu quindi naturale che mi avvicinassi a lui, a questo gruppo. Michele Cifarelli mi presentò a Carlo Levi, anch’io mi presentai, ci stringemmo la mano: «Mi chiamo Rocco Mazzarone, medicaciucci!», quasi volessi nascondere un inconscio timore di finire anch’io come i “medicaciucci”, vittima dell’isolamento culturale dei nostri paesi. Sembrava che Levi avesse preso sul serio questa presentazione. «Carlo, – disse Michele Cifarelli – lascialo stare, che scherza». Così diventammo di fatto amici, perché Levi commentò: «Quindi, siamo colleghi!» e assieme andammo in caserma per le autorizzazioni a tenere il comizio. […] Quella sera, comunque, Carlo Levi non parlò a Tricarico e così io pensai di accompagnarlo in una visita al paese, in particolare alla chiesa del Carmine, dove ci sono delle pitture seicentesche di Pietro Antonio Ferro. Mostrai loro il cassettone del controsoffitto ove è riportato il mio nome, per cui sarei stato il priore di una confraternita. In realtà era stato priore mio nonno, mio omonimo. Questo, naturalmente, divertì non solo Carlo Levi.
Dal suo giudizio sulle pitture criticamente interessato, ebbi conferma della sua superiorità culturale. Paese medievale, egli aveva definito Tricarico al termine della visita da me guidata, dando a queste parole un’espressione dignitosa. Comunque, […] la mia amicizia con Levi nacque allora, a parte l’ammirazione che io avevo già nei suoi confronti, ammirazione se pur con qualche riserva, come a mio modo di vedere è giusto che sia quando si ammira un’opera, uno scritto, una persona anche ».
Il rapporto di Mazzarone con Levi, nato e alimentato da una certa comunanza di convinzioni sui problemi cruciali del Mezzogiorno, si intensificò man mano che si consolidava il rapporto di Levi con Scotellaro. Conosciuto nella stessa circostanza elettorale del ‘46, il giovane poeta e politico socialista fu per Levi una sorta di rivelazione, quasi una reincarnazione di Piero Gobetti. Con lui stabilì un intenso rapporto di fratellanza, imperniato sull’amore della somiglianza.
Nei brevi viaggi romani di Mazzarone oggetto dei suoi incontri con Levi era, oltre alla Lucania, il confronto sul talento di Scotellaro, sul suo impegno nell’amministrazione del comune di Tricarico, sulle sue scelte politiche e su quella sua adesione al Fronte popolare che entrambi non avevano condiviso, così pure sul successivo suo trasferimento a Portici alla “scuola” di Manlio Rossi-Doria, scelta che Levi contestava. Negli incontri frequenti di Mazzarone con Scotellaro, a sua volta, grande spazio era riservato a Levi, alle sue idee e a quanti frequentavano gli ambienti culturali tanto lontani dalla loro provincia. Di qui, almeno per ciò che riguarda Levi, Mazzarone nella sua abituale modestia aveva riconosciuto, fin dai loro primi incontri, i limiti della sua cultura rispetto a quella di taglio europeo dell’amico, ed era stato colpito dalla sua intelligenza multiforme.
Anche dopo la morte del giovane poeta di Tricarico, i rapporti di Mazzarone con Levi furono sempre mediati dalla figura di Scotellaro, ed entrambi insieme a Manlio Rossi-Doria s’impegnarono a tramandarne il ricordo e a valorizzarne l’opera, pubblicandone gli scritti con dense prefazioni di Levi e di Rossi-Doria e promuovendo studi, mostre di pittura e iniziative convegnistiche, ampiamente documentate nell’Archivio personale del medico di Tricarico. Con la scomparsa di Scotellaro, ricorda Mazzarone, il legame tra Levi e il giovane amico si rafforzò in tutte le possibili manifestazioni, fino a rasentare i confini del mito.
Rocco Mazzarone, a sua volta, come si evince dalle sue carte, molto contribuì dopo la morte di Levi a tener viva l’attenzione su di lui e sul suo legame con la Basilicata. Ciò avvenne attraverso un costante impegno personale sia all’interno della Fondazione “Carlo Levi” di Roma, a cominciare dalla sua istituzione nel 1975 e fino al 1993, sia nelle fasi fondative del Centro “Carlo Levi” a Matera, di cui nel 1981 fu il primo presidente. Lo stesso, che aveva dedicato a Levi diversi scritti, teneva sempre a ricordare come egli fosse un medico, «un ottimo medico e, allievo di grandi maestri della scuola medica torinese, era quindi allenato all’esercizio dell’esame obiettivo. E con la stessa obiettività con cui nel suo Cristo aveva descritto la condizione di Grassano e di Aliano negli anni Trenta, così nel corso degli anni successivi aveva registrato nei suoi interventi e contributi i cambiamenti, che si andavano realizzando nella nostra e nella sua Lucania con le sue luci e le sue ombre». L’amicizia di Mazzarone con Carlo Levi fu profonda e di lunga durata e, secondo quanto egli stesso scrive,
«per certi versi difficile, derivante dalla diversa e più alta sua intelligenza versatile e dalla sua cultura che spaziava ben oltre i limitati confini in cui vivevo io.» […] Certamente non di rado le nostre valutazioni sui singoli avvenimenti non erano sempre coincidenti, ma la polemica, se tale può definirsi in questi casi, era contenuta entro i limiti di un dibattito tra amici. Un esempio? La sua accettazione di candidarsi nelle liste comuniste. Non mi sembrava coerente con i suoi e i miei principi e non tardai a manifestargli il mio dissenso e i miei dubbi.»
Mazzarone, inoltre, nel corso degli anni analizzò le variegate posizioni dei lucani nei riguardi dello scrittore piemontese e del suo Cristo:
« I rapporti tra Levi e i lucani non sono stati rapporti di ammirazione unanime, non sono stati però rapporti proprio polemici. D’altra parte Levi non rispondeva a lettori più o meno anonimi. In altri termini, c’erano i lettori del Cristo si è fermato a Eboliche […] non condividevano le interpretazioni che Levi dava della nostra realtà in tutte le diverse espressioni e, quindi, anche le espressioni politiche. C’era dunque una parte dei lettori che aveva accettato quelle interpretazioni ed un’altra che era convinta che Levi fosse stato un nostro denigratore. Ora, quanti erano i primi? I primi, a mio modo di vedere, erano relativamente pochi. Il libro non ebbe una grande diffusione in Basilicata. Ebbe però una buona diffusione tra persone che avevano un certo peso nella divulgazione delle idee. Per quanto riguarda gli altri, essi si accodavano all’uno o all’altro gruppo […], io non mi meraviglio quando penso ai gruppi pro e contro Levi. È un fenomeno naturale, per certi aspetti anche di immaturità, bisogna dirlo. E qui il discorso sarebbe lunghissimo, perché questi primi rapporti, queste prime polemiche nei confronti del libro di Levi sono continuate e continuano ancora oggi. Ma questo che cosa dimostra? Dimostra la vitalità delle tesi, se tesi vanno chiamate, espresse in questo libro. Ben diverso, com’è noto, fu il riscontro del Cristo a livello internazionale. «La descrizione del mondo contadino meridionale fatta da Levi è stata tanto incisiva e, si potrebbe dire, tanto esplosiva in vari ambienti, – ha rilevato Gilberto Marselli – perché frutto della sua sensibilità di pittore, unita a una profonda cultura umanistica e, non meno, a un impegno politico che lo aveva fatto arrestare, per la prima volta a 32 anni (nel 1934). L’assegnazione al confino in Basilicata (1935-1936) costituì indubbiamente la conditio sine qua nonper concepire il suo Cristo. Ma non vi è alcun dubbio che anche l’emigrazione in Francia fino al 1942, un nuovo arresto a Firenze nel maggio 1943 e, a liberazione avvenuta, l’esperienza politica diretta quale autorevole esponente del Partito d’azione, allora punto d’incontro degli intellettuali antifascisti d’ispirazione liberal-socialista, concorsero tutti insieme a costituire l’humus necessario per una tale operazione».
Le vicende esistenziali e l’impegno culturale e civile di questi due intellettuali, quali furono Mazzarone e Levi, essenzialmente volto alla realizzazione di una società democratica in costruttivo dialogo nella sua multiforme composizione e in equilibrato sviluppo tra modernità e tradizione, si espressero in campi diversi e oltrepassarono l’impegno meridionalistico in senso stretto.
Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975), scrittore, pittore e intellettuale italiano, ha avuto una rilevanza nella storia italiana del Novecento che non si è esaurita nell’incontro Nord-Sud, ma si è dispiegata per lunghi anni nella più generale vita culturale e politica nazionale. Come senatore della Repubblica nella IV (1963-1968) e nella V Legi-slatura (1968-1972), esponente nell’una del Gruppo misto, nell’altra del Gruppo della sinistra indipendente, contribuì all’approfondimento dei più rilevanti temi politici e sociali del tempo, primo fra tutti quello dell’emigrazione, che tanto era connesso al mondo lucano al quale era rimasto legato. L’impegno civile e politico di Levi, espresso anche attraverso la dimensione narrativa e pittorica va letto, inoltre, quale apporto al processo di riscatto delle popolazioni dei Sud del mondo, in cui vedeva le ragioni di una sempre nuova Resistenza.
Rocco Mazzarone (Tricarico, 1912 – Ivi, 2005), medico, tisiolo-go, igienista, epidemiologo, docente di Statistica medica e Biometria all’Università di Bari, direttore sanitario del Consorzio Provinciale Antitubercolare di Matera (1947-1986), fu studioso di livello internazionale della tubercolosi, per cui nel 1982 fu insignito della Medaglia d’oro “Carlo Forlanini” dalla Federazione Italiana contro la Tubercolosi e le Malattie Polmonari Sociali. Ha segnato la storia nella medicina del XX secolo per il suo apporto signifcativo allo sviluppo della sanità in Italia e a quello delle scienze igienistiche ed epidemiologiche con le numerose indagini condotte in Basilicata e in altre aree del mondo, nella convinzione che la ricerca scientifca più avanzata dovesse rappresentare l’indispensabile retroterra per la crescita dell’uomo, soprattutto collettiva. Impegnato in programmi internazionali di cooperazione allo sviluppo nel settore medico-sanitario, condotti fn dal 1949 in Italia e soprattutto all’estero, e in progetti interdisciplinari di studio e promozione dello sviluppo, da quello condotto quale membro della Commissione per lo studio del Piano della Regione sud-orientale dell’Iran (Beluchistan-Sistan), all’altro in Somalia dove realizzò tra l’altro una ricerca sui micobatteri presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università nazionale somala; e poi in Turchia come consulente nel progetto di intervento sanitario, coordinato dalla Società per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo per conto del Ministero degli affari esteri, e del Türk Kadinini Güçlendirme ve Tanitma Vakf di Anka-ra. Fu presidente del Comitato di sovrintendenza del Progetto Pi-lota “Organizzazione dei Servizi Sanitari in Basilicata”, realizzato dalla Sago. Prese parte ai più signifcativi, noti e dibattuti studi di comunità prodotti in Italia nei primi anni Cinquanta: l’uno condotto dalla Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera, l’altro corrispondente all’Inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla, che riguardò Grassano. Attra-verso una costante progettualità, l’impostazione da capofla della medicina sociale nel Mezzogiorno, l’apporto all’organizzazione dei servizi sanitari in Basilicata e, non ultimi, i suoi scritti storici, egli ha fornito un contributo originale alla questione meridionale, ponendosi come uno dei grandi meridionalisti dell’ultima generazione e, nel contempo, fu cittadino del mondo per le sue vedute sempre globali e i suoi studi costantemente inseriti in contesti e in confronti internazionali. “Mediatore culturale” e “attivatore di dialoghi tra discipline” sempre considerate nella loro interdipendenza e analizzate con una profondità speculativa dai larghi orizzonti, Mazzarone si caratterizzò per la sua concezione unitaria del sapere e la conside-razione della società meridionale come realtà complessa da indagare a vari livelli. Tratto distintivo di questo intellettuale, le cui vedute molto lo accomunano a Carlo Levi, è stata la capacità di trasformare la competenza scientifca in chiave interpretativa del mondo, posta al servizio della conoscenza e del cambiamento del Sud dell’Italia e dei Sud della terra.
IL LASCITO DI LEVI NELL’ARCHIVIO DI MAZZARONE
La recente pubblicazione dell’Inventario dell’archivio privato di Rocco Mazzarone, su cui è stato emanato il decreto di riconoscimento di notevole interesse storico da parte della Soprintendenza Archivisti-ca per la Basilicata (prot. n. 186 del 24 febbraio 2015), dà conto della cospicua documentazione afferente i legami di questo medico-intellettuale con Carlo Levi in vita, ma soprattutto dopo la morte, avvenuta com’è noto il 4 gennaio 1975, attraverso una serie di iniziative e di impegni volti a salvaguardare il lascito culturale e il patrimonio pittorico del grande torinese, prima di tutto quello legato alla Basilicata. Oltre alle [pubblicazioni di Mazzarone dedicate a Levi citate nelle note, che, come già detto in questo stralcio sono omesse], l’archivio conserva la bozza dattiloscritta dell’intervento da lui tenuto ad Aliano il 6 gennaio 1975 in occasione dei funerali dello scrittore, il cui testo inizia con queste parole: “Io ho avuto la fortuna di conoscere l’uomo …”. L’articolo è affancato dalla copia del manifesto funebre fatto affiggere dal comune di Tricarico per quella circostanza, teso a ricordare tra l’altro come egli fosse cittadino onorario di questa cittadina. Era stata, infatti, l’amministrazione comunale di Tricarico, sindaco Rocco Scotellaro, che nell’aprile del ‘49 gli aveva conferito questo riconoscimento, come si legge nella motivazione della delibera comunale, quale pubblico attestato allo scrittore Carlo Levi che ha massimamente contribuito a far conoscere al mondo la nostra regione, di cui ha esaltato l’operosa fatica contadina, richiamando partiti e governi, uomini di cultura e di scienza d’Italia e dell’estero alla considerazione dei problemi della civiltà contadina e stimolando in noi l’ansia del civile progresso.
POSTILLE DI ANTONIO MARTINO
Con un po’ di commozione ho visto ricordata quella specie di circolo culturale che fu la farmacia del dott. Giovanni Carbone, molto frequentata di sera anche da mio padre, che del farmacista era intimo perché soffrivano di un comune male, al tempo incurabile (tant’è che moriranno entrambi improvvisamente in età giovane). Si scambiavano informazioni ed esperienze di medicina popolare; si facevano visitare da un illustre specialista di Napoli, che non poteva fare miracoli e li tranquillizzava confermando la diagnosi.
Con piacere ho visto inoltre ricordato un pamphlet critico del Cristo si è fermato a Eboli, dal titolo da maestro delle elementari del tempo: Alfredo Toscano, Dopo aver letto Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. L’autore era stato maestro di scuola e fece una brillante carriera che lo portò ai vertici della carriera nell’amministrazione dell’istruzione. Il pamphlet mi ricapitò tra le mani dopo moltissimi anni, lo rilessi e mi resi conto che io e altri amici avevamo non solo espresso giudizi esageratamente critici – il che sarebbe stato legittimo – ma addirittura che avevamo attribuito ad alcune espressioni significati che assolutamente non avevano e non potevano avere. L’acrimonia ci aveva accecati (eppure il pamphlet lo avevamo letto) e forse stava a testimoniare che il dibattito sul Cristo non era stato sereno, né basato sulla conoscenza del testo. Insomma, se ne parlava bene o male, ci si scannava anche senza aver letto il libro.
Mazzarone ha raccontato una infinità di volte quando conobbe Levi. Per la prima volta ho ora letto la versione scritta. Sono del tutto diverse. Secondo la versione orale, ironica e acuta, Mazzarone si presentò come “medicaciucci, nipote di don Traiella”.
L’orazione funebre di Rocco Scotellaro fu fatta dal prof. Rossi-Doria col suo pianto dirotto, non da Carlo Levi, come oramai tutti credono ed è scritto nel saggio. In piazza, il corteo funebre si fermò; il feretro era tra la cappella di San Pancrazio e il bar allora di Famiglietti. Il prof. Rossi-Doria salì su una sedia o un tavolinetto (ero all’altezza del corso e non distinguevo) per pronunciare l’orazione funebre. Scoppiò in un pianto dirotto: – Rocco, Rocco, Ah, Rocco! Lo chiamava tra i singulti, col tono di un rimprovero, come a dire: – Rocco, che hai fatto ?! Carlo Levi era lì. Chi gli era attorno voleva che fosse lui, ora, a fare l’orazione. Levi si rifiuta, la gente insiste; Levi sale sulla sedia o sul tavolinetto e cerca di spiegare: il funerale di Rocco non è una rappresentazione teatrale, che, se l’attore principale sta male, c’è il sostituto. L’orazione per Rocco, diceva Levi, l’aveva fatta il prof. Rossi-Doria col suo pianto. Uno scatto fotografico coglie il momento; la foto viene erroneamente interpretata e toglie a Rocco il conforto del pianto del suo amico e maestro.
Mazzarone afferma che “quella sera” (che in realtà era un primo pomeriggio) Levi non parlò. Devo contraddirlo: evidentemente il suo appunto è stato scritto lontano dall’evento, mal ricordando. Levi iniziò il suo comizio sul balcone di Cutolo, ma una forte contestazione di fischi e parolacce, accusandolo di averci diffamati col suo libro, gli impediva di parlare. Intervenne Rocco Scotellaro come una furia, saltando da un lato all’altro del balcone, e riuscì a imporre il silenzio e a dare la parola a Levi. Lo so. C’ero io e c’era Mazzarone, che rendiamo in buona fede testimonianze diverse. Io frequentavo a Potenza il quinto ginnasio ed ero tornato a Tricarico apposta per ascoltare il comizio di Levi. Questa è la mia testimonianza.
Finalmente viene testimoniato il conferimento della cittadinanza onoraria di Tricarico a Carlo Levi.
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