Nel volume Prova d’addio di Mario Trufelli, pubblicato da Scheiwiller nel 1991, confluivano due libri già editi (Paese giorno e notte (1952-1957), Rebellato, 1958; Visita guidata (1961-1985), La Cometa, 1985) nonché Poesie disperse edite e inedite (1951-1991), cioè un’antologia del disperso, partendo dal 1951 anno dell’esordio.

La nuova raccolta, L’Indulgenza del cielo, pubblicata dalle Edizioni Osanna di Venosa, ripartita in 3 sezioni (I cavilli della memoria (2005-2020) con 107 poesie;  Malaterra (1952-53), con 22 poesie; E’ morto il cantastorie (1952-54) con 23 poesie) fornisce al lettore un quadro completo, integrando il volume precedente in una duplice direzione. In primis, dando struttura e forma al consistente materiale inedito prodotto dal 2005 ad oggi, che viene collocato nella prima sezione I cavilli della memoria; in seconda istanza, procedendo a una più sistematica azione di recupero di quelle poesie della “prima stagione”, che certo risentono del clima del tempo e per questo hanno una sicura rappresentatività storica.

Rabatana continuerà ad informare i suoi lettori sul nuovo impegno poetico di Mario Trufelli. Intanto, il lettore che lo desideri può leggere la persentazione dell’Indulgenza del cielo scritta dal prof. F(ranco) V(itelli) nell’ Avviso al lettore pubblicata di seguito.

Mi rimetto esclusivamente alla mia memoria dopo circa 80 anni:
questo orologio apparteneva a don Michele Valinotti
nonno di Mario Trufelli

AVVISO AL LETTORE

Il volume Prova d’addio, pubblicato da Scheiwiller nel 1991, contiene in successione: Paese giorno e notte (1952-1957), Rebellato, 1958; Visita guidata (1961-1985), La Cometa, 1985; Poesie disperse edite e inedite (1951-1991). Era cioè una sistemazione nella quale confluivano i due libri già editi con l’aggiunta di un’antologia del disperso, partendo dal 1951 anno dell’esordio. Giusto quarant’anni di attività poetica, che davano la misura di una voce peculiare nel panorama letterario del secondo Novecento italiano.

Ora, con la pubblicazione dell’Indulgenza del cielo si fornisce al lettore un quadro completo, integrando il volume precedente in una duplice direzione. In primis, dando struttura e forma al consistente materiale inedito prodotto dal 2005 ad oggi, che viene collocato nella prima sezione denominata I cavilli della memoria, quasi a definire criticamente la fase ultima di così lunga e fruttuosa vitalità poetica. In seconda istanza, procedendo a una più sistematica azione di recupero di quelle poesie della “prima stagione” che certo risentono del clima del tempo e per questo hanno una sicura rappresentatività storica. Per quest’ultima parte, le fonti da cui ho attinto sono il quadernone di Malaterra (Poesie 1952-1953) e il fascicolo dattiloscritto È morto il cantastorie (1952-1954), che hanno dato titolo rispettivamente alla seconda e terza sezione. In verità, sia il primo che il secondo danno corpo al tentativo di approntare una raccolta per la stampa: hanno in comune delle poesie, magari talvolta con varianti, ma anche preziose difformità di cui non è il caso di dare conto in questa sede.

Malaterra registra in copertina la seguente dichiarazione d’autore: “Il 90% di queste poesie sono esercitazioni, non vanno prese in nessuna considerazione”. Un’affermazione troppo perentoria per essere vera, sapendo con Pessoa che il “poeta è un fingitore”; e poi, a smentita de facto, qui sono contenuti molti dei componimenti poi passati in Paese giorno e notte. Del resto, una mano sapiente, che credo di sapere a chi appartenga, ha chiosato “bugiardo”! Del fascicolo È morto il cantastorie abbiamo due versioni non coincidenti: una nelle carte del poeta che vado orgoglioso di conservare, l’altra donatami da Rocco Mazzarone perché la restituissi a nuova vita. Mario gliela aveva data nel 1954 per ricevere un parere; e la risposta, allora come in seguito, fu di pieno incoraggiamento ad andare avanti. Ho seguito la copia Mazzarone, perché si presenta in pulito (tranne due piccole cancellature e la correzione di un errore di battitura), facendo pensare, almeno a quell’altezza, a una definitiva scelta dell’autore; invece nell’altra il dattiloscritto contiene decisi interventi autografi, quasi un brogliaccio di lavoro

Devo precisare che Trufelli, questa volta, ha rinunciato alla voglia d’intervenire su poesie risalenti a quasi settant’anni fa; anche se la tentazione c’è stata. Forse perché ha capito che ogni epoca ha la sua poesia e che un appiattimento delle modalità di scrittura tradisce la parola quale frammento di vita. Solo, al v. 9 di Cantatemi una nenia (in Malaterra) ha aggiunto “immaginifica” a fronte di un visibile errore di battitura

La sezione I cavilli della memoria apre introducendo immediatamente il lettore nella gioia dell’inedito dopo circa trent’anni di silenzio, troppi per il pubblico degli “affezionati” su cui Trufelli da sempre può contare. Complice il poeta, che ha dichiarato apertis verbis il desiderio di vedere rappresentata la sua condizione interiore, la sezione è organizzata secondo un itinerario “ideale” cui difficilmente avrebbe risposto una vincolante successione cronologica, peraltro non sempre facile da stabilire. Sicché, forti comunque dei due estremi temporali che ne delimitano l’esperienza, si è lasciato che le date – quando c’erano – si perdessero per strada, assumendo i componimenti piuttosto una dimensione dello spirito.

Una volta entrato in sintonia nel nuovo clima che da sé si diffonde, il lettore più facilmente potrà immergersi nel passato, valutando e assorbendo lo scarto, la cifra che è mutata. Per Malaterra ed È morto il cantastorie viene rispettata la successione che i componimenti hanno nei rispettivi luoghi di origine, riportando le date solo là dove ci sono. A quest’ultimo proposito, è da precisare che in Malaterra le poesie L’infinito, Meriggio, Incontri, Attesa, L’abito sacro essendo datate “1951” discordano rispetto agli estremi cronologici dal poeta indicati (1952-1953); mentre in È morto il cantastorie le poesie sono prive di data.

Questo libro nasce dal piacere di un lavoro in comune; il critico (anche il filologo) e il poeta hanno agito in assoluta libertà nel rispetto reciproco dei ruoli. Né ha fatto in alcun modo velo l’intenso rapporto di amicizia; anzi, esso ha favorito la diversità di valutazione ove ci sia stata.

Non mi è parso opportuno appesantire con apparati di varianti e notizie erudite; questi non sempre risultano funzionali al gusto euristico della scoperta. C’è qui quanto basta. A chiarire le coordinate storico-critiche della poesia di Trufelli ci pensa lo scritto postfativo.

                                                                                     F.V.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.