Lettera 22
MARIO TRUFELLI
Anni nell’ombra
ma quasi in agguato.
Finalmente sei uscita dal silenzio.
Il tuo ticchettio
riempie lo studio di ricordi.
Un diluvio di reportage
sulle guerre, sul destino
degli uomini indifesi;
eri sempre sotto gli occhi
di chi t’interrogava
sulla tastiera rossa amaranto.
Sei tornata
riprendi a scrivere
a raccontare pensieri,
e favole di poesia.
Da I CAVILLI DELLA MEMORIA, p. 21
Leggo Lettera 22 e subito mi viene in mente la foto che ritrae Indro Montanelli seduto in un corridoio del Corriere della Sera con la macchina da scrivere appoggiata sulle ginocchia. L’immagine è stata riprodotta anche nel monumento che hanno dedicato a Montanelli a Fucecchio, suo paese natale.
La Lettera 22 sostituì negli anni 50 il modello Olivetti MP1, uscito nel 1932 e con la quale la confondo, non ricordando la differenza. Mio padre aveva acquistato il primo modello nel 1941, sul quale mi incaricava di scrivere sue lettere d’ufficio e personali, e certamente la sostituì con la vera Lettera 22, con la quale ho scritto anche molti articoli del giornale murale di Rocco Scotellaro Freccia Rossa. Una volta inserii un mio articolaletto firmato, con senso di colpa, Martin Lutero; Rocco aggiunse a matita, tra parentesi, le iniziali maiuscole del mio nome; io mi schernii, ma intanto mi ero gonfiato d’orgoglio come un rospo. Nella tastiera mancavano i nmeri “1” e “0” e li si otteneva con la “i” maiuscola) e la “O”. Mancava anche l’accento, per cui ogni lettera da accentare era scritta seguita da un apostrofo.
Oltrechè di Montanelli, divenne la macchina da scrivere preferita da Pier Paolo Pasolini ed Enzo Biagi. Ùn esemplare è oggi esposto al MoMa di New York, tra gli oggetti più iconici del design italiano di sempre.
Nello studio dell’avvocato De Maria la Lettera 22 non si lasciò sopraffare dalle professionali Remington e dalla Olivetti col doppio carrello. Con la Remington scriveva Vincenzino Scaiella che, messo di fatto in pensione, continuava a pigiare tasti sulla Remington copiando testi di preghiere; Titina, non potendosi iscrivere a Matematica con la sua abilitazione magistrale e non volendo starsene con le mani mano, pian piano, con rispetto e delicatezza, riuscì a sostituire Vincenzino e la Remington con una Olivetti col doppio carrello.
La Lettera 22 fu poggiata sulla scrivania di don Mimì, che scriveva le sue lettere personali e le sue memorie. Quando tutto cambiò, con Titina ce la portammo a Modena e a Ferrara; continuammo ad adoperarla per un certo periodo, poi la relegammo bene in vista in uno stanzino e infine nel c.d. garage.
Le prime due poesie dell’Indulgenza del cielo sono Lettera ventidue e Il sillabario. Il prof. Franco Vitelli affida a questi primi due componimenti quasi un valore proemiale. «In apertura della sezione dei Cavilli della Memoria »– egli scrive – «due oggetti, la macchina da scrivere e il sillabario, quasi correlativi oggettivi vogliono rendere di forte suggestione la ripresa. L’elogio in versi della Lettera ventidue esprime la gioia liberatoria per la fuoriuscita dall’incubo dell’afasia poetica,« gli anni nell’ombra» sono lontani («Finalmente sei uscita dal silenzio», «Sei tornata / riprendi a scrivere / a raccontare pensieri, e favole di poesie»). La titubanza è vinta, non più la posizione di «agguato», ma l’entrata nel gioco in piena regola, sicché «il ticchettio / riempie lo studio di ricordi». Non è forse un caso la scelta della lettera ventidue diventata celebre al seguito di grandi inviati speciali e che qui serve a coniugare in forma unitaria l’esperienza di Trufelli giornalista e poeta». (Postfazione, pp. 200-1)
“eri sempre sotto gli occhi / di chi t’interrogava / sulla tastiera rossa amaranto”. Non la tastiera, bensì la carrozzeria era rossa amaranto, ed era più bella. Io preferivo la classica: nera, come giace nel garage.
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Altra poesia, altra delizia!
Trattandosi di Olivetti, mi viene naturale pensare anche a un altro grande lucano:Leonardo Sinisgalli, ideatore della “rosa nel calamaio”, pubblicità di una macchina per scrivere dello stesso marchio.
E poi, la Lettera 22 mi emoziona, perché mio padre, che non era avvocato né letterato né giornalista, ma guardia campestre, ne possedeva comunque una e la usava, tra l’altro, per fare la “conta bestiame”; perciò ricordo elenchi di… “nome… cognome….pecore 300, mucche 10, capre 20…” con la carta carbone. Bei tempi!