Rocco e i suoi fratelli, il film di Luchino Visconti selezionato tra i 100 film da salvare, esce in un arco di tempo straordinariamente fecondo, che vide produrre La dolce vita L’avventura, Accattone Banditi a Orgosolo, Il posto II sorpasso, Signore e signori Tutti a casa e altri. Rocco e i suoi fratelli affrontò il tema più scottante e meno narrato del momento: quello della grande migrazione dalle campagne del Sud alle grandi città del Nord, dei suoi costi umani e sociali, del suo significato economico e della sua svolta antropologica e di civiltà. […] Rocco è la storia dell’emigrazione di una famiglia lucana, non ispirata peraltro all’opera di Rocco Scotellaro, morto sette anni prima: ma il film avrebbe avuto un altro titolo se Luchino Visconti non avesse avuta grande ammirazione per il poeta di Tricarico.

Il titolo del film è infatti una combinazione tra Giuseppe e i suoi fratelli, opera del grande scrittore e saggista tedesco Thomas Mann, che Mann considerò la sua opera più grande, e il nome di Rocco Scotellaro. Giuseppe e i suoi fratelli è un romanzo in quattro parti, dove nel corso di 16 anni Thomas Mann riscrive le storie familiari della Genesi, dal patriarca Giacobbe a Giuseppe, ambientato nel contesto storico del periodo amarniano: 1353-1336 a.C. relativo a una tappa nella storia dell’Egitto.  

Il film è ispirato a Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, una raccolta di diciannove racconti pubblicata nel 1958, che fa parte di un disegno più ampio, una sorta di “commedia umana” dal titolo “I segreti di Milano”, “dove è rappresentato “il mondo della periferia milanese, popolato di poveri diavoli che tirano la carretta in fabbrica o a bottega ma anche di sfaccendati pronti a tutto, di prostitute e ragazzi di vita, di ladri e macrò con licenza di ricattare se non proprio di uccidere, di aspiranti campioni sportivi e di torbidi nuovi ricchi. I personaggi del Ponte della Ghisolfa sono tutti personaggi giovanissimi, operai, baristi, che, nella periferia di una Milano alle soglie del boom economico, lottano per sopravvivere, vivono nella periferia dai grandi casoni grigi (Roserio, la Ghisolfa, Porta Ticinese), s’incontrano nei bar, frequentano le palestre coltivando la speranza di diventare campioni di ciclismo o di pugilato, passano le domeniche nei “cine” o nelle sale da ballo, s’innamorano.

La storia raccontata nel film è divisa in cinque parti, che prendono ciascuna il nome dai cinque fratelli del film: Vincenzo, Simone, Rocco, Ciro e Luca ed elenca modi diversi di reagire ai nuovi tempi e alla nuova cittadinanza: l’adesione passiva all’ordine del Nord e di una città piuttosto ostile, l’ambizione al successo più rapido, il sacrificio necessario perché gli altri riescano, l’adesione attiva alla parte più cosciente della nuova società che è quella del proletariato di fabbrica, il sogno del ritorno a un Sud non più povero e in un’Italia infine unita e solidale. […] Alle spalle dei cinque modi di reagire alla città del Nord e a una nuova vita, c’era la Basilicata contadina delle lotte fallite, la morte del padre, un passato che stava ancora passando.

Le cose che Visconti volle mettere in Rocco furono tantissime, pescando a piene mani da una cultura allora considerata ‘la cultura’: la tragedia greca e Thomas Mann (Giuseppe e i suoi fratelli); Carlo Levi e il suo Cristo si è fermato a Eboli, che aveva fatto scoprire in tutto il mondo la Basilicata e la civiltà contadina; Dostoevskij e il suo eterno dilemma e gli eterni scambi e compenetrazioni tra Bene e Male; Vasco Pratolini e il citato Testori.

Il cognome (Pafundi) che originariamente la sceneggiatura attribuisce a Rocco, ritenuto tipicamente lucano, corrispondeva anche a quello di un vescovo, di un alto magistrato, di un senatore e di un generale, ma anche a quello di una persona finita in carcere con l’accusa di aver ucciso la sua amante. A Tricarico viveva un facchino di nome Pafundi, originario di un paese che non nomino: abitava a via Monte, aveva due figli, un ragazzo che intraprese il suo stesso mestiere e una ragazza tra le più belle di Tricarico. Si diceva che Pafundi fosse stretto parente, o addirittura il fratello di uno di tali illustri personaggi.

Quando il film era stato ormai girato tutto, i giornali di sabato 11 giugno e di lunedì 13, del 1960, pubblicarono la notizia che il dottor Rocco Pafundi, figlio dell’ex procuratore della Corte di Cassazione, aveva presentato contro Goffredo Lombardo, il regista Luchino Visconti, i soggettisti Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa un ricorso innanzi al pretore capo di Roma, chiamando in giudizio tutti i sunnominati per aver dato il nome di Rocco Pafundi al protagonista del film, e chiedendo di “togliere entro breve termine il nome civile e familiare del ricorrente da ogni scena e dalla colonna sonora del film e, nel caso di inadempimento, il sequestro del film in tutte le copie esistenti”.

Visconti si giustificò dicendo che in Lucania i Pafundi si contano a centinaia e di aver scelto questo cognome perché Suso Cecchi D’Amico, di ritorno dalla Germania dove aveva curato la sceneggiatura dei Magliari di Franco Rosi, gli aveva parlato con entusiasmo di un operaio, lucano, incontrato per caso, che si chiamava Vincenzo Pafundi, un ragazzo straordinariamente in gamba. Visconti decise quindi di prendere in prestito questo cognome e cambiare il nome di battesimo con Rocco, in memoria di Rocco Scotellaro per il quale egli nutriva una grandissima ammirazione. Rocco, il ragazzo lucano del film, assunse quindi il cognome Parondi al posto di Pafundi.

Concludo descrivendo la trama del film. Confesso che lo scritto non è mio, ma è il risultato di un’operazione copia/incolla di una buona trama descritta su un sito internet.

« Alla morte del padre, un ragazzo lucano, Rocco Parondi, protagonista di questa storia di emigrazione dalla Lucania, su iniziativa di sua madre, Rosaria, raggiunge insieme a lei e ai suoi fratelli, Simone, Ciro e Luca, il loro fratello più grande, Vincenzo, emigrato già da qualche tempo a Milano,  nella speranza di cambiare vita. Al loro arrivo scoprono che Vincenzo sta festeggiando il suo fidanzamento con Ginetta, anche lei figlia di emigrati lucani, ma ormai già ben inseriti a Milano. Quando la madre richiama Vincenzo al suo dovere di provvedere prima d’ogni altra cosa alla sua famiglia d’origine in difficoltà, i parenti di Ginetta reagiscono e, temendo di doversi sobbarcare il peso dei nuovi arrivati, cacciano i Parondi in malo modo. Vincenzo, sentendosi in obbligo con i suoi familiari, lascia anche lui la festa e inizia a provvedere come può ai suoi cari. Dopo le difficoltà iniziali tutti i giovani riescono a trovare una sistemazione: Vincenzo recupera il rapporto con Ginetta e obbliga le due famiglie in rotta ad accettare la relazione con un matrimonio riparatore. Rocco inizia a lavorare in una lavanderia. Ciro studia e trova lavoro come operaio in una fabbrica dell’Alfa Romeo, Simone si dà alla boxe boxe, mentre Luca rimane a casa con la madre. Nel frattempo, i giovani fratelli hanno fatto la conoscenza di Nadia, una prostituta che ha subito una relazione con Simone. In realtà Nadia considera Simone un cliente come un altro, ma Simone, viziato dalla madre, affascinato dalla ricchezza della grande metropoli lombarda e ingannato dall’illusione di ottenere facilmente molti soldi con il pugilato, si lega morbosamente alla donna, pretendendo di garantirle un tenore di vita che non è alla sua portata. Un giorno Nadia riceve in regalo una spilla che in realtà Simone ha rubato alla proprietaria della lavanderia dove lavora Rocco. Rendendosi conto del precipitare della situazione, Nadia restituisce la spilla a Rocco dicendo che sta lasciando per qualche tempo Milano, che non vuole più vedere Simone e che questi farà bene a dimenticarla. Alla notizia Simone reagisce in modo sprezzante, nascondendo così l’umiliazione d’essere stato abbandonato.

Un giorno, Rocco, partito per il servizio militare, incontra di nuovo Nadia che è appena uscita dal carcere. Seduti a bere un caffè, la donna ascolta la visione che Rocco ha della vita, rimanendone affascinata e quando lui le rivela di provare compassione per lei e l’incoraggia a ritrovare speranza nella vita, tra i due nasce un vero amore. Tornato a Milano, Rocco viene notato dall’allenatore di Simone che, deluso dall’indisciplina di quest’ultimo, ritiene che Rocco possa fare veramente strada nel mondo del pugilato. Nadia, intanto, rincuorata dalla bontà d’animo di Rocco, inizia a cambiare vita. Ma incombe su di loro la tragedia: Simone, deriso dagli amici del bar che frequenta, viene a conoscenza degli incontri tra il fratello e la sua ex amante e una sera, scortato da quegli stessi amici, segue Rocco e Nadia fino ai prati della Ghisolfa, dove i due s’incontrano abitualmente. Qui Simone stupra Nadia e picchia brutalmente il fratello. Rocco non solo non cerca vendetta, ma si convince d’essere il responsabile delle miserie di Simone, avendogli rubato la donna che lui amava. Così chiede a Nadia di lasciarlo per tornare con il fratello, certo che, recuperando questa relazione, Simone potrà redimersi. Nadia è sconvolta e, sentitasi tradita da Rocco, ritorna tra le braccia di Simone, ma solo per vendicarsi e sfruttarlo per soldi, al fine di rovinarlo; quest’ultimo comincia a condurre una vita sregolata che condiziona anche le sue prestazioni sul ring, inizia ad avere anche problemi di alcolismo, ricorre al furto e a prostituirsi anche lui con l’ex pugile Duilio Morini che ha cessato definitivamente di fare il pugile.

A differenza di Vincenzo e Ciro che cominciano a prendere le distanze da Simone, Rocco si prodiga in tutti i modi per aiutarlo, sotto la pressione della madre che, accecata dall’affetto per il figlio, scarica ogni responsabilità dei guai di Simone su Nadia. Proprio per ripianare i debiti del fratello, Rocco, che pure vorrebbe lasciare il pugilato per tornare al più presto al suo paese d’origine, decide di continuare la sua carriera tra lo stupore di Vincenzo e la rabbia di Ciro, che non comprendono l’ostinazione di Rocco nel voler redimere un fratello che sta gettando nel disonore una famiglia altrimenti onesta.

Spinto dalla volontà di riscattare suo fratello, Rocco s’aggiudica un difficile incontro che lo lancerà verso il successo. Ma proprio mentre Rocco sta disputando questo decisivo incontro, Simone, abbandonato anche da Nadia, scopre che è tornata a prostituirsi dalle parti dell’Idroscalo e la va a cercare per tentare di riaverla. Nadia lo respinge, Simone estrae un  coltello dalla tasca, si para davanti alla ragazza e la colpisce, uccidendola. Proprio al culmine dei festeggiamenti per la vittoria di Rocco, Simone fa ritorno a casa, e confessa al fratello l’omicidio di Nadia. Rocco, in preda alla disperazione, colpevolizza ancora una volta se stesso piuttosto che il fratello assassino, arrivando a offrirgli riparo in casa. Ma Ciro si ribella a questa decisione ed esce di corsa da casa per andare alla polizia a denunciarlo. Simone sarà trovato e arrestato tre giorni dopo. Qualche tempo dopo, il piccolo Luca va a trovare Ciro durante una pausa di lavoro del fratello maggiore e gli rinnova le accuse d’aver tradito il proprio sangue. Ciro replica usando parole d’affetto sia verso Rocco, troppo legato a un mondo che il boom economico sta cancellando, sia verso il fratello incarcerato, che da questo boom è stato in qualche modo travolto, e racconta al piccolo le sue speranze di un mondo migliore, nel quale le persone non saranno più costrette a emigrare per trovare pane e giustizia. Ma la sirena suona, richiamando tutti gli operai dentro; Luca si accomiata da Ciro e lo vede da lontano incontrarsi con la sua fidanzata con la quale costruirà presto una nuova famiglia. Lo saluta ancora una volta dicendogli che tutti i fratelli l’aspettano per la cena e, riprendendo la strada di casa, passa davanti a un muretto dove sono esposte le foto del pugile Rocco, eroe del momento suo malgrado. »

Durante le riprese nell’aprile del 60 il presidente della provincia di Milano, Aldo Casati, vietò le riprese all’Idroscalo perché considerava la pellicola un’opera “non molto morale e denigratoria”. Vennero poi girate sul lago di Fogliano in Lazio. In seguito, dopo lunghe discussioni con la magistratura, il produttore della pellicola Goffredo Lombardo con la sua Titanus accettò di oscurare una sequenza di 15 minuti, incentrata su uno stupro, e di mandare in sala le copie in cui la scena era intuibile, ma non visibile. Tutto ciò ad insaputa del regista Visconti, che chiese il sequestro delle copie oscurate. Nel 2015 il film è stato restaurato in HD dalla Cineteca di Bologna con l’aggiunta delle scene censurate, è stato proiettato in anteprima mondiale prima in Francia al Festival di Cannes e poi alla Rassegna “Il Cinema Ritrovato” in Piazza Maggiore di Bologna. 

 

3 Responses to Rocco Scotellaro e Rocco Pirondi nel grande film di Luchino Visconti

  1. Rachele ha detto:

    Prima di leggere, bentornato! Finalmente!

  2. Angelo Colangelo ha detto:

    Antonio, mi complimento per l’interessante articolo, come sempre puntuale nella documentazione e accurato nelle argomentazioni, che racconta il grande film di Visconti e sgombra il campo da molti e ineveterati equivoci.

  3. Maria Paola Langerano ha detto:

    “Rocco e i suoi fratelli”. Ricordo ancora l’inquietudine, dopo averlo visto accanto a mia mamma, in una delle nostre notti cinefile. Ringrazio Antonio Martino di avermi accompagnata per mano nel cuore di quella indimenticabile pellicola, raccontandomi una storia che non avrei potuto altrimenti conoscere.

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