UN LIBRO DI EMILIO GENTILE: CAPORALI MOLTI, UOMINI POCHINI – LA STORIA SECONDO TOTO’, Laterza Bari-Roma, pagg, 178, € 14 – Recensione di Goffredo FOFI, Il Sole 24 Ore, Domenica, 15 novembre 2020

Appartengo alla schiera oggi molto ristretta di chi è cresciuto nell’Italia della ricostruzione e, di famiglia illetterata, si è nutrito del cinema più popolare del tempo, soprattutto italiano, e ha potuto vedere, ascoltare, leggere i prodotti di una cultura popolare che era allora vitalissima. Come i Copioni da quattro soldi raccolti a suo tempo dal bravissimo Vito Pandolfi, o l’altra bella rassegna stabilita da Roberto Leydi in La piazza, due libri oggi introvabili anche se del primo la Cue Press ha annunciato la ristampa.

Nonostante fossero quasi sempre vietati ai minori e condannati dal Ccc (il Centro cattolico cinematografico), riuscii a vedere da bambino anche molti film di Totò, perché l’uomo che strappava i biglietti nel cinema del paese (quello non “dei preti”) era un mio zio. Insomma, ho goduto di Totò “in diretta” col suo tempo, e lo considero un privilegio. Poi, finita la festa, arrivano sempre, come si sa, i professori, che però ci hanno messo tantissimo ad arrivare nonostante, nel caso di Totò e della sua arte si fossero bene accorti alcuni rari e veri poeti (non i professori) come quel Palazzeschi che osava perfino gridare «viva il technicolor, abbasso il neorealismo!».

Visto dapprima con supponenza, con rare eccezioni (De Mauro!), a partire dal ’77 a scrivere di Totò si sono dedicati in tanti, professori e non, e Totò è diventato una sorta di “grillo del focolare” degli italiani, diceva Paolo Volponi, considerando l’apparecchio televisivo il focolare moderno degli italiani, prima dell’avvento del computer.

L’abuso annoia, e a quel lungo e ridondante successo è succeduta una fase in cui Totò è quasi scomparso dalla scena mediatica. Fino a oggi, al prezioso saggio di uno storico, Emilio Gentile, che ci ha spiegato molte cose importanti sugli anni del fascismo e della guerra. Un “professore”, diciamolo, ma che ha avuto un’infanzia in cui un padre e una madre non professori hanno saputo comunicargli l’amore per Totò; e questo ha per me una certa importanza, visto che il mio primo libretto su Totò era dedicato per lo stesso motivo ai miei genitori semianalfabeti, amanti del grande comico e dei film di Raffaello Matarazzo.

Ma l’interesse primo di questo imprevedibile saggio di Gentile, che sa unire un saldo mestiere a una altrettanta robusta curiosità e passione per “il principe de Curtis in arte Totò”, sta nel ricostruire la biografia di un artista, amato dal popolo e guardato con sufficienza dai borghesi, anche comunisti. La Storia aveva coinvolto o aggredito anche lui, ed egli aveva ragionato sulla Storia a suo modo, da artista vero e grande e da cittadino comune ma di non comune esperienza e di non comune intelligenza. Ragionante e giudicante.

Totò non era certamente una persona superficiale, e le sue idee sul mondo nascevano da una vita che ha avuto un privato e un pubblico non sempre tranquilli e che gli imposero in più modi un ruolo attivo, più complesso e prudente che nel comune cittadino. L’arte, e l’arte di arrangiarsi, e l’arte di affrontare la Storia con le sue crudeltà e miserie senza farsene sopraffare. Gentile ci aiuta ad apprezzare l’intelligenza e la morale del grande comico, una morale formatasi tra le trappole dell’esistenza e i ricatti del bisogno.

Seguire i modi in cui Totò ha saputo tener testa alla Storia e formarsene una propria idea, arrivando a un suo modo di affrontarla e giudicarla è il pregio maggiore di questo saggio, competente e istruttivo, divertente, originale e, in definitiva all’altezza del compito che si è dato, e del suo personaggio. Nonostante la mia diffidenza per i “professori”, che appartengono più facilmente di altre categorie, e forse oggi più che mai, alla schiera dei “caporali”, questo è un bel libro!

Un unico appunto vorrei però fargli, che riguarda la non considerazione dell’autore per gli sceneggiatori dei film di Totò che, come i registi, finirono per essere dei sodali al servizio del comico, ma offrendogli situazioni e battute sulle quali egli poteva ricamare in modi unici e formidabili. Lo stesso Siamo uomini o caporali? che vede anche Totò nel gruppo degli sceneggiatori (e mi sembra sia l’unica volta in cui questo è successo) fu scritto insieme alla coppia Nelli e Mangini, con Metz e col regista del film Camillo Mastrocinque. Tutti a servizio del personaggio, ma anche in qualche modo, pur se secondario, coinvolti nella sua definizione. E quando Gentile cita il discorso di Totò a Carolina sull’importanza di ciascuno nell’ordine della vita, nel film di Monicelli che fu tra quelli di Totò il più tartassato dalla censura democristiana, trascura che a scriverlo fu anche Ennio Flaiano, e di notare che il discorso di Totò somiglia moltissimo a quello del Matto a Gelsomina in La strada, che fu scritto, con Fellini, ancora da Flaiano.

 

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