DA L’INDULGENZA DEL CIELO: POETICA (26), SFOGGIO DI SAPIENZA (48), RITORNO (42), NEVE (54), PASTORALE LUCANA (57), RIPRESA (25), A MOSCACIECA (29); LA MINUSCOLA RIVA (41), LA MATERA DEI SASSI (122), LE SCALE DEI SASSI (123) – POSTFAZIONE PROF. FRANCO VITELLI PAGG. 202-03.

La poesia nasce proprio nel «farneticare delle attese», quando si è alla ricerca del senso e della direzione del vivere; la quale non può
che procedere «controvento», a ritroso come il ragazzo che nel profumo dell’acacia ritrova il flusso delle voci magnetiche che circolavano nella casa dell’infanzia: il «ragazzo è un uomo / inseguito dai ricordi» e lì deve ritornare nei modi che la nuova realtà consente. Perché «il tempo si beve / tutto ciò che amasti, ragazzo / cresciuto nella frenesia dei ricordi» (Sfoggio di sapienza). Non ha senso creare una contrapposizione artificiale tra padri e figli, rinnegando i luoghi delle origini; tanto più che a guardarsi intorno «tornerà più vero / il volto nello specchio del comò» (Ritorno). Verso, questo, prelevato dal racconto Il Piccininno: «Mi rivedo dentro lo specchio del comò che aveva al centro una macchia grande quanto una medaglia, e quella macchia cadeva sempre sull’occhio sinistro quando mi specchiavo».
Trufelli conosce bene il nucleo forte dell’identità che deriva da un mondo che pur afflitto dalla povertà garantiva certezze comunitarie e fede nella persona. Ed è per questo che in una commistione spazio-temporale il «ragazzo ridisegna / con la matita del cuore / le cadenze del passato»; ovvero, con palese interferenza tra maturità e infanzia in un paesaggio innevato capita che «guardi la scena dal balcone / e affondi nell’infanzia» (Neve), dove colpisce il grumo analogico del precipitato poetico.
Può accadere, e ciò diviene motivo di amaro turbamento, che si verifichi un cortocircuito che spezza i legami; come in Pastorale lucana, che riecheggia nel titolo Philip Roth: «Altri tempi! / Parole di commiato. / In lontananza un cane abbaia. / Tu gridi il suo nome / ma il cane che abbaia / non ti riconosce». Questa difficoltà nel restauro della corrispondenza è pure frutto di uno choc sentimentale che ha creato una certa confusione interiore, ma oramai «Lo stridere dei cancelli arrugginiti / ha riaperto un po’ di storie/ consumate nell’esilio dal paese» (Ripresa). La ferita si è rimarginata e la funzione attiva della memoria riprende il suo corso. L’esame di coscienza prudentemente si svolge in terza persona, quasi a creare cautela nei confronti di eventuali cadute e fallimenti che rischiano di far «perdere la gioia / di quando si giocava a moscacieca / nel delirio dell’adolescenza» (A moscacieca).
Talvolta, il ritorno al passato avviene, come in La minuscola riva, addirittura attraverso il riuso di antichi versi, nella fattispecie quelli di Malaterra appena modificati. Il fiume, pur esangue, mantiene
«rivoli di sopravvivenza» e «rinasce a tutte le stagioni»; il che vuol dire che l’identità può essere fissata. Rimane il vanto delle origini, anche se non manca lo scacco di una non raggiunta pienezza:«Cerco la stella che m’incantava / ma Andromeda si nega / all’occhio del profano».
Trufelli dedica alle sue successive patrie, Matera e Potenza, due componimenti che, anche per la centralità della collocazione, assumono rilievo. In La Matera dei Sassi sembra s’insinui il tarlo del dubbio circa gli antichi rioni che appaiono un «simulacro» con le grotte «straniate» per la vita rimasta fuori per decenni. Una riserva di natura ideologica che tuttavia non va sino in fondo se è capace comunque di provocare la catena dei ricordi. In Le scale di Potenza, al di là dei limiti urbanistici, Trufelli si accorge della bellezza della città a guardarla dalla collina di Poggiocavallo; ma l’amarezza prende quando scopre che, a dispetto di tutti gli sforzi per arrivare in via Pretoria, in essa «lo struscio non ha più memoria». La strada ha perso cioè il ruolo di aggregazione comunitaria che anticipa anche una crisi dal risvolto economico. In entrambi i casi, il poeta si rivela attento osservatore delle dinamiche sociali che attraversano le città lucane.

POETICA

È nel farneticare delle attese
che si coglie l’attimo dell’ispirazione.
Quante attese sotto un angolo di cielo
con i battiti del cuore
e la voglia di volare.

SFOGGIO SI SAPIENZA a Paolo Albano

Liturgia di lontani eventi,
la mano sulla testa di Giosuè
il cane di gesso, simulacro
al centro del tavolo
con tante cicatrici.

Il tempo si beve
tutto ciò che amasti, ragazzo
cresciuto nella frenesia dei ricordi.
T’incantavi alle cadenze lunari
nascevano sogni e fantasie,
soliloqui e domande intriganti.

Ora racconti storie, fai sfoggio
di sapienza, accenni a
risposte tra “un inciampo
un impulso, una speranza stordita”.
Ricordi?

“Chiarezza degli alberi dopo il diluvio
la montagna ha scoperto vene variopinte.
Una speranza adesso ti consola
per un altro diluvio”.

Il piede solleva polvere d’oro,

RITORNO

Ben tornato, dirai, nella mia casa
con la fede di un tempo e l’orgoglio
che ti fecero uomo nel paese.
È assurda la guerra dei figli contro

il padre. Tu conosci la tramontana,
la casa se la porta nei letti
dal camino. Guardati in giro
tornerà più vero
il volto nello specchio del comò.

NEVE

Sulla strada
innevata, uno scivolare
lento dei passi.
Il paesaggio si apre
al gioco dei bambini.
Guardi la scena dal balcone
e affondi nell’infanzia.

PASTORALE LUCANA

Nell’aria dormiente del gregge
ti capiva il cane.
Il sibilo della serpe
ti raccontava favole.

Con un fischio
ritrovavi la pecora smarrita.
Con un urlo
scacciavi gli uccelli predatori.
Dormivi e sognavi come la talpa
nella capanna
di frasche e paglia,
arrotolato nel tuo mantello
carico di ricordi.

Le anime dei morti
vagavano in solitudine.

La tua pazienza
diventava delirio
nel delirio dei temporali
hai vissuto
il silenzio dell’esilio pastorale.
Altri tempi!
Parole di commiato.
In lontananza un cane abbaia.
Tu gridi il suo nome
ma il cane che abbaia
non ti riconosce.

RIPRESA

Voglio più memoria, di certo
per rivivere il mio passato.
Lenti, solenni rintocchi
hanno creato frastuono nella testa.
Lo stridere dei cancelli arrugginiti
ha riaperto un po’ di storie
consumate nell’esilio dal paese.

A MOSCACIECA

Si scrive in terza persona
per nascondere la propria vita
i propri sogni, le delusioni
i fallimenti?
I frammenti del passato
che si vanno perdendo?
Per non perdere la gioia
di quando si giocava a moscacieca
nel delirio dell’adolescenza.

LA MINUSCOLA RIVA

All’ansa del fiume rapidi saluti.
Ricordi? “Sei la minuscola riva, l’acqua
limpida, specchio della luna;
un pezzo di mare al tuo posto
mi spaventerebbe”.
Ora sai dove trovarmi
sono di questo fiume
che si dissangua, ha ritmi sciupati
ma rivoli di sopravvivenza
rinasce a tutte le stagioni.
Di qui è passata la mia giovinezza.
I grilli gremiscono la notte
di sentieri misteriosi.
Cerco la stella che m’incantava
ma Andromeda si nega all’occhio del profano

LA MATERA DEI SASSI

Si può essere un pellegrino
tra le grotte straniate dei Sassi.
I falchetti girano al largo
lontani dalle voci, dai suoni
dai frastuoni familiari.
Si sogna a occhi aperti,
si entra in una grotta
vuota, estranea alla vita da decenni,
ci si immerge nei ricordi.

La Matera dei Sassi è un simulacro

LE SCALE DI POTENZA

La città si fa spettacolo
dall’alto della collina
di Poggiocavallo che la sorveglia
da millenni.
Le fa da sfondo il cielo
la disegna
nelle notti di luna.
Le scale di Potenza…
Un continuo dissidio
tra cielo e terra.

Per i santi le scale
portano in paradiso.
Nella fantasia dei poeti
diventano sogni impossibili.

A Potenza
portano tutte in via Pretoria,
dove lo struscio
non ha più memoria.

 

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