IL GRANDE INCONTRO TRA STALIN E PIO XII
LA STORIA IN CONTROTEMPO: GUIDO MORSELLI
Un fumetto del grande Hugo Pratt racconta la storia di Stalin campanaro a Venezia nella chiesa di San Gregorio Armeno, che nulla lascia dubitare non sia vera. Guido Morselli ha raccontato la storia “ucronica”, non vera ma possibile, di un grande incontro tra Stalin e Pio XII.
Col termine “ucronia”, letteralmente “nessun tempo”, si indica la narrazione di quel che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente, per esempio – ma di esempi se ne potrebbero immaginare infiniti – se Napoleone avesse vinto a Waterloo, o se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale o se Mussolini non fosse sceso in guerra al fianco di Hitler. Non sono invece considerate ucroniche le storie ambientate in un’epoca futura rispetto a quella in cui sono state scritte, come ad esempio il romanzo 1984 di Orwell scritto nel 1948.
Non è il grande incontro la sola storia ucronica raccontata da Morselli, ma il terzo. Gli altri due sono «Contro passato prossimo» (1975), nel quale immagina che la prima guerra mondiale sia stata vinta dagli Imperi centrali, e «Roma senza papa» (1974), in cui s’immagina il futuro della Chiesa cattolica alla fine del Novecento, sotto un papa irlandese, Giovanni XXIV, che ha abbandonato il Vaticano per vivere in una villetta a schiera a Zagarolo.
Conviene ora presentare l’autore di questa storia e l’incredibile sua vicenda di scrittore, presentata nella Storia della Letteratura italiana diretta da Enrico Malato, vol 18, pp. 995 ss, come storia in controtempo. «A volte – si legge – l’industria editoriale, pure così attenta a sfruttare “casi” letterari, cui manca spesso un intrinseco valore, non si accorge di ciò che rifiuta. Vittima in primo luogo delle proprie turbe esistenziali, ma certamente anche di questo tipo di abbaglio , Guido Morselli (Bologna 1912 –Varese 1973) ha riconosciuto questo tipo di risarcimento postumo, promosso in buona misura dalla clamorosa circostanza del suicidio». Tema, questo del suicidio, comunque costante nella sua indagine di studioso e nella sua narrativa.
Qualche ora prima di suicidarsi Morselli aveva trovato nella cassetta della posta due manoscritti respinti dagli editori, che facevano seguito a una lunga serie di rifiuti. Non c’è forse, nella storia della letteratura contemporanea, scrittore equiparabile a Morselli per la singolarità della vicenda personale, culminata prematuramente nel suicidio, e l’accanimento dell’industria editoriale nel rifiutare ogni suo tentativo di pubblicare. Da leggere le lettere di rifiuto di Italo Calvino, di Vittorio Sereni, e lo spietato cinismo di Piero Chiara, di cui non si può non lasciare una traccia con le contraddizioni di cui l’autore non si cura. Riferisco quindi quanto Chiara ancora pubblica nel 1977 sul Corriere del Ticino, rubrica ‘Sali e Tabacchi’?: « Guido Morselli… era un uomo difficile, carico d’orgoglio, convinto di una superiorità intellettuale destinata a restare intangibile da parte degli organi editoriali e sdegnosa di ogni successo. Nulla gli sarebbe spiaciuto più del mondan rumore, della popolarità. Anche se sotto sotto la desiderava, come uno che muore dalla voglia di pastasciutta o di barbera e non tocca che caviale e champagne… Mai che mi parlasse di un manoscritto qualsiasi o di un romanzo. Tutt’al più parlava delle sue altissime letture. Non si sarebbe mai umiliato al punto di domandarmi un parere e tantomeno un appoggio… Mi meraviglio nel sentire che aveva mandato dei manoscritti agli editori: era uomo da aspettare che glieli chiedessero in ginocchio. Occorrerebbe solo domandarsi perché certi autori diventano buoni dopo morti… ma nel caso di Morselli, è proprio vero che fu sacrificato un grande scrittore? Ora, con davanti il suo discreto successo post mortem, si può parlare di uno scrittore ‘diverso’, mitteleuropeo, ecc. Ma a guardar bene, quel suo manierismo superdosato di cultura potrebbe benissimo venir rifiutato anche oggi…
Morselli non si uccise dopo aver visto sul tavolo un plico con l’ennesimo manoscritto restituito da una casa editrice… Tornando da un viaggio in preda a una forte malinconia o al taedium vitae che lo affliggeva, compì il suo gesto. Se avesse avuto qualcuno a tenergli compagnia, probabilmente avrebbe superato come chissà quante altre volte la crisi di sconforto che l’aveva preso.
Depresso per la solitudine di quella sera, per il disamore in cui si sentì caduto, per la sua incapacità a legare col mondo e a viverci anche senza gloria e senza altra buona fortuna oltre la sicurezza del benessere che in verità non gli mancò mai, si licenziò dal mondo con un atto di volontà più eloquente di ogni libro, lasciandoci il rimorso di non averlo compreso ».
Parole spietatamente ciniche, come detto, quelle di Chiara. In verità con una produzione (postuma) che merita di situarsi nell’Olimpo dei grandi scrittori del Novecento e con peculiarità stilistico-narrative che lo collocano più a livello europeo che nazionale (non è infatti assimilabile ad alcun modello italiano), Morselli rappresenta un singolare caso letterario: l’emblema dell’inedito per eccellenza. A partire dall’anno successivo alla morte, l’editore Adelphi iniziò la pubblicazione delle sue opere, inaugurata da Roma senza papa. Cronache romane di fine secolo ventesimo e continuata con Contropassato prossimo e Divertimento, Il comunista, Dissipatio H.G. e i saggi Fede e critica, Un dramma borghese, Incontro col comunista, Diario, La felicità non è un lusso. Moravia disse che Morselli aveva fatto malissimo: siccome era ricco, avrebbe potuto fare come lui, che a vent’anni pubblicò a sue spesse Gli indifferenti.
Il racconto inedito Il Grande Incontro uscì in soli trecento esemplari di lusso numerati e con una copertina curata dall’artista Barbara Nahmad per la prestigiosa casa De Piante.
Un libro di 34 pagine al prezzo di 30 euro!
Si tratta di un racconto ambientato nell’anno giubilare 1950 – e probabilmente scritto negli anni 1955-1956 -, che mette in scena un incontro segreto fra Stalin e Papa Pio XII (personaggi mai nominati, ma ben riconoscibili).
A fine febbraio 1953, in piena Guerra Fredda, il Maresciallo, prima di morire (una settimana dopo, il 5 marzo 1953), avrebbe tentato un riavvicinamento tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica. Lo scenario del tentativo diplomatico di incontro tra le due altissime personalità, non così lontano dalla realtà, in questo caso è, come si è detto, un’ucronia, un’ipotesi retrospettiva possibile, anzi probabile. «Se la politica è l’arte del possibile, la storia è la scienza del probabile», dice del resto Morselli.
Ovviamente Stalin non è mai andato dal Papa in Vaticano. Si tratta del racconto inedito di un autore “di culto” pubblicato sul Domenicale del Sole 24 Ore del 29 settembre 2019, che riporto integralmente.
L’INEDITO DI GUIDO MORSELLI
QUANDO STALIN ANDO’ DAL PAPA IN VATICANO
Pallido e con la fronte un poco madida, ma calmo, quasi freddo, il Personaggio in bianco aveva lo sguardo al crocifisso ritto all’angolo della scrivania. Ascoltava. «Non ci sono ostacoli, – ripetè l’altro. – Ma il regime ha bisogno di consolidarsi. La penetrazione universale delle nostre ideologie, l’estensione, la rapidità delle nostre conquiste, sono indubbiamente fattori positivi. Ma non bastano. È della loro consistenza, della loro durata che io voglio assicurarmi. Ciò che Vi offro è una conciliazione “de facto”, ciò che Vi chiedo è una consulenza. I nostri due governi, in realtà, si assomigliano.» Senza volger la testa il primo Personaggio proferì, adagio: «Che ci può esser di comune, fra la Cattedra di Pietro ed un governo fondato sulla sopraffazione e l’iniquità, disposto alla violenza sacrilega…» «Parecchio di comune, – asserì l’altro, temerariamente. – La ecumenicità. L ’intransigenza. E poi la patologia: le eresie, gli scismi. Notate le affinità fra il deviazionismo trotzkista e il giansenismo, fra Tito ed Enrico VIII, i due scismatici per prurigine d’autonomia. Il papato è sempre uscito vittorioso dalle sue crisi; lo so. Ed è per ciò che io sono qui, a proporre un patto di reciproco riconoscimento delle nostre sfere d’interessi, e a domandare la Vostra collaborazione amichevole. Mi sono servito dei tecnici americani e degli scienziati tedeschi; attingerò adesso all’esperienza, all’abilità delle Vostre gerarchie. V.S. non mancherà di apprezzare la mia schiettezza. Vorrei che mi prestasse, con tutte le cautele del caso, una missione di esperti, scelti, per intanto, fra i dirigenti della Propaganda Fide e della Segreteria di Stato. Sulla nostra discrezione, ermetica, V.S. faccia pieno assegnamento; in questo campo, nessuno ci eguaglia. Non posso negare che il mio governo stia lottando contro difficoltà interne di una considerevole gravità. Se riusciremo a vincerle, tanto meglio. Altrimenti, occorrerà un diversivo; a qualunque costo. Mi spiego? Con la sua adesione V.S. può scongiurare una catastrofe.»
«Non tenterete il Padre Vostro. È scritto.» Nel tono in cui la citazione venne pronunciata erano amarezza e collera, ma anche decisione irremovibile. «Si apre fra di noi la via a una coesistenza pacifica, – ribattè l’altro tormentandosi i grossi baffi cespugliosi. – Un rifiuto, significherebbe la guerra, a breve scadenza. La terza guerra. Se è vero che preferite la pace, dimostratelo!»
La sinistra inanellata si levò in gesto di corrucciata protesta; era il gesto definitivo che fulminava in antico l’anatema, dannandolo sulla terra e per l’eternità. Ma la mano ricadde subito e si posò sulla scrivania, ove col moto lieve delle dita sembrò accompagnare le parole che seguirono, placide, soavi persino, di una soavità che il loro significato rendeva inammissibile e assurda. «Avevamo sperato e invocato il prodigio di una resipiscenza, di un ritorno. E invece… invece, figliuolo, siete venuto per offendere, per minacciare un criminoso attentato alla libertà, alla vita medesima del Pastore. E per vieppiù sfidarCi, Ci ponete un dilemma che credete perentorio. Ma l’alternativa cui alludete esiste per il mondo, che vi si dibatte miseramente, nella sua vanità e infermità. Non esiste per la Chiesa di Cristo: per essa, la pace s’identifica col suo contrario. Santità è milizia, intrepida, fanatica milizia, al cui paragone impallidisce il dissennato zelo dei vostri adepti…»
«In Polonia – disse l’altro – in Polonia e in Ungheria, la mia campagna antireligiosa vi sta sradicando.» «Voi lo dite, imprudentemente. Nel travaglio, nel dolore dei suoi membri la Chiesa si afferma e prospera. Le lacrime, il sangue incolpevole, la esaltano. Il desiderare la pace è proprio delle potenze terrene: Voi stesso ne avete bisogno e Ce la chiedete. Predicate la lotta ma ne avete paura. Mentre la Chiesa, non la teme, la sollecita, la cerca, la vuole!» «Ah, è così! – esclamò l’altro, genuinamente sorpreso. – La vostra è una dottrina bellicosa, voi cercate la lotta! Non lo immaginavo. Ed è in questo la spiegazione dei vostri successi?»
«I fasti della Chiesa sono opera di una sapienza onnipotente, – seguitò il Personaggio in bianco, con vivacità ora, e quasi con baldanza. – Ma la vostra supposizione, anche se maliziosamente ispirata, non erra del tutto, signor Maresciallo.»
Il visitatore si levò in piedi, mosse qualche passo, concitatamente. «Il mio paese è abbastanza forte da far arrivare le sue armate sin qui in pochi giorni. Questo vostro palazzo non sarebbe risparmiato. Non abbiamo scrupoli superstiziosi, noi. Non faremmo come i tedeschi. Sappiatelo.»
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