di Maria Paola LANGERANO

spunto da una pellicola
che, confessa Maria Paola,
letteralmente la irretì
I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee

Era il gennaio del 2006. Mac e io, un pomeriggio di metà settimana, in motorino per Roma, fino al cinema Fiamma, in via Bissolati, per “I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee. Era, non vorrei sbagliare, uno degli ultimi giorni di programmazione; nella sala pochissime persone.

I primi fotogrammi e già tutto è perfetto, il verde si sovrappone al verde e si rincorre sui pianori, i colori si accendono e il cielo sembra l’oceano e il silenzio.

Rare le parole, si scollano necessarie dalla solitudine. E sguardi. Ennis e Jack.

Tutto scorre giovinezza. L’amore, naturale corollario dello stato primigenio, rotondo del kosmos del creato, età dell’oro rivelata, a migliaia di chilometri dall’uomo comune e sciatto. Su Brokeback Mountain. Dove i due ragazzi sono stati ingaggiati per una sola stagione, per condurre le pecore al pascolo.

Poi la vita, che si deve necessariamente consumare in pianura, lungo il rettilineo di un panorama convenzionale, al riparo da sguardi indiscreti, esiliati l’uno dall’altro, ciascuno nella storia in cui ha preso posto, accanto a una moglie e a una famiglia.

Quattro anni e poi, inaspettatamente:  “Ho corso come un matto per arrivare prima che potevo”. E’ Jack che irrompe e fa a pezzi il regolare quotidiano di Ennis, che perde l’equilibrio e si lascia cadere.

“Che cosa facciamo, adesso?”

E ritornano le montagne e i giochi di ragazzi, i tuffi nell’acqua gelida. Pace e silenzio e amore.

Sono 20 gli anni che passano, e così, all’incirca, i loro incontri.

“Quanto può durare?”

“Fino a quando staremo in sella. E per noi non ci sono redini”.

Jack lo vorrebbe accanto a sé, in una fattoria, glielo propone da subito, “se volessimo potrebbe essere così, esattamente così, per sempre”. Ma Ennis ha paura, non riesce a togliersi dall’anima lo spettacolo feroce cui il padre lo ha costretto ad assistere, da bambino: il corpo massacrato di un omosessuale, che aveva con il suo compagno una fattoria, pestato a morte.  E rinuncia. “Uomini che vivono insieme: non sta bene”.

Jack non riesce a fare a meno di altro amore; Ennis non sa ballare, ha i pugni  e le mascelle strette sotto la tesa del cappello

Per quel giorno e per molti che seguirono, non fui in grado di pensare ad altro: quel film mi aveva irretita, stretta, tra maglie sottili. Un’amarezza persistente che conoscevo a memoria ma a cui non volevo attribuire ancora un nome, sino a dieci giorni fa, quando ho finalmente scartato il CD, che avevo acquistato già da qualche anno, mi sono accomodata sul divano e  deciso di sciogliere quel nodo.

“Brokeback Mountain” non è un film sull’amore omosessuale. E’ un film sull’Amore. Sull’Assoluto. E, allora, ci viene fatto di domandarci, che cosa faremmo di noi stessi e della nostra vita quando ci capitasse in sorte di essere toccati dall’Assoluto? Come Ennis e Jack.

Quanto dura l’Assoluto o, meglio, quanto siamo in grado di farlo durare se ci accade che, pur vivendo accanto alla persona che amiamo, ci incontriamo, intendo dire, ci riconosciamo l’uno nell’altra, solo di rado, nella maggior parte dei casi, alla fine delle nostre giornate, che scorrono via distanti, spesso distratte, e ci impediscono di toccare insieme l’istante? Se, in altre parole, non riusciamo ad essere sincroni?

Quante volte siamo riusciti a guardare chi abbiamo scelto come compagno, con lo stesso sguardo con cui Jack, in uno struggente flash-back, poco dopo il commiato del loro ultimo incontro, rivede Ennis di vent’anni prima allontanarsi, per ritornare in alta quota al pascolo, dal gregge di pecore che aveva ricevuto l’incarico di governare? Quello sguardo che in una vita intera ha la stessa incidenza di un attimo. Perché ha dentro la pienezza di ciò che arriviamo ad essere quando abbiamo contezza che stiamo provando amore, l’azzeramento degli strumenti con cui misuriamo il tempo e lo spazio e la nostra stessa volontà e ogni possibile domanda su come finirà, perché è rettilinea la strada e l’unico nostro desiderio è di percorrerla fino in fondo.

La malinconia della consapevolezza che la nostra capacità di Assoluto ci impiega solo per un’infinitesima percentuale, che la Felicità è uno stato di grazia a breve scadenza. Bella scoperta! E che per tutto questo non c’è consolazione.

Lo stesso Jack non è capace di Assoluto: ha bisogno di altri uomini, di fronte alle reticenze di Ennis che obbligano i loro incontri a saltuari appuntamenti nel corso di 20 anni. Ennis, invece, sì. E’ solo, sua moglie Alma ha preteso il divorzio, dopo aver sopportato in silenzio, per troppo tempo, la sua relazione con Jack. Ci sono le sue figlie, Alma Jr., in particolare, l’instabilità dei lavori stagionali come cow-boy, la solitudine della roulotte in cui vive, una birra, qualche volta, sempre nello stesso locale. Da solo. In silenzio.

Non c’è mai abbastanza tempo. Jack muore ammazzato, sfigurato, vittima del cieco odio feroce di un manipolo di uomini, decisi a punirlo per la sua “depravazione”. La cartolina che Ennis gli ha inviato, per il prossimo appuntamento su Brokeback Mountain, gli ritorna indietro. “Deceased”.

Nella roulotte Ennis, a testa bassa, come durante tutta la vita, allaccia i bottoni della sua camicia che ha sistemato sopra quella di Jack, sullo stesso appendiabiti, e raddrizza la cartolina di Brokeback Mountain, fissata all’anta dell’armadio con una puntina da disegno.

Alla finestra la pianura verde, bordata di giallo e grigio strada.

“Jack, io ti giuro…”

E adesso l’Assoluto è per sempre.

 

3 Responses to ASSOLUTO

  1. Rachele ha detto:

    Un film che mi riempì di tristezza tanti anni fa, ora descritto con una perfezione che mi fa rivedere i fotogrammi, realmente.

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