I NONNI PARLANO SOLO ITALIANO
Il noto immunologo di origini italiane Anthony Fauci, al quale l’Italia ha conferito l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica, ha detto che i suoi nonni sarebbero stati felici: parlavano solo italiano.
Ho molto apprezzato che Fauci ha rivolto in primo luogo il suo pensiero ai nonni, insignendoli in in un certo qual modo dell’onorificenza, ma trovo normale, direi scontata la notizia che i suoi nonni parlassero solo italiano.
Un fratello di mia madre, zio Peppino, primo di nove figli, emigrò negli Stati Uniti nel 1901. Mia madre, nata ultima nel 1899, non l’ha mai conosciuto, ma i due fratelli si sono tenuti sempre in contatto. Scriveva lettere in buon italiano, corretto; visse molto a lungo, mi pareva incredibile una vita così lunga, ma, tutto sommato, dovette vivere un paio di anni in più di quelli che ora ho io. Ebbe figli e nipoti, una grande tribù.
Nel periodo critico della guerra ricevevamo i famosi pacchi degli zii d’America e mai il mio personale guardaroba è stato così ben fornito.
Zio Peppino ha parlato solo italiano. I figli conversavano con lui in uno strano dialetto, i nipoti non parlavano col nonno, che amavano molto, come ho potuto personalmente constatare. Ho conosciuto tutti i figli, chi in Italia chi in America, e molti nipoti. Con l’ultimo dei suoi figli, Anthony, di quattro anni più grande di me, zio Peppino ci mise in corrispondenza quando facevo il liceo e, da allora, abbiamo mantenuto il nostro rapporto, ci siamo visti più volte, in Italia (a Ferrara, a Tricarico, a Palazzo San Gervasio) e in America. Ora egli ha 95 anni e la nostra corrispondenza si è molto rarefatta, ma non è cessata. Anthony ha fatto buoni studi universitari e conosce molto bene l’italiano.
Una nipote di zio Peppino, Helen Sears, della mia stessa età, visse quasi un anno a Napoli col fidanzato, che sposò al ritorno in America, ufficiale di marina di stanza a Napoli , quando io facevo l’università. Ci frequentavamo. Helen mi invitava spesso a cena, studiava l’italiano e le piaceva fare pratica con me, per poter finalmente parlare col nonno. Io, per le sue cene, non sapevo se essere contento per il costo di una cena non incidente sul mio magro bilancio o piangere per la cucina di Helen, per quei suoi spaghetti scotti conditi con la marmellata.
Helen era una ragazza molto bella. E’ stata una esponente del partito democratico di New York, per più mandati eletta al New York City Council, nel corso dei quali le furono conferiti incarichi di governo della Città. Da un po’ di anni abbiamo perso i contatti.
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Questo scritto mi fa rivivere con emozione un’esperienza emozionante e indimenticabile.
Mia nonna paterna, Rosa Santo, aveva due fratelli; Salvatore e Giuseppe, e una sorella, Angela, emigrati negli Stati Uniti e un fratello, Nicola, emigrato a “Bonzairo”, vale a dire Buenosa Aires.
Salvatore, il maggiore di tutti e celibe, manteneva i contatti, inviando a mio padre lettere a scadenza mensile.
Era una gioia vedere quelle buste col bordo colorato, che portavano notizie dello zio di America, il quale ogni tanto provvedeva a mandare anche qualche pacco con camicie, pantaloni e altro. Sapeva che potevano essere utili ai due nipoti rimasti orfani per aver perso il padre nella Grande Guerra.
Zio Salvatore aveva fatto appena la seconda elementare, ma aveva una grafia bellissima, degna di un amanuense rinascimentale, e si esprimeva in un italiano dignitosissimo.
I pacchi dall’America! Li aspettavamo con gioia e stupore. Spesso i pantaloni e le giacche maschili erano di molte taglie più grandi di quelle usate dai miei familiari e, a me bambina, facevano immaginare “giganti”, quasi un’altra razza. E poi c’erano grandi confezioni trasparenti di vitamine coloratissime perchè un cugino faceva il farmacista. Avevo la sensazione, in seguito verificata di persona, che in America fosse tutto BIG!
Anch’io ho verificato che in America è tutto BIG. Ciao, Carmela!
Io, del pacco da “Nuovaiorca”, ricordo un vestito di velo che mi fece diventare la fata turchina per un carnevale di mezzo secolo fa.
Fu provvidenziale. Lo ricorderò sempre.
Ciao e ben ritrovati.
Papanonno Francescoantonio Castelmezzano ha lavorato a NuovaYork ed ebbe la cittadinanza degli states. Quando ritornò si accompagnò con un gigantesco saccone di juta contenente moltissime cose, ricordo la pastosa farina lattea che per molti giorni fu la nostra colazione di noi piccoli di calata Badìa (non la valle del nord, ma il cuore della Ràvata).
Buon fine settimana a tutti gli amici di questo importante blog del grande Antonio