A Spaccanapoli un mendicante suonava la fisarmonica. Cieco, con le gambe amputate all’altezza del tronco, si muoveva, seduto su una tavoletta munita di piccole ruote agli angoli, tra il primo breve tratto di via San Biagio dei librai, piazza del Gesù Nuovo e il proseguimento di San Biagio, che era un alternarsi di botteghe di librai, mescite di vino e pizzerie con forni a legna, alimentati con trucioli, e palazzi e chiese che, in un viluppo di miseria e nobiltà ricordano le nobili casate e raccontano la storia di Napoli. Non c’era traffico: non un’automobile, un motorino, una bicicletta; s’incontrava qualche carretto con cibo di strada: polpi cotti nel loro brodo impepato e piedi di porco.

Il mendicante – conosco il suo nome e so dove abitava – suonava la fisarmonica con intensa partecipazione, gli occhi chiusi, la faccia, una bella faccia bruna di chi vive sempre all’aria, prendeva l’aspetto di una mobile maschera grottesca, solcata da mille smorfie come in un abbandono orgasmico.
Una mattinadoveva essere l’autunno del 1950 – passavo per San Biagio dei Librai con Rocco Scotellaro. Ci fermammo tra il gruppetto di persone che s’era formato ad ascoltare una suonata del mendicante cieco e senza gambe. Quando finì il pezzo, mentre gli consegnavamo un obolo, Rocco mi disse: -Eccolo, l’angiolo deturpato -. Capii, era lui che aveva ispirato a Rocco la metafora degli angioli deturpati che, solo loro, cantano a Pasqua la morte del Signore. Conoscevo quei versi; avevo sempre pensato che l’ispirazione a Rocco l’avessero data gli angeli della chiesetta dello Spirito Santo della nostra Tricarico, deturpati a causa dell’intonaco scrostato. Capii, non chiesi spiegazioni e recitai a mente questi versi «e cantano la morte del Signore/ solo gli angioli deturpati …» della poesia Per Pasqua alla promessa sposa, che Rocco aveva scritto per Isabella Santangelo, suo lontano amore adolescenziale non ancora sfiorito nel 1947 quando Rocco, aveva 24 anni, da uno sindaco di Tricarico, si impegnò con una poetica promessa.

 

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