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Voli di gazze

Voli di gazze è una poesia di Giuseppe Giannotta tratta dalla raccolta Serpeggia l’anguilla.

Vado nel tempo che fugge
tra le aiuole dei recinti
e mi figuro un viandante sospinto
da voli di gazze.
Porto il mio cuore
tra i sassi aspri delle vie
e non mi trafigge la luce
se il sole rischiara
i rettangoli dei tufi.
Mi trascino sui fusti
d’alberi con guglie di nebbia
e se arrivo alla cima
mi bagno il volto
di stille.
M’adergo su frange di nubi
rotte da borea,
e lassù il mio cuore
per non brevi cammini
cambia in aria vetrina.

In questi versi (e nei versi delle altre poesie) si avverte l’eco delle vaste letture di Giannotta, e qui, in questi voli di gazze, si avverte, come uno scherzo, il tono della ballata e l’inusuale verbo “m’adergo” (M’adergo su frange di nubi), l’ispirazione scherzosa della «Leggenda di Teodorico» di Giosué Carducci.

Teodorico, re degli Ostrogoti, secondo la leggenda, ebbe una triste fine: un cavallo indemoniato lo scaraventò nell’Inferno, facendolo precipitare nel cratere di un vulcano.
E’ mezzogiorno ed il re Teodorico sta prendendo il bagno, quando ode il suono di un corno da caccia.

Su ‘l castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno,
da la Chiusa al pian rintrona
solitario un suon di corno,
mormorando per l’aprico
verde il grande Adige va;
ed il re Teodorico
vecchio e triste al bagno sta.

Mentre Teodorico si abbandona al ricordo degli anni giovanili, gli si annuncia l’apparizione di un cervo straordinario. Chiede in tutta fretta l’occorrente per la caccia e balza in groppa ad un cavallo nero che gli era apparso vicino. Il destriero, che è una creatura infernale, schizza rapido lontano e, con una corsa pazzamente fantastica, giunge all’isola di Lipari e fa precipitare nel cratere del vulcano il re, colpevole di persecuzioni e di omicidi contro gli italici di fede cattolica.

Via e via su balzi e grotte
va il cavallo al fren ribelle:
ei s’immerge ne la notte,
ei s’aderge in vèr le stelle.
Ecco, il dorso d’Appennino
fra le tenebre scompar,
e nel pallido mattino
mugghia a basso il fosco mar.
Ecco Lipari, la reggia
di Vulcano ardua che fuma
e tra i bombiti lampeggia
de l’ardor che la consuma:
quivi giunto il caval nero
contro il ciel forte springò
annitrendo; e il cavaliero
nel cratere inabissò…

 

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