La mia famiglia è originaria di Palazzo San Gervasio. Nel 1939 ci traferimmo ad Accettura e il 2 aprile 1941 a Tricarico.
Mario Trufelli è stato il mio primo amico: io dovevo compiere 11 anni e lui 12. Io di anni ne ho compiuti 91 il 18 giugno e Mario ne compirà 92 fra qualche giorno. 1941-2021: 80 anni come quasi fratelli.

A Tricarico abitammo per alcuni anni nella casa che è diventata, nella finzione letteraria del bel libro di Mario Quando i galli si davano voce l’abitazione del prof. Fedele Martino. All’immaginario professore Trufelli ha dato il mio nome per una precisa ragione, ma questa è un’altra storia.
L’ingresso di questa casa, all’inizio di via Rocco Scotellaro, è un portoncino a un paio di metri dal livello stradale, a cui è collegato da una breve scalinata. Nella casa di fronte abitavano il nonno di Mario, don Michele Valinotti, con la moglie gravemente ammalata, che feci appena in tempo a conoscere, la figlia Vincenza e la figlia di questa, Lina. Di giorno vi abitavano anche l’altra figlia Lucietta, maritata Trufelli, con i figli Michelina, Antonio e Mario. Le due famiglie vivevano unite, mangiavano lo stesso cibo alla stessa tavola. Il più grande dei fratelli, Ivo, era impiegato a Matera, il padre, Ciccio Trufelli, lavorava nelle Marche e veniva a Tricarico nei suoi periodi di ferie; a Tricarico tornò definitamente quando andò in pensione.

Don Michele aveva imponenti baffi a manubrio, dai quali spuntava la lunga canna ricurva che reggeva il fornello di terracotta della pipa col coperchietto di latta bucato per l’areazione con abile mano d’artigiano.
Dopo il servizio alle ferrovie, don Michele divenne usciere di conciliazione con compiti di ufficiale giudiziario presso la locale pretura. (Che scarto – ahimé! – da don Michele Valinotti a Gaetano Pisani, nome che l’ufficiale giudiziario assume nel libro del nipote scrittore). Restato solo per il matrimonio della nipote Lina trasferitasi con la madre a Santeramo in Puglia, don Michele si trasferì a casa Trufelli.

Grande lavoratore, raggiungeva a piedi qualsiasi località del vasto mandamento a notificare un atto per risparmiare fino all’ultima lira possibile. E’ morto vecchio senza fare un giorno da pensionato. Quando morì, all’alba di  un giorno di marzo, Michele Molinari, allora studente in legge col ghiribizzo di anticipare l’esercizio della pratica legale in conciliazione, si recò da don Michele per chiedere la notifica di una citazione. Chiese al padre di Mario, seduto mestamente allo scalone: – Don Michele? – e quello rispose indicando la scala con un cenno degli occhi. Michele intese quel gesto come conferma che don Michele fosse ancora in casa, salita la scala, entrò nell’appartamento, giacché la porta era aperta, e riuscendo a vincere rapidamente lo sconcerto fu il primo a portare le condoglianze, col fascicoletto della causa sotto il braccio.  

Io non ho conosciuto nessuno dei miei quattro nonni e ne ho sentita la mancanza, vivendo questa condizione quasi con un senso di vergogna, e non mancai molto, giunto a Tricarico, ad eleggere don Michele a mio nonno. Non lo chiamavo don Michele, ma, per l’appunto,  papanonno.

Mario, che, mese più mese meno, ha la mia stessa età, divenne naturalmente il mio primo carissimo amico. Uscendo di casa, saltando i gradini due o tre alla volta, sulla spinta finivo dentro casa Valinotti-Trufelli. – Ngì Mario? – era il mio saluto. Quando andai a studiare a Potenza con Mario ogni giorno ci scambiavamo messaggi. Mario mi informava dei fatti di Tricarico e leniva la mia struggente nostalgia e una cotta ripagata con un aspro limone. Per corrispondere ci servivamo della targa dell’autobus di linea della SITA. Allora le targhe, rudimentali, erano avvitate all’automezzo con supporti di ferro, che davano modo di infilare messaggi.

Questi ricordi anticipano con altri ricordi l’augurio a Mario Trufelli per il suo prossimo compleanno.

 

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