COME ROCCO SCOTELLARO, NEO SINDACO, RISCHIO’ DI ALIENARSI LE SIMPATIE DEI CONTADINI
L’orologio di Sanfrancesco e l’orologio di Santa Maria dei Lombardi, i due orologi pubblici di Tricarico ne avevano di storie da raccontare. Per un lungo periodo della prima metà del secolo scorso essi furono governati da don Michele Valinotti, nonno di Mario Trufelli, e la storia che mi accingo a raccontare parla di un errore del giovanissimo sindaco di Tricarico Rocco Scotellaro, al suo primo mandato, che rischiò di alienargli la simpatia e la fiducia dei contadini della Rabata e della Saracena, la classe sociale che lo sosteneva, la sua base elettorale.
Appena eletto sindaco, con una decisione inaspettata e frettolosa, Scotellaro revocò l’incarico affidato vent’anni prima a don Michele. Secondo lui dare la carica ai due orologi non richiedeva particolari specializzazioni e un vigile urbano avrebbe ben potuto provvedere, col risparmio del compenso pagato a don Michele.
Effettivamente non occorrevano particolari specializzazioni per dare la corda all’orologio di Sanfrancesco, se non olio ai ginocchi e ai gomiti. Tutt’altro affare dare la corda all’orologio di Santa Maria dei Lombardi, ma Scotellaro non conosceva la differenza tra i due orologi e l’inesperienza non gli aveva fatto considerare che per decidere bene occorre ben conoscere.
La figlia di don Michele e madre di Madre di Mario Trufelli, Lucietta, se la prese come un grave affronto personale e familiare e andava dicendo in giro che si trattava di una ripicca politica e che l’orologio di Santa Maria dei Lombardi non avrebbe più funzionato.
L’orologio di Sanfrancesco e l’orologio di Santa Maria dei Lombardi segnavano l’ora per le due classi sociali del paese. L’orologio di Sanfrancesco segnalava l’ora ai chiazzaiuli – medici, avvocati, farmacisti, geometri, agronomi, maestri di scuola e impiegati – che abitavano in piazza e nelle strade del centro. Anche Rocco Scotellaro, sotto questo aspetto, era una chiazzaiulo. L’orologio di Sanfrancesco per i chiazzaiuli era più un decoro della piazza, un emblema del paese, che uno strumento che servisse, giacché almeno i chiazzaiuli un orologio nelle loro case l’avevano e quasi tutti avevano un orologio-cipolla nel taschino del gilet, e non andavano in campagna. L’orologio di Sanfrancesco era ed è un normale orologio, col suo quadrante, con le sue dodici ore, le sue lancette, una più grande e una più piccola, e i suoi rintocchi canonici. Dare la corda a questo orologio era operazione semplicissima; la cosa più difficile era salire fino alla torre: dalla sacrestia della Chiesa di San Francesco, bisognava fare una faticosa arrampicata, perché mancava una regolare scala che coprisse tutta la lunga ascesa. Giunti sulla torre, con una grossa manovella, bisognava innalzare due grossi pesi, uno per le ore e l’altro per i minuti, legati a due grosse corde di fili d’acciaio. Le corde, attratte dai pesi, scorrevano in basso con lenta regolarità, mantenendo in funzione il meccanismo dell’orologio. Don Michele Valinotti, per l’avanzare degli anni, affidò il compito di dare la corda ai nipoti Antonio e Mario. Ad essi molto spesso mi univo anch’io. E se ero capace io, dare la carica all’orologio lo poteva fare chiunque.
L’orologio di Santa Maria dei Lombardi segnalava l’ora ai contadini della Rabata e della Saracena. I contadini non avevano orologi nelle loro case, non avevano orologi-cipolla nel taschino del gilet (non avevano neanche il gilet), e tutto il giorno lavoravano in campagna, dove non giungevano più i rintocchi del loro orologio, perché il povero vigile comunale e chiunque altro non sapevano proprio come far marciare quel diabolico meccanismo.
Non sono in grado di dare riferimenti tecnici, posso dire che l’orologio di Santa Maria dei Lombardi aveva una sola lancetta e dava un numero misterioso di rintocchi, che non corrispondeva a quello delle ore e dei quarti d’ora, che i contadini interpretavano sapendo l’ora e i minuti che annunciava, e i chiazzaiuli proprio no, non capivano nulla; come i chiazzaiuli capivano, e i contadini no, i rintocchi dell’orologio di Sanfrancesco.
Il sindaco Scotellaro non si rese subito conto del disagio causato ai ravatani e ai saracinari, che avevano votato in massa per lui e quanto, trovatisi privati del tempo, furono presi da un senso di delusione, di stupore e di panico. La comprensione del fatto gli fu ostacolata dall’esser egli stesso un chiazzaiulo.
Quando se ne rese conto, andò nell’ufficietto do don Michele, si scusò e gli chiese di riprendere il governo dei due orologi. Pare che accrebbe la misura del compenso.
Un orologio simile a quello di Santa Maria dei Lombardi l’ho visto esposto in una teca di cristallo nella piazza Sant’Agostino di Modena. Era appartenuto e apparteneva al vecchio ospedale Sant’Agostino e il dirigente dell’ufficio tecnico dell’ospedale, suocero di mio fratello, mi spiegò che per tenere in funzione quell’orologio occorrevano alte specializzazioni tecniche, che col tempo si erano venute perdendo. E così l’orologio divenne un cimelio esposto al pubblico in una teca di cristallo.
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Ciao Antonio, sono aneddoti simpaticissimi perché danno il senso di una realtà umana ormai scomparsa non so se fortunatamente o sfortunatamente e il mio striminzito commento serve solo a ricordarti che ti seguo, pur preso da impegni che mi impediscono una frequentazione più costante
Un abbraccio
Mimmo
Leggere i tuoi racconti, caro Antonio, rinfresca lo spirito in queste giornate torride. Concordo con Mimmo: sono aneddoti che ci parlano di un altro tempo e di una umanità di rapporti che personalmente rimpiango. Grazie