RITORNO AL BUGIGATTOLO DEL MIO PAESE
«Il primo addio a Napoli» è un canto di invettiva sociale e politica e di nostalgia di Rocco Scotellaro. Alcuni anni dopo la sua morte il canto fu reso in musica, con altre poesie di Scotellaro, e cantato da Maria Monti. La Monti è stata una cantautrice che esordì nei cabaret milanesi alla metà degli anni Cinquanta, in un periodo di vivaci fermenti nel mondo dello spettacolo, esibendosi con Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, e con Paolo Poli nelle «Canzoni del diavolo».
La nostalgia porta a fuggire da un luogo sgradevole. Rocco Scotellaro sceglie simbolicamente una zona di Napoli non solo degradata, ma scesa rapidamente a quel miserevole stato di degrado, segnato da miseria e prostituzione, improvvisati mestieri e miseri commerci d’accatto, da un passato di splendore. Qui a ridosso della Duchesca.
Il poeta è uno di passaggio, avviato verso un altro luogo di Napoli, la vecchia stazione ferroviaria di piazza Garibaldi, dove, sul binario numero 8 attendeva il treno, che, mancavano ancora molte ore prima che stirasse le sue membra con un fischio, quaranta minuti dopo la mezzanotte.
Il binario numero 8 e quel treno della speranza in attesa, a sinistra del fronte dei binari, sono uno dei più commoventi ricordi per chiunque, fin quando la vecchia stazione napoletana non fu sostituita, avesse provvisoriamente vissuto a Napoli. Maria Monti e l’autore delle pochissime modifiche necessarie per esigenze musicali, non potettero rendersi conto della ferita che aprirono nell’anima di chiunque avesse coltivato tale nostalgia, avendo sostituito al binario numero otto, il binario numero dieci.
Nel poeta la nostalgia diventa anche invettiva personale e politica. (Non voglio più’ sentire queste rauche / carcasse del tram. / Non voglio più sentire di questa città, / confine dove piansero i miei padri / i loro lunghi viaggi all’oltremare ).
Il problema dell’emigrazione è uno dei temi più affrontati da Rocco Scotellaro. C’è il grande tema dell’America, terra promessa per tanti contadini meridionali, ma anche la fine dell’illusione del sogno americano. Seguirono le nuove grandi ondate migratorie verso il nord dell’Italia e dell’Europa che tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta svuotarono il meridione: «C’era l’America, bella, lontana / del padre mio che aveva vent’anni. / Il padre mio poté spezzarsi il cuore. / America qua, America là, / dov’è più l’America / del padre mio? («C’era l’America»).
( Ritorno al bugigattolo del mio paese, / dove siamo gelosi l’un dell’altro: / sarà la notte insonne nell’attesa / delle casine imbianchite dall’alba. / Eppure è una gabbia sospesa / nel libero cielo la mia casa).
Il tema ritornerà nella poesia «Invito», l’ultima della prima omonima sezione di «E’ fatto giorno». (Oh! Qui non si può morire /Venite chi vuol venire: / suoneremo la nostra zampogna /[…] )
IL PRIMO ADDIO A NAPOLI
Il concertino girovago ammalia
qui a ridosso della Duchesca,
dove giovani diciassettenni e una zoppa
hanno un cantiere di camere
su portoni sporchissimi.
Il burattinaio è un vecchio
pescatore invalido.
Ognuno solo si preoccupa
del proprio oggetto da vendere.
Ognuno fa sentire la sua voce.
Io sono meno di niente
in questa folla di stracci
presa nel gorgo dei propri affanni.
Sono un uomo di passaggio, si vede
dal cuscino che mi porta
le cose della montagna.
Il treno al binario numero otto
ci vogliono ancora molt’ore
fin che stiri le sue membra con un fischio.
Non voglio più sentire queste rauche
carcasse del tram.
Non voglio più sentire di questa città,
confine dove piansero i miei padri
i loro lunghi viaggi all’oltremare.
Ritorno al bugigattolo del mio paese,
dove siamo gelosi l’un dell’altro:
sarà la notte insonne nell’attesa
delle casine imbianchite dall’alba.
Eppure è una gabbia sospesa
nel libero cielo la mia casa.
Su questo blog, aprendo il post Il primo addio a Napoli si può leggere una nota informativa della Duchesca
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