SPAGHETTI AL POMODORO, FRIZZULI, PASTA ACCATTATA E PASTA FATTA IN CASA
«Che cos’è la gloria di Dante appresso a quella degli spaghetti?» si domandava Giuseppe Prezzolini. L’opera di Dante, proseguiva Prezzolini, «è il prodotto d’un singolare uomo di genio, mentre gli spaghetti son l’espressione del genio collettivo del popolo italiano»
Prezzolini coglieva ancora una volta nel segno. Gli «spaghetti» sono simbolo e specchio della nostra identità. Tanto più «gli spaghetti al pomodoro».
Eppure né gli spaghetti né il pomodoro sono propriamente italiani Gli spaghetti sono provenienti dal Medio Oriente (non dalla Cina, come si pensa, bensì dall’Arabia); il pomodoro dal Nuovo Mondo, giunto in Europa nel Cinquecento al seguito dei conquistatori spagnoli. Eppure è altrettanto vero che quando si dice «spaghetti al pomodoro» tutto il mondo pensa all’Italia.
Le avventurose, affascinanti e golose vicende degli spaghetti al pomodoro hanno ispirato tanta letteratura e tanta filosofia. Non mi sto dando delle arie, chi si industriasse a fare ricerche sul mio blog troverebbe non pochi suggerimenti. Io cucino avendo a portata d’occhio quel capolavoro che è La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene di Pellegrino Artusi nell’edizione curata e annotata da Piero Camporesi.
Lucano esule, sono abbacinato dalla «filosofia degli spaghetti» enunciata da Prezzolini, secondo il quale un piatto di buona pasta assume il valore di un attimo assoluto di felicità, un fiammifero che illumina per un momento la spessa tenebra in cui viviamo. Pertanto, egli sigla, «in questo mondo anche il piatto di spaghetti che abbiamo sulla tavola è importante quanto una dottrina filosofica».
Non ho trovato traccia alcuna della distinzione classista tra pasta accattata, ossia comperata e pasta fatta in casa. La distinzione è classista, perché la pasta prima la mangiavano i ricchi, che si potevano permettere di comperarla; la maggioranza mangiava pasta fatta in casa.
Fino all’età di sette-otto anni ho mangiato pasta accattata, che non comperavamo, perché l’avevamo in casa. Mia nonna, rimasta vedova in giovane età per la morte di mio nonno con la spagnola, aprì un negozio di generi alimentari, che mia madre, alla morte anch’essa precoce della suocera, continuò a gestire per alcuni anni. I miei compagni, che mangiavano pasta fatta in casa, mi invidiavano.
Il negozio fu ceduto e passammo a mangiare pasta fatta in casa. A me piacque subito, più di quella accattata, ero affascinato dalla varietà di formati adatti alle varie specie di piatti.
I tricaricesi hanno avuto il genio di mettere in tavola quel piatto speciale che sono i frizzuli, formato di pasta fresca con farina di semola e acqua, e realizzati con un apposito ferretto, un tempo ricavato da vecchi ombrelli. Non li conoscevo, li scoprii a Tricarico ad aprile del 1941, quando ci trasferimmo, e fu una delle più belle scoperte della mia vita. Purtroppo, mia madre preferiva cucinare pasta accattata e la domenica si decideva a mettere a tavola orecchiette condite col ragù di capretto o agnello. Piatto squisito, per carità, ma i frizzuli mia madre non li sapeva fare e li mangiavo solo quando ci invitavano a mangiare.
Gli spaghetti accattati sono la pasta che ci resta per il pomodoro, i soli spaghetti che si possono mangiare in tutto il mondo; benchè accattati, spaghetti succulenti al pomodoro appena colto dalla sua pianta e profumati col sapore fresco, speziato e dolcemente pungente che può ricordare la fragranza del limone, dell’anice o della cannella, il piatto che metteva a tavola mia madre.
Ora tutto è finito, pomodori e basilico maturano nei freezer, i pomodori anche col soccorso dell’etilene. E ci sono anime sconsiderate che pensano che frizzuli e fusilli siano la stessa cosa.
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…e intanto mi hai fatto accarezzare letteralmente quel ferretto di ombrello che mi ha lasciato mia madre. Grazie
Sono contento per questo tuo commovente ricordo