Nel libro V dell’Odissea c’è una scena, descritta intorno al verso 190, in cui Ulisse piange. Non è l’ultima volta nel poema, ma è importante. Ulisse si trova seduto sulla sponda del mare con le guance rigate di lacrime, consumato dal pensiero del ritorno. In quel momento Ulisse è sull’Isola di Ogigia da sette anni e anche se accanto a sé ha Calipso, una ragazza incredibilmente bella, se ne vuole andare.
Non serve a nulla il fatto che Calipso lo ami follemente e nemmeno che sia una ninfa, figlia del titano Atlante e di un’oceanina. Non serve nemmeno l’incredibile promessa che lei è disposta a fargli pur di farlo restare: offrirgli l’immortalità, insieme alla promessa di passarla insieme, in quel luogo paradisiaco. Niente, non serve a niente. Ulisse deve partire, ammette che la sua Penelope non regge il confronto con Calipso, che è più bella, ma soprattutto, che è immortale, ma deve tornare a casa lo stesso. Vuole tornare a Itaca, vuole tornare a casa.

Un luogo paradisiaco, una donna bellissima che lo ama alla follia, il sogno dell’immortalità: solo una forza potente può portare un uomo a rinunciare a un sogno del genere. Quella forza, che lo porta a piangere come un bambino sulla sponda del mare pensando a casa — lui, uno dei più coraggiosi e valorosi uomini del Mediterraneo — è un sentimento che conosciamo tutti per averlo provato innumerevoli volte, magari da bambini, magari proprio davanti al mare, alla fine delle vacanze, pensando a casa. È nostalgia, ma Ulisse — e con lui le generazioni di aedi che nei secoli hanno cantato in giro per la Grecia quella scena — ancora non lo sa.
Non lo sa — non lo può sapere — perché il termine “nostalgia”, pur essendo composto di due parole greche, νόστος (nostos, che significa “ritorno a casa”) e άλγος (algos, che significa “dolore”) non è affatto una parola di origine greca, né tantomeno è antica come l’Odissea.
La parola “nostalgia” è una parola moderna coniata nel 1688, in Svizzera, da uno studente di medicina di appena diciannove anni di nome Johannes Hofer, il quale fu il primo a usarla nella sua tesi di laurea, Dissertatio medica de nostalgia, discussa proprio quell’anno all’Università di Basilea.

Hofer è uno studente di medicina, e quel termine, “nostalgia”, se lo inventa per descrivere una patologia che affligge i soldati svizzeri, i quali, portati a combattere lontano dalle valli, si ammalavano di tristezza, languivano, piangevano, si disperavano, erano colti da un senso di oppressione e di soffocamento, un po’ come Ulisse sulla riva del mare di Ogigia, e dovevano essere rimpatriati. Così come è teorizzata dal giovane Hofer, la nostalgia è una forza potentissima, un legame che trascende lo spazio e il tempo.

 

3 Responses to NOSTALGIA, CHE COS’E’

  1. Rachele ha detto:

    Nostalgia

    Lascerò la porta socchiusa

    come se dovessi tornare

    per cantarmi una ninna nanna,

    anche quella mesta nenia di Giuliano

    ora mi piacerebbe.

    Nei tuoi cassetti ordinati

    è rimasto il profumo di tiglio,

    ne respiro ogni volta che vengo,

    mai paga,

    e ti parlo e ti sento

    e mi ascolti e ti vedo,

    non dicevo nulla

    e  mi ascoltavi,

    i tuoi occhi di pezzi di cielo

    sapevano leggere l’anima.

    Aspettavi il rumore dei passi

    e sorridevi,

    tanto ti bastava.

    Sai,  ora è polvere

    la lavanda che ti avevo portato

    e io ho un tarlo

    nell’anima

    che rode

    rode

    rode.

                 

  2. domenico langerano ha detto:

    Cari amici,
    Felicissimo di avervi letto e di essere più informato, come sempre, da parte di Antonio, e più amante di poesia per quella donataci da Rachele che abbraccio
    Mimmo

  3. Rachele ha detto:

    In questo angolo delle meraviglie gli amici di Antonio sono miei amici? Grazie

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