REQUIEM PER IL DIRITTO PRONUNCIATO GRAZIE A UNO SPUNTO OFFERTO DA ANDREA DI CONSOLI
La severa e critica di Andrea Di Consoli a un sistema mediatico giustamente definito orrendo rilasciata sulla sua rubrica “Lettere Lucane” mi ha dato lo spunto per rileggere un gustoso libretto: “Requiem per il diritto” di Italo Dolce, con Prefazione di Francesco Galgano. Si tratta di un libello o pamphlet, ovvero di cahier de doleance contro la “nefasta legislazione sulle locazioni” (come scrive il professor Galgano nella prefazione) e altre vicende non meno nefaste, come la censura di due provvedimenti giurisdizionali, l’incolpazione disciplinare di un giudice sospettato di aver compromesso il prestigio dell’Ordine giudiziario con le sue motivazioni stravaganti e bizzarre, e altre.
Passo dal sistema mediatico a quello giudiziario, perché non sono del tutto d’accordo con Di Consoli, che vede una graduatoria tra i due sistemi. A mio avviso si tratta di due Poteri, più che sistemi, da porre quindi su piani pari.
Ho conosciuto l’Autore Italo Dolce. Di lui va segnalata una scelta fondamentale di vita. Era presidente di un tribunale e relatore in un giudizio. Come relatore sosteneva l’innocenza dell’imputato, ma i due giudici a latere furono di opposta opinione e il l’imputato fu condannato. Al Dolce presidente, essendo egli stato relatore del caso, toccò stendere la motivazione della sentenza e, ovviamente, si impegnò nella stesura di una “sentenza suicida”. Ma come non aveva convinto i suoi colleghi del collegio giudicante, la sentenza suicida non ebbe effetto neanche sul giudice d’appello, che confermò la sentenza di condanna, che divenne definitiva, cosa giudicata. Dopo che il condannato ebbe scontato un certo periodo di detenzione emersero elementi per l’apertura di un processo di revisione, che si concluse con la riparazione dell’errore giudiziario. (A proposito: c’è mai stato qualcuno che abbia pagato per l’errore giudiziario commesso?).
Lo stesso Dolce mi confidò che quella persona ingiustamente condannata si recò da lui a Rimini, dove era pretore, per ringraziarlo, perché, alla lettura della sentenza di condanna, dall’espressione del viso capì suo il profondo turbamento di giudice che stava pronuinciando na ingiusta sentenza di condanna. E questo gli fu di conforto, l’aiutò a sperare che, prima o poi, la sua innocenbza sarebbe stata riconosciuta. Il punto da sottolineare è che Dolce, valentissimo e colto giurista, turbato per l’ingiusta sentenza, decise di fare il pretore per tutto il resto del suo servizio di magistrato “così non avrei potuto combinare grossi guai” e sarebbe stato il solo responsabile delle decisioni. Pensionato, Dolce è stato difensore civico di Rimini e io lo conobbi ed ebbi rapporti con lui in quanto ero difensore civico della regione Emilia-Romagna.
Ora riporto la Prefazione del professor Galgano (che consiste nella ripubblicazione, a mo’ di prefazione, dello scritto con il quale, nel 1991, ossia molti anni prima, espose l’episodio che si colloca all’origine della vicenda narrata da Italo Dolce.
«Si racconta che Renzo Ricci tenesse avvinte le platee declamando il codice civile. Quando narrava del figlio premorto ai genitori il pubblico scoppiava in un pianto irrefrenabile. Ma occorreva, per giungere a tanto l’arte di Ricci. So, per converso, che un neurologo cura l’insonnia dei suoi pazienti prescrivendo loro la lettura serale della Gazzetta ufficiale.
Bisogna avvertirlo che da qualche tempo questo rimedio non è più efficace. Non alludo solo alle esilaranti perle che sempre più frequentemente figurano nelle leggi della Repubblica, ed alle quali un settimanale satirico dedica ora una apposita rubrica. Voglio riferirmi qui alle ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, che la legge prescrive siano pubblicate sulla Gazzetta ufficiale e che non di rado i giudici, consapevoli di scrivere una volta tanto per un quotidiano a grande tiratura, trasformano in un ameno genere letterario, talvolta persino un po’ audace.
A inaugurare il genere è stato, per quanto mi consta, il Pretore di Rimini Italo Dolce, che in dodici gustosissime pagine descrisse le iniquità della nostra legislazione sulle locazioni urbane (G.U. del 2 dicembre 1987, prima serie speciale, n. 51, p. 56).
Si direbbe, a giudicare dalle molteplici irritate reazioni della stampa quotidiana, che i pazienti in cura da quel neurologo siano ancora tanti. Fra essi ricordo un redattore de Il Sole-24 ore che, non riuscendo a prendere sonno, calcolò il costo, per il pubblico erario, di quelle dodici pagine di Gazzetta ufficiale, che giunse a stimare in otto-dieci milioni di lire.
Il Pretore Dolce ha tutta la mia solidarietà. Ripeto qui quanto ho scritto altrove: ci sono cose terribilmente serie che non si possono efficacemente esprimere se non in modo faceto. Cito dall’ordinanza di Italo Dolce, che merita di essere letta per intero: nella fattispecie i locatori « dovevano corrispondere all’ospite da tempo indesiderata una indennità pari a lire 9.450.000, vale a dire una indennità superiore all’ammontare dei canoni percepiti negli ultimi 9 anni e pari a 112 mensilità dell’ultimo canone pagato”.
Si può restare seri di fronte ad una legge che conduce a tanto? È una autentica facezia che i locatori in questione, « dopo essere stati locatori loro malgrado e comodanti loro malgrado, diventassero anche donatori loro malgrado››.
L’ordinanza è densa di pertinenti citazioni storico-giuridiche, letterarie, musicali, bibliche e così via, sapientemente utilizzate per dare vita ad una sorta di girone dantesco, nel quale compaiono artefici ed esecutori della nefasta legislazione sulle locazioni urbane. E ad un certo punto l’estensore se la prende con le « alchimie stregonesche di Madame la Loi e del suo corteo di imbonitori e di falsari ››, fra i quali colloca anche « certi giudici che si servono della giustizia solo per amministrare la loro hybris ovvero la loro insolenza, naturalmente in the state of Denmark, dove il pubblico servizio televisivo, servo di diverse « madame », si spinge fino al segno di annunciare, con struggente commozione, l’apparizione di una madonna americana di cui riesce a mostrare, tra il delirio di folle ammaliate, non solo gli occhi assassini, ma anche le tette morbide e le mutande ricamate ›>.
Questo obiter dictum è la pietra dello scandalo. Passi per l’amletica denuncia della corruzione dei giudici. Ma può un pretore compiacersi della veristica descrizione di corpi che non siano corpi di reato? o delle raffinatezze di una biancheria intima che non sia oggetto di una licenza di marchio?
Il sonno della ragione genera mostri, cita alla fine il Pretore Dolce. Ma che cosa genera mai l’insonnia?
L’articolista del sopra menzionato quotidiano finanziario trova l’ordinanza blasfema, perché vi si parla di « una non meglio identificata madonna americana ››. Piuttosto che leggere la Gazzetta ufficiale avrebbe fatto meglio a guardare la televisione. Forse avrebbe preso sonno; altrimenti avrebbe potuto rendersi conto de visu delle terrene e ginniche sembianze della americana Madonna.
La Gazzetta ufficiale ha una tiratura di 65 mila copie. Dieci volte superiore alle più vendute riviste di giurisprudenza. Scrivere per una simile tiratura esalta la fantasia; ma non tutti i pretori sanno utilizzarla come il Pretore di Rimini.»
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